In quel terribile 5 giugno del 1999, a Madonna di Campiglio, si consumava il più efferato e crudele delitto sportivo cui il ciclismo, gli appassionati e i tifosi di Marco Pantani, abbiano mai potuto assistere. Quel 5 giugno, veniva fermato ingiustamente “il Pirata” praticamente già vincitore di quell'edizione del Giro d'Italia; solo quella tappa e poi la passerella di Milano lo separavano dall'incoronazione, ma qualcuno aveva disposto diversamente.
Iniziarono qui le indicibili violenze morali, umane e sportive perpetrate sul campionissimo tanto amato dalla gente comune, su quel piccolo scalatore romagnolo che in sella diventava un gigante invincibile che sui pedali annichiliva i suoi avversari. E così Marco fu fermato inizialmente con il pretesto di ematocrito oltre il limite, poi gli fu gettata addosso l'ombra del doping e le accuse di aver barato. La stampa, molti corridori sempre battuti dal “Pirata”, e quel mondo del ciclismo che lui aveva tanto amato, colsero la palla al balzo per puntare il dito ed escluderlo da ciò che più amava nella vita: la bicicletta e le corse.
Lui che fin da ragazzino sbaragliava gente più grande e ferrata sulle colline romagnole o comunque dove c'era una salita. Lui che una volta diventato professionista aveva superato momenti terribili dove rischiò più volte di dover terminare la sua carriera a causa di paurosi incidenti, ma che con una determinazione senza pari era sempre riuscito a superare. Era questo quello per cui viveva Marco Pantani, era questo che rendeva felice il “Pirata”... E tutto questo gli fu brutalmente strappato in quel drammatico 5 giugno 1999.
Si allontanò da Campiglio accompagnato dai carabinieri dopo essere stato sottoposto alla gogna mediatica come un pericoloso criminale, come se fosse stato un pericolo pubblico. Negli occhi spaesati di Marco quella maledetta mattina appariva tutto lo sgomento e il dolore di chi iniziava a capire di essere stato “fregato”. Nessuno aveva mai avuto il coraggio di spiegare che Pantani quel controllo antidoping avrebbe potuto rifiutarlo in quanto troppo ravvicinato alla partenza della tappa, e il regolamento gli avrebbe dato ragione. Ma così andarono le cose quel giorno, e da quel momento cominciò l'opera di distruzione di uno dei più grandi corridori italiani.
Da quella terribile vicenda, da tutto il fango e dalla violenza verbale, dalle accuse infamanti, Marco Pantani non riuscì più a riprendersi finendo in un vortice maledetto che lo avrebbe accompagnato fino alla fine dei suoi drammatici giorni. A 18 anni di distanza, finalmente emerge una verità che in parte rende giustizia, ma che appare ancor più terribile dell'intera vicenda che il campione romagnolo è stato costretto a vivere. Il “Pirata” è stato fermato dalla camorra attraverso la ”deplasmazione” con cui vennero alterati i valori di ematocrito e messo fuori gioco dalla corsa che aveva letteralmente dominato. Immenso il giro d'affari legato alle scommesse clandestine, un enorme fiume di danaro riversato nelle puntate su Marco Pantani che avrebbe fatto saltare il banco portando alla bancarotta molti clan partenopei: dunque Marco andava fermato con ogni mezzo. Fino ad oggi però sono state l'omertà, eil tentativo di far archiviare la vicenda ostacolando le indagini a farla da padrone, ma ciononostante i veri amici, i tifosi e la famiglia non si sono mai arresi pretendendo la verità e giustizia per Marco.
Dalla Procura della Repubblica di Forlì la conferma in una dichiarazione ufficiale: "Un clan camorristico minacciò un medico – dice il pm Sottani - per costringerlo ad alterare il test e far risultare Pantani fuori norma". Un controllo antidoping effettuato a Madonna di Campiglio trovò il pirata con un ematocrito al 51,9% contro il 50% consentito dalle norme dell’Uci, la Federciclismo mondiale. Ma a Pantani non fu mai permesso di poter effettuare le controanalisi. Le analisi furono ripetute sempre sulla stessa provetta, e non su campioni di sangue differenti come avrebbe richiesto la procedura.Questo emerse anche dalle dichiarazioni di Vallanzasca che aveva sempre affermato di essere stato avvicinato in carcere da un detenuto affiliato a un clan che lo consigliava di puntare forte contro la vittoria di Pantani nonostante mancasse solo una tappa alla fine del Giro, e come emerse successivamente poi anche da un'intercettazione telefonica.
Sfortunatamente i reati annessi sono andati prescritti e nessuno pagherà per questo, nemmeno il medico in questione. Anche se dopo tanto tempo, finalmente è stata fatta luce su quanto accaduto quella drammatica mattina e Marco Pantani è stato riscattato; è anche vero che la cosa purtroppo non ci restituirà il nostro campionissimo. Molti, troppi interrogativi invece restano ancora aperti riguardo le circostanze in cui avvenne prematuramente la morte del “Pirata”, in quel residence di Rimini il 14 febbraio 2004, a meno di cinque anni di distanza della vicenda di Madonna di Campiglio; forse Pantani era riuscito ad arrivare a elementi che avrebbero potuto scagionarlo già molto tempo prima?