La rassegna ripercorre la genesi di uno dei massimi capolavori di Enrico Baj: dai lavori del periodo nucleare a una rilettura delle opere monumentali degli anni settanta, il percorso espositivo presenta le storie dell’Apocalisse attraverso una serie di dipinti a dripping, una grande tela e 150 sagome dipinte su tavola.
Palazzo Leone da Perego/MA*GA di Legnano (MI) ospita, dal 6 novembre 2016 al 26 febbraio 2017, la mostra che ripercorre la genesi dell’Apocalisse, uno dei massimi capolavori di Enrico Baj (Milano, 1924-2003).
La rassegna, curata da Emma Zanella, Roberta Cerini Baj e Chiara Gatti, organizzata in collaborazione con la Fondazione Marconi di Milano e l’Archivio Baj di Vergiate (VA), rientra a pieno titolo nella linea espositiva del Polo museale dell’alto milanese per l’arte contemporanea che unisce in un unico progetto culturale le due sedi del MA*GA di Gallarate e di Palazzo Leone da Perego a Legnano, focalizzandosi sui grandi maestri di area lombarda.
Baj, milanese di origine, ha infatti legato lunga parte della propria esperienza al territorio di Varese, in particolare a Vergiate, dove si trasferì alla fine degli anni sessanta.
Dopo la retrospettiva recentemente tenuta ad Aosta, che testimonia la continua attenzione della comunità artistica verso il lavoro di Enrico Baj, l’esposizione legnanese approfondisce un importante capitolo della sua vicenda creativa, ovvero si concentra sul ciclo narrativo costituito dall’Apocalisse, un’ installazione di grandi dimensioni realizzata a cavallo tra gli anni settanta e ottanta.
A questa opera Baj si dedicò in maniera totale, aggiungendo sagoma a sagoma, personaggio a personaggio, in una giostra di creature maligne e grottesche, un carosello di mostruosità esuberanti, un abisso psichedelico di danze macabre concepite per essere lo specchio di un mondo in degrado, viziato dal benessere a tal punto da non accorgersi del gorgo che lo inghiotte. La denuncia ai mali della contemporaneità sferrata da Baj a suon di linguacce e gestacci, di nomi osceni e irriverenti (Linguinbocca, Mangiagiduglie, Ranocchio cornuto, Cazzorittocannibal-mangiabambini) fa riflettere sulle miserie dell'umanità e su quell'ansia di potere che ha corrotto anche i suoi personaggi più mansueti, trasformandoli in piccoli demoni.
Il percorso allestito a Palazzo Leone da Perego si sviluppa per sezioni tematiche, accompagnate da un corredo didattico che narra la storia dell'Apocalisse sin dalla genesi.
Si parte dal periodo nucleare e da una scelta di lavori precorritori del tema, datati ai primi anni sessanta: le prime spirali, gli “ultracorpi” usciti dal magma della materia ancestrale.
Si passa quindi alla riflessione sull'eredità figurale di Picasso, con le citazioni di Guernica, e un riferimento ai Funerali dell'anarchico Pinelli, con un modello in scala della celebre installazione.
Le storie dell'Apocalisse si dipanano nei tre spazi seguenti; prima con una sequenza di teli dipinti a dripping, con personaggi infernali e pipistrelli goffi, quindi con una tela monumentale coronata da un cielo quasi puntinista che anticipa l'alba del nuovo giorno, infine con una giostra delle vanità popolata da 150 sagome dipinte su tavola, capaci di resuscitare un immaginario medievale, una tradizione antica di iconografie che attingono alla grande letteratura del mostruoso, a quella fauna romanica che ha ispirato i gironi danteschi, le fantasie boschiane, ma che per Baj sono allegoria di una attualità umana, specchio di un inferno sociale dove il vero male è rappresentato dal conformismo.
“Una cosa molto importante per l'arte - ricordava Baj - è la capacità e la tendenza a creare testimonianze, la possibilità di rappresentare la nostra epoca, il nostro costume, le nostre ansie, le nostre gioie, i nostri drammi”.
Sullo sfondo della società dei consumi, il male per Baj è il qualunquismo, la logica mediatica che spegne le coscienze, il potere economico che diffonde falsi terrori. Abbandonando il discorso puramente militare, l'iconografia delle parate e dei suoi loschi generali pluridecorati, Baj approda, con l'Apocalisse, a una riflessione universale che, citando in sottotraccia Gli otto peccati capitali della nostra civiltà di Konrad Lorenz, affronta le nostre paure feriali, ma le esorcizza altresì con una sana risata.
Enrico Baj (1924-2003), nasce a Milano, frequenta l’Accademia di Brera e contemporaneamente consegue la laurea in legge. Nel 1951 fonda il Movimento Nucleare e partecipa ai movimenti d’avanguardia italiani e internazionali con mostre, pubblicazioni e manifesti, collaborando con Lucio Fontana, Piero Manzoni, Arman, Yves Klein, il gruppo Phases, Asger Jorn e gli artisti del gruppo CoBrA. A partire dagli anni Cinquanta è presente sulla scena internazionale e in particolare espone regolarmente a Parigi. Vi è una costante che dà significato e coerenza alla vita e al lavoro di questo artista: in oltre cinquant’anni di attività Baj non ha mai cessato di sperimentare e di rinnovarsi, sia nella scelta delle tematiche, sia delle tecniche pittoriche e incisorie. Tra queste preferito è il collage che, associato o no al colore, gli ha permesso di utilizzare ogni sorta di materiale in un continuo gioco combinatorio. Oltre alle stoffe e alle passamanerie, ai bottoni, ai pizzi, alle medaglie, entrano nelle sue opere vetri colorati, frammenti di specchio, impiallacciature e intarsi, parti di Meccano e di Lego, plastiche e celluloidi, pezzi di legno e oggetti di uso quotidiano. Oltre a questo aspetto ludico, costante è l’impegno di Baj contro la violenza e l’aggressività del potere. A partire dai quadri nucleari che rappresentano le paure dell’uomo dopo Hiroshima, attraverso le immagini dei “generali” e delle parate militari che denunciano l’arroganza del potere, Baj approda negli anni Settanta a tre grandi composizioni in cui maggiormente si concretizza il suo impegno: I funerali dell’anarchico Pinelli (1972); Nixon Parade o Watergate, (1974); Apocalisse (1978-2001), work in progress che mette in scena il degrado della contemporaneità e i mostri generati dal sonno della ragione. Per quanto feroce, la sua critica è sempre temperata dall’ironia che conferisce alle sue opere una certa leggerezza: Baj non dimentica mai la lezione di Rabelais e soprattutto di Jarry, creatore di Re Ubu, emblema della tronfia vacuità del potere. Enrico Baj è stato anche scrittore e critico: autore di libri, ha ideato e curato numerosi manifesti e collaborato a molti giornali e riviste.