Per i novanta anni del nonno tutti i nipotini in pompa magna, quasi in processione guidata da Maria, la più grande, e chiusa da Filippo, il più piccolo, entrano nello studio, dove il vecchio patriarca ama starsene asserragliato per ore, per gli auguri. Gli portano in dono con evidente orgoglio, avvolto in coloratissima carta da regalo, un pullover di cachemire costato un occhio della testa: hanno messo in comune i risparmi sulle paghette e ottenuto un congruo contributo integrativo dai rispettivi genitori.
Il vecchio patriarca, distogliendosi dalle amate carte che coprono disordinatamente la scrivania, li accoglie con gioia e scarta il pacco con ostentata solennità. “Che meraviglia! – esclama sorridendo – Una giaccamaglia di casmirra spago! Ne avevo proprio bisogno. Grazie!”.
I ragazzi a questa affermazione si guardano l’un l’altro perplessi. Sanno bene che il nonno è uomo di spirito, ma questa volta aleggia tra loro il tacito sospetto che si sia un po’ rimbambito. “Forse – sussurra agli altri Maria, che avrebbe il compito di pronunciare a nome di tutti un discorsetto di circostanza – Casmirra Spago sarà stata una stilista dei tempi del nonno”.
Lui recependo il loro stupore li rassicura: “No, non mi sono rimbambito. Sto solo scherzando. Ma adesso vi faccio vedere una cosa. Tira fuori dalla scaffalatura alle sue spalle un grosso libro un po’ malandato e scompaginato e mostrandolo ai nipoti dice con la meticolosità tipica della sua antica professione di bibliotecario: Autore: Cesare Meano. Titolo: Commentario dizionario italiano della moda. Editore: Ente Nazionale della Moda. Anno di pubblicazione: 1938, pagine 537. Il prezzo era indicato sulla quarta di copertina che si è persa. E uno dei libri che papà mi ha lasciato in eredità. E prima che la meraviglia dei ragazzi aumenti corre alla pagina 103 e legge agli ammutoliti nipotini: “E adesso vi leggo tutta una voce del commentario-dizionario. Ne vale la pena.
CASIMIR/CASMIR: la voce francese cachemire, diffusa per indicare la delicata lana di certe pecore del regno indiano che gli Inglesi chiamano Cashmere (pronunzia casc-mir) s’è italianizzata in varie forme. Il Petrocchi ha proposto cascimirra o casmirra; la letteratura ha preferito casimir o casmir; l’uso non ha ancora stabilito le sue preferenze. In commercio e in industria, si designa con questa denominazione un tessuto pettinato rasato ad armatura, appunto, casmir, che è detta anche batavia rotta [1].
Il nonno leva gli occhi dal libro e guarda I ragazzi che si tranquillizzano con un respiro di sollievo e applaudono. Il più giovane subito interviene con la domanda: “E la batavia rotta, cos’è?”. Nessuno osa chiedere chi sia il Petrocchi per evitare il rischio che il discorso del nonno diventi una lezione. Pronto il nonno sfoglia il librone portandosi alla relativa voce e legge: “Si dice batavia (forse dal nome della capitale di Giava) a un tessuto con rigature diagonali”. “Se avete un attimo di tempo e di voglia – riprende incoraggiato dall’applauso e dalla curiosità che è riuscito a suscitare – vi spiego”.
I nipotini che sanno bene che il nonno è un parlatore piacevolissimo assentono con unanime entusiasmo e si mettono seduti sul tappeto dello studio pronti ad ascoltare. Lui si alza e dà il via alla spiegazione.
“Sapete ragazzi, io ero giovanissimo come voi – comincia - Soffiavano allora venti di guerre commerciali assai più violenti di quelli che oggi investono Stati Uniti e Cina. Subivamo severe sanzioni economiche imposte dalla Società delle Nazioni per la nostra invasione dell’Etiopia. L’immediata reazione a queste fu di mettere al bando i prodotti stranieri e di spingerci verso quelli italiani. È cosa molto nota. Assai meno conosciuto l’interesse dello Stato verso la moda, soprattutto femminile, con l’istituzione, se ricordo bene nel 1935, dell’Ente Nazionale della Moda. Fu questo ente che curò la pubblicazione di questo commentario-dizionario”.
“È stato letto assai spesso questo librone – commenta Filippo – se è ridotto in questo stato”.
“Certamente. Mio padre lo teneva sempre a portata di mano. Anche io l’ho consultato moltissimo da adulto, quando ormai queste disposizioni erano solo un ricordo, perché mi sono sempre divertito a scoprire come noi italiani eravamo in quegli anni. Capite, ragazzi, lo scopo dell’ente e del dizionario era quello di combattere non solo le mode francesi e inglesi, ma anche le parole, da riportare alla nostra lingua, anche con qualche forzatura che oggi fa sorridere. Il cashmere, allora, come avete visto, diventa casmir o casimir. E a rafforzare il bisogno dell’italianizzazione, Cesare Meano, l’autore, si appella all’indiscussa autorità di un linguista importante come Petrocchi che proponeva di dire cascimirra o casmirra”.
