Io dormo e il mio cuore veglia
(Cantico dei cantici)Non svegliatevi
(Ivano Fossati, La mia banda suona il rock)Veni Sponsa de Libano
(Purgatorio XXX - 11)
Il linguaggio dell’amore e del corpo è così intenso e fantasmagorico nel Cantico dei cantici che anche ai maggiori esperti è sfuggito il valore di alcuni aspetti come il fatto che nel sacro poema compaiono ben sette altri linguaggi che si intrecciano con quello amoroso/fisico come i fili di un arazzo, le geometrie di un arabesco, le pietre di una cattedrale gotica: il linguaggio della guerra, quello della danza e della festa, la lingua del lavoro, della natura, un’eloquente semantica geografica, un senso particolare del tempo e dello spazio e una speciale attenzione ai numeri e alla dialettica quantitativa/qualitativa.
Il numero sette appartiene poi all’immaginario sapienziale biblico, sabbatico, e il Cantico era testo liturgico sabbatico e pasquale. La Sapienza si è costruita una casa, ha intagliato le sue sette colonne (Proverbi, 9.1). L’importanza culturale-spirituale del testo è colossale: senza il Cantico dei cantici non sarebbe stato pensabile il Dolce Stil Novo né opere quali i Dialoghi dell’Amore di Raimondo Lullo, l’Ipnoherotomachia Poliphili di Francesco Colonna, il culto della Madonna Nera, la cultura cortese che valorizzò l’immagine femminile, e il nostro poema influenzò persino autori come Cimabue, Michelangelo, Rembrandt, nonché fu amato da anime mistiche del calibro di San Giovanni della Croce, il cui Cantico spirituale riecheggia quello salomonico, e da Santa Teresa d’Avila, fino a Francesco di Sales e a Luigi di Montfort.
Non c’è mistico cristiano che non lo citi, anche la giovane estatica Maria Maddalena de Pazzi! Sfugge ancora oggi quale ne sia il “centro del centro”, il ritmo della sua musica, ma non possiamo non indagare e ricordare tutte le note di questa grandiosa sinfonia, senza precedenti, né mai imitata o imitabile. La difficoltà nell’interpretazione di questo testo deriva infatti anche da questo aspetto: il frequente e imprevedibile cambio di scene e di contesti e l’alternanza fra moduli linguistici e narrativi differenti, l’andamento narrativo “dialettico” in quanto continuamente oscillante fra visione/azione/rito (o fra: conversazione/invocazione/celebrazione) e l’intreccio imprevedibile dei tempi verbali e narrativi, fino al moltiplicarsi di “allusioni assolute”, cioè prive di indizi ravvicinati per la ricostruzione del loro contesto genetico-strutturale.
Per cercare di entrare più nel profondo occorre sia enucleare questi sette linguaggi e il loro possibile rapporto sia evidenziare quale siano quelli che chiamo “passaggi segnale” nei quali il testo sembra venirci incontro per aiutarci nella sua stessa lettura e comprensione o, comunque, per darci nuovi strumenti ermeneutici. Per quanto riguarda l’immaginario guerresco riassumiamo alcuni suggestivi passi: il cocchio del Faraone a cui viene paragonata l’Amata, le sentinelle che fanno il giro della città, la torre di Davide con mille scudi, i sessanta guerrieri che accompagnano la lettiga di Salomone, la bellissima immagine di “Colei che sorge come l’aurora…temibile come una linea ben schierata di accampamenti”.
La danza e la festa compaiono subito all’inizio del poema quando l’Eletta esalta l’Amato insieme alle fanciulle e riemerge più volte: dall’invito agli amici di mangiare e di inebriarsi fino alla festa per l’arrivo del re Salomone incoronato e alla danza affascinante della Sulamita. Il tema della natura, anche escludendo gli elementi riferibili al Tempio di Gerusalemme, è comunque ricchissimo: fichi, mele, melograni, noci, uva (i frutti del pasquale charoset) gigli, palme, giardini e deserti, greggi, cervi e capre selvatiche, leoni, leopardi colorano il nostro inno. Intensa pure la lingua del lavoro, della costruzione, dell’impegno: pascolare greggi, forgiare gioielli, intessere ricami, raccogliere mirra e miele, edificare baldacchini e lettighe, fare la guardia alle vigne e alla città, controllare la fioritura delle vigne, la maturazione dei melograni, dei fichi.
Sarebbe poi da indagare se possano individuarsi dei percorsi di sviluppo semantico nella sequenza dei numerosi nomi di luogo, sempre significativi, che compaiono nel testo: Qedar, Cipro, Engaddi, Bether, Gerusalemme, Israele, Libano, Galaad, Amana, Sanir, Hermon, Aminadab, Hesebon, Damasco, Carmelo, Baal-Ammon. Certamente forte è il senso sacrale della fisicità del territorio e il suo intimo rapporto con la storia spirituale di Israele e di Gerusalemme. Il Cantico dei cantici rivela inoltre dei passaggi qualitativi di tempo e di spazio assai precisi e significativi: il tempo della potatura, la maturazione dei frutti, il tempo iniziatico della “sorella che non ha ancora seni”, il ritornello rituale della brezza serale, che ricorda il tempo edenico dell’incontro con Dio nonché l’offerta serale dell’incenso nel Tempio, l’arrivo della primavera, i due “notturni”, le due scene dove viene evocato il deserto, la dialettica fra gli ambienti interni (la cella del vino) e le campagne aperte.
