La mostra Pompei@Madre. Materia Archeologica si basa su un rigoroso progetto di ricerca, risultante dall’inedita collaborazione fra il Parco Archeologico di Pompei e il Madre. A partire dal confronto fra le rispettive metodologie di ricerca, ambiti disciplinari, collezioni, la mostra indaga le possibili, molteplici relazioni fra patrimonio archeologico e ricerca artistica, proponendo un dialogo fra straordinari e spesso inediti materiali archeologici, tutti di provenienza pompeiana, e opere d’arte moderna e contemporanea.
Con la definizione “materia archeologica” si intende innanzitutto la disciplina in sé dell’archeologia (dal greco ἀρχαιολογία: ἀρχαῖος, “antico”, λόγος, “studio”): ovvero la ricerca sulle civiltà antiche attraverso lo scavo, la conservazione, la catalogazione, la documentazione e l’analisi di reperti quali architetture, opere d’arte, manufatti d’uso comune, resti organici e inorganici, posti in relazione all’ambiente del loro reperimento. Il fatto stesso che l’archeologia debba, per recuperare il passato, agire nel presente – secondo un processo aperto all’intuizione, all’interpretazione, alla sperimentazione, all’invenzione – e la natura frammentaria degli oggetti di studio archeologici – che obbliga a una visione olistica, ovvero all’utilizzo integrato di più discipline per ricomporre la frammentarietà in un’unità ipotetica – rendono la “materia archeologica” una disciplina potenzialmente anche contemporanea. Stimolando così un approccio multidisciplinare che unisce fra loro categorie estetiche e funzioni d’uso, teoria e pratica, scienze umane e scienze dure. Un palinsesto aperto alla costante ridefinizione delle proprie metodologie, strumenti di indagine, giudizi, e del concetto stesso di “tempo”, “spazio”, “storia” e “realtà”. Inoltre, la prospettiva temporale estesa che l’accostamento fra archeologia e contemporaneità evoca permette di rivelare ed esplorare la materialità dei reperti archeologici nel loro stato di conservazione attuale: ovvero l’intima fragilità, la natura effimera e il destino entropico di ogni opera d’arte, di ogni civiltà e di ogni cultura (e quindi della storia umana stessa). Destinate non solo ad essere sostituite da nuove opere, civiltà e culture ma a confrontarsi, nella loro consistenza storica, con la loro origine e con la loro destinazione naturali.
Sotto la loro temporanea pelle estetica le sculture, i mosaici, gli affreschi provenienti da Pompei presenti in mostra suggeriscono i contorni mobili di una rigenerazione permanente: prima di divenire oggetti artistici ognuna di queste sculture, mosaici o affreschi è stata una “materia naturale”, pietre o polveri di colore tratte da conchiglie, frutti, radici o fonti minerali. Nella sua stratigrafia culturale e naturale Pompei rappresenta quindi, epistemologicamente, un laboratorio straordinario, in cui il tempo, per secoli, si è fermato restituendoci – nella fragranza di un rapporto quasi di prossimità con il passato remoto – frammenti che sono indizi di una civiltà scomparsa ma resiliente: una vera e propria macchina del tempo che, riconsegnandoci la storia di innumerevoli materie immerse nel flusso del tempo storico e naturale, sfuma la differenza fra passato e presente, natura e cultura, vita e morte, distruzione e ricostruzione.
Nel suo complesso il progetto fa emergere e mette in scena inoltre le potenziali connessioni fra le varie istituzioni culturali che operano in un territorio quale quello campano, e più in generale mediterraneo: essi stessi palinsesti la cui biodiversità tanto naturale quanto culturale delinea un ipotetico museo diffuso, un sistema integrato in cui – fra epoche, materie, contenuti, metodi, discipline e istituzioni differenti – è possibile percorrere gli oltre trenta secoli di contemporaneità della Campania Felix e della cultura mediterranea. Il progetto è in questo senso il risultato di una vera e propria “sinergia repubblicana” che deriva dalla collaborazione fra un sito nazionale e un museo regionale, affermando quanto ogni collezione di opere, manufatti, idee ed esperienze che compongono un patrimonio culturale è di per sé sempre una collezione contemporanea e che il patrimonio del passato è esperibile non solo quale “eredità”, ma anche quale “metodo” a cui riferirsi per comprendere il presente e per delineare il futuro, come sembra rivendicare appunto la “materia archeologica” di Pompei.
