L’esposizione rilegge mezzo secolo di arte contemporanea in Italia, dall’esperienza del Mac – Movimento Arte Concreta fino ai nomi di punta della scena attuale, come Adrian Paci, Luigi Presicce, Moira Ricci. Il riallestimento della storica mostra del 1966, accompagnato da documenti, video e fotografie e cento opere documentano la ricchezza della collezione permanente di uno tra i primi musei d’arte moderna e contemporanea in Lombardia, con lavori di Felice Casorati, Giorgio de Chirico, Lucio Fontana, Giorgio Morandi, Mario Sironi.
Il Museo MAGA di Gallarate celebra i suoi primi cinquant’anni di attività con la mostra Ritmo sopra a tutto, a cura di Franco Buffoni, che dal 15 ottobre 2016 al 5 febbraio 2017 documenta attraverso cento opere il percorso che ha portato alla formazione delle collezioni del museo stesso, partendo dall’attenzione per il Mac – Movimento Arte Concreta e arrivando alle più recenti tendenze. Un viaggio per immagini che contestualizza il lavoro di ricerca del MAGA, tra le più longeve istituzioni lombarde rivolte all’arte moderna e contemporanea, in un contesto di respiro nazionale, operando una sintesi delle principali esperienze artistiche sviluppatesi dal dopoguerra ad oggi.
Scelta non casuale quella di affidare il progetto alla curatela di Franco Buffoni, originario proprio di Gallarate. Il suo è uno sguardo laterale rispetto all’arte, capace quindi di osservarne i fenomeni in rapporto alla scena culturale generale: da qui la costruzione di un percorso espositivo che trova come referenti concettuali testi dei più grandi poeti del Novecento – da Eugenio Montale a Giovanni Raboni – e che indugia con particolare attenzione su figure che hanno saputo frequentare con uguale fortuna sia l’arte visuale sia la letteratura, spesso ibridandone i linguaggi: non mancano infatti in mostra lavori di Nanni Balestrini, Emilio Isgrò ed Emilio Villa.
A fare da prologo ideale a Ritmo sopra a tutto è il riallestimento che mantiene le proporzioni originali e il criterio espositivo di allora degli spazi del primo museo inaugurato il 15 ottobre 1966 in due appartamenti attigui di circa 170 metri quadrati di via XXV Aprile al 4, affittati dall’amministrazione comunale proprio per dare vita all’allora Civica Galleria d’Arte Moderna, ribattezzata MA*GA con lo spostamento nell’attuale sede nel 2010. Ad essere esposti, oggi come all’epoca, le 123 opere donate dal Premio Nazionale Arti Visive Città di Gallarate alla città come nucleo iniziale del nuovo museo: tra gli altri Afro, Renato Birolli, Carlo Carrà, Franco Gentilini, Ennio Morlotti, Mario Radice, Bruno Saetti, Giuseppe Santomaso, Atanasio Soldati, Ernesto Treccani, Emilio Vedova. Nell’atrio dello stesso edificio, in 900 metri quadrati di superficie espositiva, vennero esposti i lavori di quanti parteciparono all’VIII edizione del Premio Nazionale Arti Visive Città di Gallarate.
È inoltre presente una sezione di documenti, video e fotografie che ripercorre i momenti più importanti della lunga storia del MA*GA dalle origini ad oggi.
Chiusa la parentesi dedicata alla mostra del ’66, il percorso espositivo di Ritmo sopra a tutto si articola secondo una duplice direttrice, sia cronologica sia tematica. Una prima sezione si concentra sull’arte a cavallo tra la fine degli Anni Quaranta e gli Anni Cinquanta. Dalla sala dedicata al Mac – Movimento Arte Concreta, che conta su opere tra gli altri di Atanasio Soldati, Gillo Dorfles, Bruno Munari, Augusto Garau ed è condotta nel segno, sia concettuale sia visivo, della poetessa Amelia Rosselli, di cui sono proposti sia testi in versi sia alcuni inediti acquerelli, si passa a quella che indaga il tema di un paesaggio che si fa sempre più allusivo e introspettivo. Le poesie di Eugenio Montale e Cesare Pavese, quindi, si accompagnano alle tele di Mario Sironi, Ottone Rosai, Giorgio Morandi, Felice Casorati, Ernesto Treccani, Giuseppe Guerreschi, Renzo Vespignani, per un’indagine che interpreta secondo stili e sensibilità differenti lo spaesamento dell’artista nei confronti di un ambiente, naturale e urbano, in vertiginoso mutamento.
Il tema del paesaggio trova una ulteriore originale declinazione nella sala dedicata alla pittura più specificamente naturalista (con opere, tra gli altri, di Ennio Morlotti, Mattia Moreni e Silvio Zanella), cui fa da contraltare la selezione di opere di maestri dello spazialismo come Lucio Fontana ed Emilio Scanavino: un accostamento di forte impatto tra tendenze divergenti sotto il profilo visuale, che sottintendono però una medesima tensione al superamento delle tradizionali dimensioni della figurazione.
Nella sezione dedicata agli Anni Sessanta e Settanta si accentua la correlazione tra le arti visuali e altre forme espressive, nella definizione di una comune – spesso addirittura coincidente – volontà di riscrivere i termini dell’uso del linguaggio. Siamo nella stagione delle cosiddette Neo-avanguardie, che vedono emergere la poesia visiva e le ricerche verbovisuali di Emilio Villa, Nanni Balestrini ed Emilio Isgrò, doverosamente presenti in mostra al Maga. Ma siamo anche nella stagione delle contestazioni e delle grandi battaglie per i diritti civili, che ha tra le sue forze propulsive il movimento femminista: ad esprimere la decisiva esperienza delle donne nell’arte del periodo sono le opere di Carol Rama, Marinella Pirelli, Mirella Bentivoglio e ancora Amelia Rosselli.
Il tempo delle grandi illusioni è però drammaticamente breve, tant’è che già negli stessi anni si sviluppano visioni critiche della società contemporanea, che trovano spesso una efficace valvola di sfogo in un’arte a tratti grottesca, giocosa e quindi apparentemente innocua, in realtà a volte crudelmente satirica, come documentano in mostra le Dame e i Generali di Enrico Baj o gli incubi disegnati di Franco Vaccari.
L’ultima parte della mostra si avvicina alla più stringente contemporaneità e quindi ad un rapporto dialettico tra le arti che si arricchisce di nuovi mezzi espressivi. Si passa così alle articolate strutture concettuali di Alberto Garutti, Cesare Pietroiusti e Luca Vitone e, soprattutto, alle prime ed epocali opere multimediali di Studio Azzurro, cui fanno da pendant gli scritti di Aldo Nove, che all’inizio degli Anni Novanta contribuisce a traghettare la letteratura italiana nel post-moderno. Ormai il processo mimetico tra i più diversi linguaggi espressivi è giunto a completa maturazione, al punto che è lo stesso processo creativo ad essere opera d’arte: come nelle installazioni di Luigi Presicce e nei complessi progetti di Adrian Paci.