Non mi sono laureata.
Me ne dispiaccio parecchio, più che altro per l’incompletezza del percorso: il sogno di brandire la mia definizione di carta è stato lasciato a sopravvivere, ferito, in qualche campo di guerra, come un cervo senza una zampa. Come una bruschetta senza olio. La bacheca della facoltà di informatica riportava inviti seducenti: banche, istituzioni, società di quelle che guadagnano ti avrebbero preso e formato, su una scala uno a uno, se tu avessi abbandonato la tua sala senza computer dell’università e avessi abbracciato la causa del denaro privato. Così ho fatto.
All’Osmannoro, un’area che sta fra la discarica coi gabbiani e Firenze, mi hanno tirato su a pane e cobol, php, pearl, html. Ho abbracciato la logica del mainframe e imparato che ad azione segue reazione, che si parte dal no per arrivare al sì e che il più grande dei problemi è sempre divisibile in molti piccoli problemini, tutti risolvibili.
Tornavo di tanto in tanto all’università ma la sirena dell’Osmannoro cantava forte e io tornavo lì, supportata (anche) dall’assenza fisica e spirituale del mio corpo docente.
In capo a pochi mesi avrei saputo disegnare un sito partendo da un blocco note, avrei abbracciato le tabelle e scoperto il magico mondo dei templates. In capo a pochi mesi avrei fatto milionate di lire in due ore scarse e abbandonato l’università, senza darne l’annuncio, per gettarmi a pieno ritmo nel mio mondo elettronico.
Ricordo con dolore il senso di incompiutezza e quello di colpa. Certi giorni mi sentivo così rarefatta che l’unica cura era entrare in libreria, comprare un volume universitario alto come uno scalino e studiarlo tutto. Mi sono costruita una cultura, se vogliamo chiamarla così, di elementi disparati: libri senza figure, tomi di carta leggera, copertine orride.
Da un lato la farfalla con le ali spiegate, dall’altro il calvinista riformatore che vi applica dei pesi, così volare non può essere un piacere.
Dopo venti anni mi devo girare con riconoscenza sia verso il calvinista che verso la farfalla: il loro fluttuare ostinato e scomodo si è intrecciato fortunosamente con alcune vicende, grandiosamente con qualche incontro benedetto, e ha prodotto una specie di brodo primordiale dentro al quale tutto diventa fecondo e si riproduce. La culturetta DIY costruita è diventata un insieme di competenze pratiche che, per quanto strambe e disparate, rappresenta oggi un ottimo pacchetto di base per chiunque utilizzi l’informatica e i social media per lo sviluppo del proprio business, ovvero per l’ottanta percento delle società che funzionano. La passione per il ritocco fotografico, nata come disperata ricerca della propria forma fisica perfetta, almeno nelle foto, ha trovato applicazione in quasi ogni settore del marketing di cui faccio utilizzo.
Una bella fortuna.
Nel frattempo tutto attorno a me, a noi, sono successe cose grandiose: i dischi fissi sono diventati clouds - nuvole di dati accessibili a multi utenti da piattaforme estremanente semplici da utilizzare, il segnale wireless è arrivato praticamente dovunque e sono nati gli hashtag, che hanno di fatto demolito la necessità di pagarsi uno spazio su google per apparire nelle ricerche.
Il fatto che i dati siano diventati da materiali a immateriali ci ha provocato non poche domande anche di carattere esistenziale e cambiamenti epocali nella gestione economica di un ufficio, mentre il gota dell’economia che non si vede e di cui si sa pochissino ha generato il bitcoin, la moneta intangibile del futuro, oggi nelle mani di quell’1% che governa economicamente il mondo: così come noi poveri disgraziati combattiamo per un mutuo a tasso onesto dentro una banca di persone, così altrettanto i pesci grossi si scambiano bilioni di valore senza il controllo di quelle entità che a noi sequestrano la casa, se le rate sono in ritardo. Due mondi: uno volatile e uno attaccato alla terra stanno per arrivare allo scontro finale, mentre tutti noi compiliamo schede di iscrizione di carta con la biro per accedere a un corso di formazione e ci accorgiamo di molto poco.
