Quando diciamo che un dato fattore è portante, consideriamo che questo fattore è votato spontaneamente ad un certo sviluppo, sul quale possiamo far leva: invece di far dipendere tutto dalla nostra iniziativa, riconosciamo che nella situazione è inscritto un certo potenziale, che dobbiamo individuare, e da cui possiamo lasciarci ‘portare’.
(François Jullien, Trattato dell’efficacia)
Il cambiamento c’è sempre: siamo noi i primi a cambiare costantemente, attimo dopo attimo, quasi senza rendercene conto. Ogni giorno nel nostro corpo muoiono da 50 a 100 miliardi di cellule che verranno rinnovate da altre e ogni mattina, quando ci alziamo, siamo un po’ diversi rispetto alla sera precedente. I nostri cambiamenti interni diventano anche esterni, che ci piaccia o no. Giorno dopo giorno cresciamo, fino a quando il crescere non diventa, quasi impercettibilmente, invecchiare.
Quindi: cambiamento interiore produce cambiamento esteriore. E se facciamo fatica a riconoscerlo in noi stessi poiché non abbiamo la facoltà di vederci dall’esterno mentre viviamo o dall’interno mentre invecchiamo, possiamo essere certi che sono gli altri ad accorgersi di questi piccoli, ma inesorabili cambiamenti e a vederci per quello che siamo in quel preciso istante in cui ci stanno osservando, diventando lo specchio in cui guardarci e riconoscerci per ciò che siamo diventati. Il cambiamento interiore non possiamo ignorarlo.
Ma possiamo ignorare il cambiamento esteriore, quello che avviene al di fuori di noi? Per piccoli cambiamenti, è facile rispondere con un sì. Siamo distratti, la mente quasi sempre altrove rispetto a ciò che facciamo. Agiamo il più delle volte meccanicamente, poco consapevoli di ciò che accade intorno a noi, spinti dalla quotidianità. Ma non quando il vento del cambiamento comincia a soffiare alle nostre porte.
Possiamo ignorarlo per un po’, sperando che passi in fretta e che ci lasci in pace. Che tutto torni come prima, per quanto noiosa possa essere la nostra vita. Ma se il vento continua a soffiare e se, anziché placarsi, la sua forza aumenta, qualcosa dobbiamo fare. Per proteggerci. Per difenderci.
Il primo desiderio è di trovare riparo per poterci sentire tranquilli, affinché tutto torni come prima e anche noi possiamo ritornare alla nostra routine. È un desiderio viscerale, non ha bisogno di spiegazioni. È naturale che sia così.
Diventiamo costruttori di muri. Creiamo un dentro – dove rifugiarci e sentirci protetti – e un fuori, dove ciò che accade non ci riguarda. Muri senza finestre e senza porte. Costruire muri non è difficile: basta mettere una pietra sull’altra, con poca malta che faccia da collante. Chiunque è in grado di farlo, non occorre una particolare competenza. Una pietra dopo l’altra, si può arrivare a costruire muri sempre più alti e sempre più lunghi. Confini di separazione interminabili che corrono lungo la nostra terra chiudendo spazi che diventano reciprocamente ciechi. Non sapere cosa c’è oltre il muro ci rende sicuri, almeno per un po’. L’ignoranza è la nostra forza, e la nostra certezza.
La storia umana è una storia fatta di muri: muri eretti a difesa del cambiamento e muri crollati sotto la spinta del cambiamento. Il sentimento che accompagna la costruzione dei muri è facile da riconoscere: è quello della paura. I muri dei ghetti, i muri delle carceri, i muri dei conventi, i muri delle città fortificate, il muro di Gerusalemme, il muro di Berlino, il muro del Messico, i muri costruiti in questi ultimi anni in Europa: sono tutte testimonianze della nostra paura. Paura di perdere quello che abbiamo e che ormai è già diventato passato, ma che non vogliamo lasciare.
