Dal 17 aprile al 1 luglio 2018, la Pinacoteca Ambrosiana ospita la mostra che presenta i “Tarocchi del Mantegna” nelle collezioni della Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano.
L’esposizione, curata da Laura Paola Gnaccolini, propone 28 dei 31 fogli, giunti in Ambrosiana forse già con il nucleo di opere di Federico Borromeo, della più antica e celebre serie a stampa realizzata in Italia Settentrionale nella seconda metà del Quattrocento, ma anche la più misteriosa, per ciò che attiene al possibile autore, luogo di produzione e scopo di realizzazione.
I cosiddetti “Tarocchi del Mantegna” sono composti da 50 stampe incise a bulino di altissima qualità, caratterizzate da un tratto molto sottile, grande dovizia di particolari, un raffinato sistema di tratteggio incrociato per le ombreggiature, divise in cinque serie di 10 elementi ciascuna, che raffigurano nell’insieme l’uomo come microcosmo e l’universo come macrocosmo.
Il fatto che queste incisioni siano per la maggior parte conservate in esemplari sciolti, il formato della stampa simile a quello delle carte da gioco e alcuni soggetti, hanno in passato indotto erroneamente la critica a ritenere che si potesse trattare di un insolito mazzo di tarocchi. Gli esemplari conservati in Ambrosiana sono impreziositi da diversi particolari realizzati in oro in foglia e dall’utilizzo di lumeggiature dorate, in alcuni casi ancora apprezzabili.
I “Tarocchi del Mantegna”, in origine si presentavano rilegati all’interno di libri che, a causa del loro successo collezionistico, vennero ben presto smembrati. Per consentire al visitatore di apprezzare appieno la loro forma primitiva, lungo il percorso espositivo sarà installata una postazione multimediale dove verrà mostrato in digitale l’esemplare conservato nella Pinacoteca Malaspina di Pavia.
Riguardo allo stile, le incisioni furono inizialmente ritenute d’influenza fiorentina, in virtù del confronto con le opere di Baccio Baldini; alla fine del Settecento, con il contributo di Luigi Lanzi (1795-96), ci si orientò verso il Veneto, proponendo talora addirittura l’autografia di Mantegna. Questa proposta, sebbene in seguito abbandonata in favore di una lettura in chiave ferrarese, in stretta relazione con gli affreschi del Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia, restò per sempre legata alla serie.
Recenti studi condotti da Laura Paola Gnaccolini s’indirizzano a un’attribuzione a Lazzaro Bastiani, artista veneziano coevo di Bartolomeo Vivarini, noto anche come miniatore, a cui vennero diverse commissioni pubbliche di notevole rilievo, nelle cui opere giovanili si trovano molti punti di contatto con le incisioni, non solo nella generale proporzione allungata delle figure e nelle fisionomie, ma anche nella resa accurata delle mani, certe disarticolazioni delle spalle, le teste ovali dalla fronte ampia, gli occhi piccoli rotondi dalle palpebre molto segnate.
Alcune incisioni della serie vennero utilizzate dall’umanista marchigiano Ludovico Lazzarelli come spunto per comporre il De deorum gentilium imaginibus, un poemetto didascalico-enciclopedico in distici elegiaci - destinato nella prima intenzione al duca di Ferrara Borso d’Este - dove si nota una perfetta corrispondenza tra il testo poetico e le immagini delle incisioni. Proprio l’attenzione di Lazzarelli all’apparato iconografico delle sue opere porta a dubitare che possa aver utilizzato delle immagini create da altri e a suggerire con prudenza l’ipotesi di una sua responsabilità nell’invenzione della serie. Il suo perdurante interesse per un profondo cammino di rinnovamento interiore, che porti alla contemplazione di Dio, viene documentato in mostra dal manoscritto della sua ultima opera, il Crater Hermetis, un testo dedicato a re Ferdinando d’Aragona.
Accompagna la mostra, il volume (Mondadori Electa) L’UOMO DIVINO. Ludovico Lazzarelli tra il mazzo Sola Busca e i “Tarocchi del Mantegna”, con una proposta per Lazzaro Bastiani, a cura di Laura Paola Gnaccolini, dove si approfondisce la personalità di questo affascinante protagonista del Rinascimento italiano, degno di stare accanto a Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, a cui è già stata recentemente riconosciuta la responsabilità dell’invenzione dei Tarocchi Sola Busca.