Possiamo poi precisare alcune dinamiche spaziali ricorrenti come i due movimenti complementari della “discesa” dell’Eletto nel giardino e del suo “ritorno” al monte degli aromi e al colle dell’incenso. Quanto sia prezioso il senso qualitativo dello spazio lo vediamo in un altro esempio quando il soffermarsi del re nel suo “divano” viene fatto coincidere con l’effusione del profumo da parte del nardo dell’Amata. A livello numerologico e numerico possiamo riflettere su pochi ma assai significativi passaggi: i mille scudi appesi alla torre di David, le sessanta regine e le ottante donne, l’unicità dell’Amata, i sessanta guerrieri, i mille sicli d’argento per la vigna di Salomone.
Il senso del numero, di una selezione quantitativa, equivalente a un’elezione qualitativa, percorre tutto l’inno per cui l’Amato è un melo fra tutti gli altri alberi del bosco, l’Amata è bellissima e unica fra le donne, come Gerusalemme è unica rispetto ogni altra città, e abbiamo decine di queste formule. Possiamo notare un ritmo numerico quasi rituale anche nei vari casi di duplicazione o sdoppiamento delle scene: due notturni, due uscite dal deserto, baldacchino e lettiga, sole e luna, oro e argento, i due seni, le tortore, cervi e capre, monte e colle, re e Salomone, vigna di Salomone e vigna dell’Amata. Dopotutto Dio crea e armonizza il cosmo tramite il numero 2 come ci ricorda il Siracide: considera perciò tutte le opere dell’Altissimo due a due, una di fronte all’altra.
E ancora: gli elementi si scambiavano ordine fra loro, come le note di un'arpa variano la specie del ritmo, pur conservando sempre lo stesso tono (Sapienza, 19, 18). Massimo e raffinatissimo è infatti l’equilibrio fra unità e dualità nel Cantico, come pure la dialettica fra singolarità e molteplicità (es: vigna/vigne). Il Cantico rivela una ricchezza semantica e spirituale immensa: il tema della madre e della casa, l’immagine ricorrente dei seni, le relazioni fra coralità e individualità, i personaggi che non parlano o parlano poco e in modo rituale (amici, sorella, madre, le figlie di Gerusalemme, ecc.), il modulo delle domande e dei ritornelli (catturateci le volpi, venga il suo amato nel suo giardino, ecc.), i passi che riguardano ruoli regali o momenti nuziali, il topos della malattia e del sonno, le possibili allusioni a passi o scene bibliche (l’Eden, Genesi, Esodo, la costruzione del Tempio, ecc.).
Altri “indizi” di ricerca li offre il testo in altri modi. Quando recita “sul mio piccolo letto ho cercato colui che amo” ci allerta con grande chiarezza sull’esigenza di non fermarsi alla lettera del testo, mentre l’insistenza concentrica, di condensazione spazio-temporale, della corona del re con il tempo del giorno delle nozze e del giorno della gioia (Ct. 3,11, da me tradotto in piena fedeltà alla Vulgata Clementina, che triplica l’ablativo di luogo) richiama l’assialità del rispecchiarsi verticale della corona con il regno, il primo e l’ultimo elemento dell’albero divino delle Sephirot.
Non possiamo non chiederci infine se esistano delle relazioni (magari progressive, rituali) fra i “luoghi della comunanza e della vicinanza” dei due protagonisti: la stanza nuziale, la terra che si copre di fiori, il muro divisorio, la cella del vino, le mura della città, la mirra, la porta, le vigne, il deserto (e la sua “implicita” lettiga) che li vede finalmente uniti alla fine del poema. Il Cantico dei cantici è la summa dell’Alleanza di Dio con Israele, è il “nono Cantico”, prima del decimo che sarà quello della Pasqua eterna (il Cantico dell’Agnello nell’Apocalisse?) e ci mostra una natura complessivamente non solo templare-sapienziale ma pure di sapore escatologico, messianico. Molti sono i verbi di tipo rivelativo nel poema: mostrati, rivelami, alzati, vieni, risuoni, ritorna, uscite, salire, scendere, soffia, stillare, risvegliare, fammi udire, e il ricorrente tema della ricerca, dell’attesa, dell’apparire improvviso dell’Amato, epifanico, e il suo incedere e scendere imprevedibile, imminente, urgente.
Se si vuole infine individuare un altro percorso di ricerca su questo misterioso poema, per me quasi integralmente di tipo sapienziale-templare, non possiamo non affrontare la dialettica maschile-femminile (in senso spirituale-rituale) la quale penso vada indagata a partire dalla lingua ebraica biblica e dalle sue qualificazioni delle parole in senso maschile o femminile. La notte è maschile o femminile? Il cedro e il nardo sono maschili o femminili? La lettiga di Salomone e la torre di David sono femminili o maschili? Ecco per me la semplice ma sapiente chiave: se di giorno i sacerdoti uomini attendevano al culto della divina Presenza vista femminilmente quale Gloria (Shekinah), di notte erano le donne (e la notte è maschile, in quanto sterile) a servire nel Tempio una Presenza che si manifestava/occultava maschilmente quale Amato… Se abbiamo infine l’umiltà di tornare alla millenaria saggezza rabbinica apprenderemo che esiste un Midrash decisivo per la comprensione del Cantico dei cantici: Salomone consacrò il Tempio lo stesso giorno delle sue nozze con la figlia del Faraone. Ecco la spiegazione genetica dell’intreccio strutturale inestricabile delle due lingue fondamentali del Cantico: quella amorosa e quella mistico-templare.
Leggi anche la Prima e la Seconda parte