Per chi avesse dei dubbi sul ruolo dell’uomo nell’ordine naturale delle cose, sono sufficienti alcune semplici considerazioni per comprendere quanto sia inadeguato e illusorio, il sentimento di superiorità che molti di noi provano nei confronti della Natura e degli altri esseri viventi.
Il nostro sistema planetario è di tipo eliocentrico: la Terra, insieme agli altri pianeti, ruota intorno al Sole e quest’ultimo, a sua volta, rappresenta una delle numerose stelle sparse nel cosmo (ne sono state stimate circa duecento miliardi), alcune delle quali occupano il centro di altre galassie. Dall’evoluzionismo apprendiamo che l’uomo è il frutto di un lunghissimo processo di trasformazione condiviso con altri animali, soprattutto uccelli, rettili e mammiferi. Attraverso la genetica scopriamo che il genoma umano non contiene, come inizialmente si pensava, più di 100.000 geni, bensì solo 25.000. E la delusione è stata ancora più grande quando abbiamo scoperto che un chicco di riso ospita 38.000 geni, una piantina di Arabide (specie appartenente alla Famiglia delle Brassicacee) ne accoglie 26.000, una gallina 23.000, un moscerino della frutta 13.000, il lievito di birra 5800 e un batterio come l’Escherichia coli, che vive pacificamente nell’intestino di molti animali, compreso l’uomo, è orgogliosamente proprietario di 4.400 geni.
Ma non finisce qui, abbiamo in comune con la banana quasi il 50% del nostro Dna e una quota ancora più grande con due piccoli esseri viventi marini lunghi poco più di un millimetro che vivono sul fondo dell’oceano, chiamati “vermi ghianda”. Siamo molto vicini ad alcune scimmie antropomorfe, con cui condividiamo molte dinamiche comportamentali e la quasi totalità del patrimonio genetico; ad esempio il nostro Dna e quello dello scimpanzé sono simili per più del 98% (poco inferiore alla condivisione del DNA tra esseri umani che è del 99,9%). Molti animali come le balene, i delfini e gli elefanti sono dotati di un’intelligenza molto sviluppata e presentano delle dinamiche emozionali (e forse spirituali) complesse e sofisticate: rispetto a noi, possiedono un diverso modo di comunicare e di percepire la realtà.
L’Animalità incarna l’istinto, la libertà e il flusso naturale della vita; è parte della Natura che ci circonda ed è inseparabile dall’acqua, dalla terra e dal cielo. Per questa ragione gli esseri viventi meritano rispetto e non possono essere equiparati a della merce da acquistare, vendere o scambiare. Alla luce di queste osservazioni ci si aspetterebbe da parte dell’uomo un atteggiamento di rispetto e collaborazione nei confronti degli animali. Di fatto, la nostra “Arca mentale” è dotata di uno spazio molto ridotto, riservato solo a pochi privilegiati; la maggioranza degli animali è vittima dell’indifferenza o considerata alla stregua di semplici articoli di consumo, per diventare poi “materiale di scarto” e “rifiuti”.
Gli animali che riscuotono il plauso dell’umanità, sono quelli che possono essere osservati, manipolati, programmati, rifiutati, mangiati, immortalati nelle foto, raccontati nei documentari oppure prestati alla pubblicità e al cinema. Le “bestie perfette ” sono quelle che rispondono a criteri di sottomissione e sfruttamento, sono quelle chiuse nei recinti e nelle gabbie, meglio se ridotte all’immobilità, legate alle catene, scuoiate, sezionate e ridotte in pezzi. Basti pensare alle condizioni drammatiche, crudeli e inaccettabili, in cui versano gli animali rinchiusi negli allevamenti intensivi. E che dire degli interessi economici delle industrie farmaceutiche e cosmetiche che ruotano intorno alla sperimentazione animale?
Ogni anno, nei vari laboratori sparsi nel mondo (istituti di ricerca, università, ospedali, enti spaziali e militari, ecc.), vengono sacrificati, in nome del benessere e della sicurezza dell’uomo, dai 300 ai 400 milioni di animali (scimmie, maiali, cani, gatti, pecore, capre, conigli, topi, cavie, ecc.). Come richiesto dalle disposizioni di legge è obbligatorio testare tutti i farmaci e le nuove sostanze che devono essere immesse sul mercato: il 30% dei test effettuati sugli animali riguarda la medicina e le biotecnologie, il restante 70% interessa l’industria cosmetica, chimica e bellica. In questo tipo di sperimentazioni, salvo in rari casi (meno del 15%), non è contemplato l’uso dell’anestesia e spesso a molti animali da laboratorio viene praticato il taglio delle corde vocali, con ripercussioni fisiche e psichiche d’indescrivibile sofferenza (paura, disperazione, stress e solitudine). Oltre alle varie problematiche di carattere etico, da più parti vengono sollevate critiche anche in merito alla validità scientifica dei questi test.