Uno speciale programma per il pubblico, dedicato alla presentazione periodica di opere audio e video, sarà presentato a partire da aprile 2018. Insieme ad altri interventi artistici site-specific coordinati dal Madre negli anni futuri, il progetto comprende infine, a partire dall’estate 2018, l’avvio di un protocollo d’intesa, attualmente allo studio, che – attraverso la supervisione generale e il coordinamento del Madre e la definizione di un metodo di lavoro comune fra il Parco Archeologico di Pompei e i maggiori musei d’arte contemporanea del mondo – permetterà l’utilizzo di “materie archeologiche” pompeiane per la commissione, concezione, produzione di nuove opere d’arte contemporanea: Materia Archeologica. Pompeii Commissions (2018-in progress).
Il percorso della mostra ha inizio nell’atrio di ingresso e al primo piano del Madre, che ospita le collezioni storiche del museo, con Pompei@Madre. Materia Archeologica: Le Collezioni. L’accostamento con le opere e i manufatti provenienti da Pompei rimette in prospettiva le opere della collezione site-specific di Palazzo Donnaregina, trasformandola per un intero anno in una vera e propria domus contemporanea. A partire dall’ingresso di Daniel Buren (Axer-Désaxer, 2015) – vestibulum, atrium e peristilium mosso dal suo stesso asse interno fino a dialogare con la strada all’esterno – dove dietro a un’antica porta d’ingresso compaiono elementi quali gli estremi di un tavolo, una cassaforte e una cista (fino al 30 aprile 2018). Il percorso di mostra continua nelle sale monografiche del primo piano, con cui il museo Madre inaugurò le sue attività nel 2005: l’epigrafe di Domenico Bianchi sullo scalone destro si confronta con epigrafi scritte in latino, come se fossero “storie nella Storia”; la sala affrescata e decorata di maioliche di Francesco Clemente diviene fulcro della domus, ovvero tablinum e triclinium, sala di rappresentanza del dominus e sala dei ricevimenti e dei banchetti; lo sguardo alla volta celeste di Luciano Fabro, con le sue stelle e le sue mitologie, riporta a una relazione con la dimensione astrale, con ciò che nel cielo risiede e che dal cielo può cadere, per manifestarsi sulla terra, apparizione inusitata del profilo di un compluvium che si specchia in un impluvium; tutto il tema del viaggio di Jannis Kounellis sembra riverberarsi in un mosaico pavimentale gremito di creature marine che, circondando una grande ancora, collocano la comunità antica nel caleidoscopio dei suoi peripli di esseri umani, di merci e di storie; mentre il rapporto fra figurazione e astrazione proprio delle decorazioni ambientali pompeiane si espande nelle sale di Sol LeWitt e Jeff Koons, e i lacerti di pitture parietali e di decorazioni scultoree echeggiano nelle sale di Giulio Paolini e Richard Serra. E se la sala cosparsa di fango di Richard Long suggerisce la necessità quotidiana di un rapporto con la materia viva di una cucina (culina), le capuzzelle di Rebecca Horn, con la loro storia di vanitas e memento mori folklorici, riportano in superficie un culto degli antenati (Lares e Penates) e una memoria dei defunti (sepulcra) che si approfondisce ulteriormente nella dimensione sotterranea, ctonia, del buco nero nel pavimento di Anish Kapoor. In questa sequenza di camere (oeci), la sala di Mimmo Paladino sembra ospitare, infine, il sonno di un cubiculum: dove giace, in un immoto fremito, il calco di due dei tanti “dormienti” – un padre con il suo bambino – dell’antica Pompei. La mostra continua al terzo piano del museo Madre, con Pompei@Madre. Materia Archeologica.