Anche il sentimento che accompagna il crollo dei muri è facile da riconoscere: rabbia, se ad abbatterli è la forza che è stata esclusa e che prorompe furiosamente dall’esterno. Ma se ad abbatterli è chi ci ha vissuto dentro, il sentimento è quello della gioia. Una forma di liberazione, di abbandono a ciò che non può essere più ignorato e che ci ricongiunge con l’esistente, con l’altro, con l’escluso, aprendoci a un reciproco riconoscimento e al cambiamento che ci aspetta oltre i muri. Tutti noi abbiamo ancora negli occhi la gioia di chi si abbracciava tra le macerie del muro di Berlino.
È sempre l’altro a farci da specchio. Come possiamo sapere chi siamo se non lasciando che sia l’altro a mostrarcelo? Rimanere chiusi dietro a un muro ci protegge, è vero, dal vento del cambiamento che soffia, ma ci fa dimenticare chi siamo e non ci permette di sognare chi potremmo diventare. Ci lascia senza possibilità e senza futuro.
Ma non tutti costruiamo muri. C’è anche chi, come dice il proverbio cinese, costruisce mulini. Non è uno stare a guardare cosa accade per trarne, eventualmente, una qualche forma di vantaggio. Non è attendere l’onda che passa per cavalcarla. Non è nemmeno essere aperti al cambiamento. No. È molto di più. È essere costruttori, sempre. Quindi impegno, sudore, fatica. Ma anche capacità di osservazione, di saper attendere il momento opportuno per l’azione. E agire con efficacia, trasformando il potenziale insito nella situazione in miglioramento concreto, per sé per gli altri.
Le competenze per costruire un mulino non sono banali. È facile separarsi dalla situazione costruendo muri, è difficile collegarsi alla situazione trasformando il contesto mentre si trasforma. Non è casualità, né genialità individuale. L’idea di utilizzare il vento per costruire un mulino potrebbe essere mia. O tua. O di un terzo. Ma l’idea che nasce nella mente di uno di noi è solo l’innesco da cui cominciare per costruire qualcosa che opera con il cambiamento, ma insieme ad altri. Per operare nel cambiamento gli altri diventano essenziali: nel sentimento che unisce le persone c’è la forza necessaria per compiere le azioni che devono essere fatte affinché producano effetti a cascata.
Possiamo chiederci quanto, dei cambiamenti che soffiano alle nostre porte, siamo in grado di trasformare in qualcosa di utile in armonia con il cambiamento. È una prospettiva a lungo termine, che ci richiede di essere attivi e trasformativi mentre la realtà si trasforma, e non solo soggetti passivi e spaventati. E di trovare una comunità con cui realizzare le nostre idee di innovazione.
Costruire mulini quando soffia il vento del cambiamento è utilizzare il potenziale della situazione a proprio favore, stando nel processo anziché separandosi da esso. Il cambiamento, invece di essere un ostacolo ai nostri piani già predeterminati, diventa la leva da utilizzare per raggiungere il vantaggio desiderato. Si tratta - come afferma nel suo Trattato dell’efficacia François Jullien, studioso del pensiero cinese - di una intelligenza strategica, in grado di formulare azioni nel mentre dell’evoluzione delle circostanze. La percezione si sposta dal passato – ciò da cui non vorremmo separarci, richiudendoci in esso – agli effetti delle nostre azioni nel futuro, valutandone l’efficacia strategica nel mentre che gli avvenimenti accadono nella loro interdipendenza.
In termini di approccio sistemico, si tratta di applicare un pensiero complesso – che collega gli elementi di una situazione mentre accadono e immaginandone il potenziale sviluppo – invece di un pensiero lineare, che presuppone di collegare cause specifiche a effetti attesi che, il più delle volte, non sono destinati ad accadere secondo i piani auspicati.
Quando soffia il vento del cambiamento, c’è chi costruisce muri e chi mulini.
(Proverbio cinese, da: Internazionale n. 1274, anno 25, pag. 121)