Si discute ampiamente su varie questioni, tra cui la diversità genetica e fisiologica tra animali e uomo, i dosaggi e le modalità di somministrazione delle sostanze da testare, la trasposizione dei risultati ottenuti su modelli umani, i costi elevati e spesso la palese inutilità dei protocolli sperimentali standard. Altri elementi al vaglio della critica riguardano le condizioni di laboratorio e la durata delle sperimentazioni: gli animali impiegati in queste ricerche (esseri viventi particolarmente sensibili e intelligenti) sono privati della loro libertà e tenuti in condizioni estreme, fortemente stressanti (spazi ridotti, posizioni forzate, assenza di cibo e acqua, luce continua, ferite aperte, tecniche chirurgiche invasive, ecc.), che possono durare ore, giorni, settimane, mesi o addirittura anni (in questi casi la morte è l’unica via di salvezza). A causa di questa condizione di turbata omeostasi, caratterizzata da gravi alterazioni comportamentali, metaboliche e immunitarie, i risultati ottenuti dalla sperimentazione animale non possono essere considerati completamente attendibili (o quantomeno possono risultare falsati).
Sono numerosi i prodotti, soprattutto farmaci e sostanze impiegate a livello industriale (coloranti, conservanti, cosmetici, pesticidi, vernici, collanti, ecc.), che una volta immessi sul mercato hanno dimostrato una conclamata tossicità. Gli esempi più emblematici riguardano il tabacco e la diossina, la cui pericolosità è stata negata per lungo tempo a causa dei risultati contraddittori ottenuti dai test condotti sugli animali; lo stesso discorso vale per normalissima aspirina che risulta tossica per i gatti e l’insulina, la quale provoca malformazioni in conigli, galline e topi.
Un altro settore di ricerca particolarmente attivo è quello sul cancro, dove si continuano a sacrificare inutilmente milioni di animali nonostante la consapevolezza che oltre la metà delle sostanze studiate è cancerogena solo per gli animali da laboratorio o, viceversa, per la specie umana. A questo proposito non bisogna dimenticare che molte specie, specialmente capre, topi e criceti riescono a sintetizzare grandi quantità di Vitamina C, la cui potente azione antiossidante e anticancerogena può inficiare i risultati di alcuni esperimenti.
Lo stesso discorso vale per le differenti capacità di metabolizzare le sostanze a livello epatico: ad esempio alcuni composti particolarmente pericolosi per l’uomo come il benzolo e l'arsenico, lo sono in maniera meno accentuata per i roditori. Molti test effettuati quotidianamente sugli animali, previsti nei protocolli di controllo, sono vecchi e inutili, come la famosa Dose letale 50 (LD50) che consiste nel somministrare quantità crescenti di una determinata sostanza e in seguito misurare la mortalità degli animali impiegati, fermandosi quando la quota raggiunge il 50%. È risaputo che questi tipi di test effettuati su topi e ratti, sono di scarsa attendibilità se rapportati alla fisiologia umana.
Spesso nell’accesa diatriba tra sostenitori e detrattori della sperimentazione animale viene sottolineato il fatto che qualsiasi persona ragionevole, posta di fronte all’opportunità di salvare vite umane, sacrificando quelle di un certo numero di animali, non avrebbe dubbi sul da farsi. Quello che non è accettabile, in questo ragionamento, è la questione morale: nessuna azione può essere giustificata se è espressione di dominio, sfruttamento, violenza, brutalità e vessazione nei confronti di altri esseri viventi.
Al contrario di quanto affermato da molti scienziati, l’alternativa alla sperimentazione animale esiste e si basa su test, spesso più rapidi ed economici, che prevedono l’impiego di materiali organici (cellule e tessuti che simulano parti del corpo umano), clonazioni cellulari, dati epidemiologici e statistici, modelli matematici (ad esempio esistono programmi capaci di fornire dati sulle reazioni allergiche), simulazioni al computer e altre tecniche non invasive come la Tomografia a Emissione di Positroni (PET), l'elettroencefalografia, ecc.
Molto promettenti sono le ricerche nel campo delle cosiddette QSAR (acronimo di Quantitative Structure Activity Relationship) che permettono, partendo dalla struttura chimica di una determinata sostanza, di risalire alle sue proprietà biologiche applicando dei modelli matematici computerizzati. Un altro settore scientifico di grande utilità è rappresentato dalla biologia molecolare, attraverso la quale è possibile verificare il legame che si viene a creare tra alcuni recettori umani (in precedenza isolati e clonati in apposite colture cellulari) e le sostanze di cui si vogliono testare gli effetti. Anche il cosiddetto “test di Ames”, basato sull’utilizzo di microorganismi, rappresenta una valida alternativa ai modelli animali per quanto riguarda le ricerche sui probabili effetti mutageni e cancerogeni di molte sostanze chimiche; anche la determinazione della dose letale per l’uomo è decisamente più attendibile quando i test vengono effettuati su colture di cellule umane. A questo proposito è possibile avvalersi anche di sistemi di colture cellulari in 3D a più camere interconnesse, che consentono di “imitare” la complessità funzionale di organi e apparati.
Spesso il problema non è nell’attendibilità delle varie metodologie sostitutive alla sperimentazione animale, ma nell’inerzia al cambiamento e nella scarsa motivazione etica, che portano, di conseguenza a una riduzione di contributi finanziari a sostegno di queste ricerche.
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