Si parla davvero molto di trauma, in particolare in questi ultimi tempi. Pare quasi che il trauma, e in particolare il trauma da abuso sessuale, che è considerato nell’immaginario collettivo come il trauma per eccellenza, siano la spiegazione di tutti i mali. In qualità di psicologa, psicoterapeuta accreditata come practitioner nella tecnica EMDR, la metodica ad oggi più accreditata ed evidence based nel trattamento del disturbo da stress post-traumatico, mi sento di fare alcune osservazioni su questo tema.
Tali osservazioni nascono sì dalla pratica clinica, ma scaturiscono anche dal gran parlare di trauma. Non voglio tuttavia entrare nel merito delle azioni e delle denunce, poiché non è certamente mio compito né ruolo valutare. Il mio desiderio è invece quello di fare un po’ di chiarezza sul concetto di trauma e sull’effetto che esso ha sull’organismo.
Un trauma è un evento inaspettato, di segno negativo, a cui il soggetto reagisce con un vuoto di pensiero. La passività del soggetto, quindi la sua difficoltà nel farvi fronte, descrivono una situazione di impotenza che, nelle sue punte estreme, si relaziona con la morte, l’evento che ci vede impotenti nella misura più assoluta e totalizzante. Le cicatrici di un trauma subìto permangono nel cervello per molto tempo, tanto che le persone traumatizzate continuano a sentirne i sintomi per anni, a volte anche per tutta una vita.
Tuttavia, occorre sottolineare che gli eventi non sono uguali per tutti: ciò che per una persona costituisce un fortissimo trauma subìto, senza quindi la capacità di farvi fronte, per un’altra persona può rappresentare un momento molto difficile, ma passibile di venire superato, elaborato e talvolta anche dimenticato, senza nemmeno la necessità di un intervento terapeutico.
In altre parole, nelle situazioni che viviamo, molto conta la nostra capacità di far fronte agli eventi. Tale capacità dipende dalla nostra condizione di equilibrio al momento del trauma, dalla condizione di salute psico-fisica di base, di partenza, dalle risorse mentali, fisiche e sociali di far fronte all’evento. Come si è detto all’inizio, il trauma – per definizione – è tale se vede il soggetto passivo, cioè incapace di far fronte a quanto sta succedendo.
In altre parole, se siamo in grado di far fronte all’evento traumatico, per quanto doloroso esso sia, non porteremo su di noi gli effetti devastanti che invece lasciano il segno su un soggetto emotivamente fragile, non in equilibrio, con poche risorse che lo sostengano.
Se un soggetto è forte, grazie ad esperienze positive pregresse, a modelli forti di riferimento, ad un buon sistema immunitario, se parte da una base capace, definita, se ha un sé strutturato, allora sarà in grado di reagire, l’evento traumatico sarà per lui certamente d’impatto, ma verrà anche gestito in maniera attiva. Se la persona che subisce un’aggressione, una violenza, un evento naturale catastrofico è in grado di “reggere agli urti”, di adeguarsi, di avere reazioni, di mettere in atto meccanismi attivi di sopravvivenza e di superamento, allora ciò che per un altro è un trauma devastante potrà ridursi nella sua portata, potrà “sgonfiarsi”, limitando nettamente i suoi effetti e quindi anche la produzione di sintomi.
Quindi, mi sento di raccomandare di valutare ogni notizia per quello che è: se viene riportata dai media una situazione negativa, traumatica, occorre sempre porsi la domanda: “Chi c’è dall’altra parte? Come e in che condizioni è la persona che subisce il trauma?”. Questo atteggiamento evita di amplificare la portata dei messaggi, mantenendo obiettività e limpidezza di pensiero. In ultimo, evita di generalizzare. Perché il trauma, per definizione, non può essere generalizzato.