Dal 1853 è una delle cantine più antiche e suggestive d’Abruzzo, storica e in divenire allo stesso tempo, capace di tramandare l’amore per il patrimonio vinicolo e la passione per il proprio lavoro. Stiamo parlando della Cantina Ciavolich, nella cui Vineria, ricavata all’interno della struttura costruita nel 1853 per vinificare in proprio le uve provenienti dai terreni circostanti, si è svolta quest’estate la rassegna Je m’en fiche: un grande successo, con tanti enoappassionati che si sono dati appuntamento nella suggestiva cornice di Miglianico, luogo ricco di storia e tradizione familiare.
Abbiamo incontrato Chiara Ciavolich, unica responsabile dell’intera azienda agricola e le abbiamo chiesto di svelarci com’è nata l’idea di questa rassegna: “Negli ultimi tempi ho dato troppo peso, dentro di me, ai pensieri degli altri. A giudizi, consigli, raccomandazioni e opinioni che, ad ascoltarli troppo, ti fanno perdere il senso di te. E a un certo punto mi è venuto da dire: ‘Je m’en fiche’, che in francese vuol dire ‘Me ne infischio’. Da qui è nato il titolo che in Vineria ha a che fare con la voglia, per una sera, di staccare la spina, bersi un buon bicchiere di vino, con del buon jazz, in un giardino in collina vista mare, senza dar ascolto a nessuno”.
Determinata, coraggiosa e tenace, Chiara ha sicuramente dovuto fare delle scelte negli anni, consapevole che il suo cognome non era uno qualunque ma quello di una famiglia seria, antica, fuori dai luoghi comuni, come afferma lei stessa, che nel tempo sarebbe diventata leader nella produzione vinicola, con esportazioni in America, Germania e Svizzera. Di origine bulgara, gli antenati di Chiara giunsero in Italia nel lontano 1560 per scampare all’avanzata delle invasioni saracene; il passaggio a proprietari terrieri dovette avvenire poi nel corso del 1700, quando Francesco Ciavolich edificò a Miglianico la prima cantina, di fronte al palazzo di residenza. Un matrimonio di fine ‘800 segnò un momento decisivo per il futuro dell’azienda agricola: quello tra Giuseppe Ciavolich e la nobildonna Ernestina Vicini di Loreto Aprutino, bisnonna di Chiara. “Carismatica, eclettica e anticonformista, è grazie a Donna Ernestina che oggi continuiamo a produrre vino a Loreto Aprutino. A lei non potevamo che dedicare un bianco e un rosato freschi, luminosi e vivaci.”
A Chiara abbiamo chiesto quali siano i punti di forza dell’azienda: “Sicuramente il fatto di essere responsabili dell’intera filiera produttiva, dall’innesto delle barbatelle (che negli ultimi anni riproduciamo a partire dalla individuazione in campo delle marze dagli antichi vigneti a selezione massale degli anni ‘60 e ‘70), alla raccolta, alla vinificazione, alla commercializzazione diretta dei nostri vini, è un notevole punto di forza. A questo si unisce la forte storicità e il legame con il territorio”.
Trentatré ettari di vigneti, sparsi tra Loreto Aprutino e Pianella, un territorio arcaico, dove a ulivi secolari si alterna una natura ancora selvatica, caratterizzata dallo stile autentico, unico ed elegante della cantina. Ogni etichetta fotografa un periodo storico ben definito dell’azienda e svela con discrezione alcuni segreti della propria identità, come l’ideazione dell’etichetta Fosso Cancelli, vino preferito da Chiara, interamente artigianale. “Il nome richiama il fosso che delimita i vigneti da cui vengono attinte le uve di Montepulciano, sono i vigneti più antichi della tenuta di Loreto Aprutino e vengono riportati in etichetta a sottolineare il grande legame con il territorio. La fermentazione avveniva in immense vasche di cemento, erano gli anni Sessanta, non c’erano vie di mezzo e l’idea di avere un vino che riuscisse a fotografare un’epoca storica mi ha sempre affascinato”.
L’idea di dar valore al territorio attraverso il vino e al vino attraverso il territorio è uno degli obiettivi portanti della cultura d’impresa dell’azienda, da sempre impegnata in progetti d’arte, letteratura e filosofia, capaci di valorizzare il patrimonio storico ed enoico ricevuto in eredità. Concentrando la produzione nel territorio di Loreto Aprutino, Chiara ha riservato alla cantina dell’Ottocento di Miglianico un alto valore storico e culturale, dando valore anche a una realtà concreta fatta di persone, che negli anni si sono tramandati un sapere, una cultura della terra e del suo prodotto. “Oggi si parla tanto di sostenibilità ambientale: per me, un’azienda agricola che sia tale di nome e di fatto, non può oggi più che mai prescindere prima di tutto dal suo ruolo sociale”.
Un ruolo che per una azienda agricola è di grande responsabilità e si estrinseca nella sua capacità di offrire continuità attraverso la creazione di rapporti solidi con le persone che vi lavorano e vi collaborano e nella sua capacità di creare e trasmettere dei valori. Valori di un territorio dall’animo forte e gentile, come quello abruzzese, con il fascino mistico e un po’ esoterico delle sue montagne che nel tempo hanno dato rifugio a moltissimi monaci e a qualche santo.
Il Divus Montepulciano d’Abruzzo Dop, prima bottiglia in commercio, nata nel 1987 grazie alla mamma di Chiara, Anna, presenta in etichetta la medaglia con il volto di Diocleziano, imperatore romano che concesse al Montepulciano d’Abruzzo un prezzo altissimo per l’epoca; da qui la scelta del nome DIVUS, appellativo riservato agli imperatori che venivano divinizzati attraverso un processo chiamato “apoteosi” dal greco ἀποϑέωσις: deificare.
Abbiamo, infine, chiesto a Chiara di svelarci qualche progetto futuro. “Il progetto più importante a cui partecipo ogni giorno è il mio progetto di vita che è quello di proiettare nel futuro la storia antica da cui provengo e la realtà agricola che ho ricevuto in eredità, riguadagnandomela con il mio lavoro e impegno, in modo da poterla possedere pienamente (come diceva Goethe). Per farlo, il timone punta verso la rotta dell’aumento del valore attraverso un lavoro sempre migliore sul vino e una fiducia sempre più grande in se stessi”.