“E queste disposizioni – chiede uno dei nipotini – erano seguite?”. “Vedete, ragazzi, la volontà dell’Ente Nazionale della Moda fu molto condivisa. Vi mostro adesso un altro vecchio cimelio di famiglia – e dopo una piccola ricerca fatta con un giro degli occhi sulla scaffalatura, sfila un altro librone – È il primo volume dell’Enciclopedia Pratica della Casa della Garzanti del 1941. Vedete, anche questo è a pezzi; la buonanima della nonna lo consultava continuamente; chissà dove è andato a finire il secondo”.
“Al capitolo dedicato alla Moda di ieri e di oggi – spiega - è aggiunto in appendice un dizionario con una significativa premessa. È breve. Ve la leggo: Per ovviare al malvezzo delle molte – troppe! - voci straniere che, specialmente per quel che riguarda la moda e la cura della persona, corrono tuttora su bocche italiane, uniamo qui in appendice un dizionarietto delle voci più usuali straniere con le corrispondenti voci italiane da sostituirvi. Qualche esempio: al posto di pendentif cascaimpetto, al posto di collant attillato” [2].
“Cascaimpetto? – commenta Maria – questa sì che è proprio da ridere”. “Vedete, anche nella moda si doveva fare attenzione all’uso della parola, perché era considerata veicolo non solo di influssi spirituali, ma anche causa di importazioni dall’estero. Innanzitutto, ragazzi miei, bisognava fare attenzione ai colori! Stando a questo Commentario-Dizionario, avremmo dovuto dire bigio e non beige, turchino e non bleu, spago e non écru”. “Ed io – dice interrompendolo Maria – che avevo pensato che Casmirra Spago fosse una stilista!”. “Proprio così. Spago era diventato un colore. Occhio poi – incalza il nonno - ai capi di abbigliamento! Non si doveva più indossare il frac, ma la marsina; non il golf, ma il pirata. E non si dovevano usare più il nécessaire o la trousse, ma lo scrignetto e la scarabattola. Ma badate che mia madre, che io ricordi, non si è mai sognata di usare la parola scarabattola al posto di trousse”.
“Vi confesso che mi sono sempre domandato, curiosando tra queste pagine, quale negoziante allora capisse immediatamente di dover fornire un pullover al cliente che gli chiedesse una giaccamaglia. E ho sempre immaginato che nessuno, senza reprimere un riso spontaneo, avrebbe sostituito la parola pois nientemeno che con pisello decorativo. L’ ho visto bene il vostro stupore quando per scherzare ho detto giaccamaglia di casmirra spago! Figuratevi poi se una signora di quei tempi poteva mai rassegnarsi a chiamare le giarrettiere legaccioli!”. “Ma allora – chiede uno dei nipoti – ve ne fregavate di queste indicazioni, e continuavate a usare parole straniere?”. “Che dirvi? Io ero ragazzino come voi e naturalmente mi interessavano assai poco queste cose. Personalmente non ho mai sentito i miei genitori pronunciare parole come giaccamaglia, cascaimpetto o legaccioli. Alcune proposte sembrano davvero esagerate; alcune non potevano certo sperare di avere successo. Pensate che si consigliava di usare la parola calzoni e non pantaloni, che era di lontana origine francese. Avremmo dovuto dire finanziera invece di redingote e finimento invece di parure. È evidente che Il suo autore ce la metteva tutta per italianizzare i termini stranieri, e, spaziando alfabeticamente da àbaca a zucchetto, forniva circostanziati riferimenti sull’origine delle nuove parole da adottare. Un impegno molto serio. Ma, attenzione! Di tanto in tanto c’era qualche rara concessione alla battuta, come accade alla voce Lampo. La chiusura lampo era ritenuta un’assoluta rivoluzione”.
“La zip?” chiede Maria. “Sì proprio la zip – conferma il nonno – e guardate come ne è spiegato il funzionamento: ingegnoso sistema per sostituire l’abbottonatura delle vesti; un piccolo cursore, passando fra due catenelle, le unisce se sono disgiunte, le disunisce se sono unite. E qui l’autore finalmente si lascia andare a un po’ di ironia, riferendo che dalla Francia sarebbe venuto, per la velocità di manovra della chiusura lampo, un modo di dire malizioso: signor sì quando apre, signor no, quando chiude [3].
“Questa si che è bella! – commenta Maria – Signor sì, quando la zip scende, signor no, quando la zip sale. Questa la devo proprio raccontare a scuola”. “Pensate, ragazzi – fa il nonno col tono di chi chiude una spiegazione - cosa potrebbe succedere oggi nella nostra moda, se dovesse tornare questo obbligo! Come tradurre le parole K-way, babydoll, bikini, patchwork, bomber?” I nipotini sorridono e applaudono con calore.
[1] Cesare Meano, Commentario dizionario Italiano della Moda. Torino, Ente Nazionale della Moda, 1938-XVI. Pag.103
[2] Enciclopedia Pratica della Casa. Milano, Garzanti, 1941, vol. II pag. 581-5812
[3] Cesare Meano op.cit. pag. 246