Sapere è, oggi più che mai, potere, eppure con questo bendiddio di informazione accessibile riusciamo a essere ignoranti, immobili.
E se la cultura è un insieme di nozioni accessibili che vengono apprese e digerite dalla migliore delle fonti, se quelli che comandano mandano i loro figli nelle scuole in cui si insegna a “diventare leader”, ovvero tenere informazioni di grandissima caratura segrete alla stragrande maggioranza degli “altri”, che cosa succede se si apre una breccia e quegli stessi insegnanti iniziano a divulgare gratuitamente tali nozioni, tecniche, furberie? E se questo accade, perché questo accade, che differenza c’è allora fra uno smanettatore professionista che segue un corso di legge di Harvard e un suo collega che frequenta il corso live, se non un pezzo di carta e la possibilità di frequentare la caffetteria? Ma abbiamo detto che la carta è obsoleta, tangibile: morta, nella sua accezione di permesso della società a operare in un certo campo.
La risposta a tutte queste domande non è ancora chiaramente definita, ma intanto è nato MOOC, powered by Google, e Iversity, due focolai della rivoluzione delle rivoluzioni: get your best culture online. For free.
Così il prossimo corso che seguirò si chiama “Organizational Analysis” e lo tiene, online al costo della mia connessione internet, il professor Daniel A. McFarland, Associate Professor of Education and Sociology and Organizational Behaviour a Stanford. Mi è arrivata l’email che domani si inizia e il link per il forum.
Per chi si stesse domandando di cosa sto parlando, l’argomento è il potere, ovvero la cultura, ovvero ancora la capacità di ottenere le proprie fonti senza che queste siano inquinate o obnubilate, ovvero l’utilizzo delle idee (e delle parole) come mezzo autoprodotto in grado di creare il nostro sostentamento, ideale e fisico. Non un impero le cui regole riguardino la maniera con cui leggiamo i libri ma un’anarchia ordinata e rispettosa in cui l’uomo - la donna - diventino templi della propria conoscenza e creature disposte alla condivisione, con accesso illimitato alle fonti della sapienza - ovvero del potere.
E come si veste questo uomo nuovo che vive nelle nuvole e che guardando i soldi di carta sorride? Quali tessuti indossa e, soprattutto, perché?Quanta probabilità esiste che questo uomo, o questa donna, abbia oggi una signora con una bella cuffietta in testa che gli lava la camicia, le stira la gonna, inamida i pantaloni? Poche. Pochissime. Questo uomo e questa donna stanno oggi combattendo contro un sistema che, per non sapere dove sbattere la testa, li tassa fino alla morte, controlla la loro velocità in auto e controlla i loro redditi di carta: non hanno molto tempo per il taffetà, che si strappa a guardarlo, o per fare un sacco di lavatrici - che oltretutto costano e inquinano.
Questi uomini nuovi vorrebbero mettersi qualcosa che li protegge dal freddo, o dal caldo, che esalta la loro forma qualunque essa sia e che dura per parecchio tempo. Qualcosa che si pulisce velocemente, senza dovere passare da cento lavatrici.
Vado a trovare questo guardaroba alla London Fashion Week, convinta di vedere il mio futuro mediante il guardaroba, ma mi ritrovo in questo mondo antico - che non mi vuole più, che io non bramo più - fatto perlopiù di colori che si devono accoppiare e di cose belle che durano il tempo di una stagione. Faccette di cane cucite su maglioncini impalpabili. Vestiti di lattice con cento fiocchi. Piume.
Pochi sprazzi, poca visione futuristica, persone che parlano un linguaggio chiaro solo a loro, uno dopo l’altro mi spiegano perché loro pensano che quell’oggetto sia fantastico ma nessuno mi chiede cosa ne penso io. Ognuno di loro compra i tessuti in Italia, chiaramente, lavora solo con artigiani di prima qualità e ha realizzato una “collezione fantastica”. Onanismi in tessuti e guise vari.
La parte più divertente di questa mostra del vestito sono le persone vestite per farsi fotografare, una epifania di stile-non-stile che mette di buon umore: siamo esseri umani, fatti di materia, dopo tutto.
Per maggiori informazioni:
http://www.mooc-list.com/
https://iversity.org/courses