Il 12 settembre 2015 Salvo è scomparso dal mondo, lasciando un vuoto incolmabile nell’arte Italiana e di Torino, la sua città d’adozione.
Inutile sottolineare ancora una volta la storia di un intellettuale –questo il termine che meglio gli si addice, non solo pittore approdato ai colori dopo una significativa militanza concettuale- autodidatta spinto da una curiosità vorace, certamente uno degli uomini più colti che ho mai incontrato. Per Salvo essere artista voleva dire stare in bilico tra il ragionamento teorico e l’esercizio erudito, il coup de theatre e le esigenze del mercato, la soluzione improbabile e il mestiere collaudato. Con lui mai un momento di noia, la sensazione di ripetersi, l’autocompiacimento di fronte a un mestiere sì bello ma in fondo pur sempre un lavoro, più quotidiano che eroico.
Potrei sottolineare i tanti incontri, le cene, i viaggi, tutto sempre condito da uno spirito di avventura leggero e ironico. Farei però torto all’artista, immenso, raffinatissimo, mai banale. Una fortuna averlo incontrato, conosciuto, lavorato, un po’ perso con rammarico negli ultimi tempi. Salvo ha rappresentato una delle più autentiche ragioni che mi hanno spinto ad approfondire questo mestiere. Eppure raramente abbiamo parlato di pittura: molto più di libri, film, curiosità, calcio anche. Di fronte a un suo quadro era sufficiente guardare. E lasciarsi andare.
A dieci anni esatti dalla retrospettiva che gli dedicò la GAM di Torino, una “medaglia” che Salvo accettò con il suo solito pudore e la sua proverbiale riservatezza, la Galleria In Arco ripropone un percorso esaustivo e completo nella pittura dell’artista siciliano, che era nato a Leonforte nel 1947, offrendo una sorta di “best of” di una carriera davvero importante, a partire dagli anni Settanta, quando si consumò il definitivo passaggio da quello che Renato Barilli aveva chiamato il concettuale differente al dipingere, fino ai tempi più recenti, in cui Salvo prosegue nella sua esplorazione inesausta della pittura di genere, tra paesaggio, natura morta, scena d’interno, inserendo raramente alcuni personaggi e figure. Una sfida soprattutto con se stesso, nella ripetizione mnemonica, mai appuntata, di quegli elementi che servono nella costruzione di un quadro al fine di raggiungere la perfezione, come in un’inquadratura cinematografica.
Ho voluto prelevare, per questa mostra, il titolo di un suo quadro: La strada di casa. Perché tornare a scrivere di Salvo oggi per me significa davvero ritornare in uno dei luoghi per me più cari e importanti nella mia attività di critico. La Galleria In Arco di piazza Vittorio Veneto, che proprio nel 1990 aprì la nuova e definitiva sede con una sua spettacolare e rarissima mostra, Interni con funzione straordinaria, un unico soggetto ripetuto tante volte su variazioni minime, a ribadire se ce ne fosse ancora bisogno che la pittura è prima di tutto risultato del pensiero, della teoria e dell’intelligenza.
Sempre rispondendo a un invito di Sergio Bertaccini, mi sono poi ritrovato a scrivere per Là, metà anni Novanta, uno dei testi a cui sono più affezionato perché Salvo mi consentì l’utilizzo di una lingua sperimentale dove il linguaggio critico era messo da parte in favore dell’esercizio mnemonico, una specie di Je me souviens ispirato al grande maestro Georges Perec.
Pubblichiamo ora, per l’occasione, un catalogo ancor più ricco della mostra, un repertorio caleidoscopico di immagini e figure da sfogliare come un album. Non di ricordi, soltanto, ma di frames a colori che dimostrano, una volta di più, la grandezza solitaria, senza uguali, di un talento puro che ho amato tantissimo e di un uomo che mi manca altrettanto.
Non so dove sia Salvo ora, ma sono certo che se leggerà queste parole le troverà esagerate, assumerà un’espressione tra il contrito e l’imbarazzato, chiedendomi per favore di non esagerare.
Testo a cura di Luca Beatrice