In un passato non molto lontano, la maggioranza delle persone, specialmente quelle che vivevano in campagna, erano costrette ad affrontare e risolvere problemi legati alla sopravvivenza quotidiana. Basta chiedere ai nonni per ascoltare i ricordi di un passato che pochi rimpiangono: erano gli anni della guerra, dell’autarchia forzata, in cui ci si doveva arrangiare come meglio si poteva.
Al cibo era attribuita una sacralità quasi inviolabile: per questa ragione nessun genere alimentare poteva essere sprecato né privato della sua dignità. Il pane, ad esempio, veniva inciso con il segno della croce e accuratamente appoggiato sul tavolo dalla parte piana: tale lato rappresentava il volto di Gesù e quindi capovolgere una pagnotta o forarla con la punta di un coltello era considerato un segno di cattivo presagio (anche le briciole venivano accuratamente riciclate, evitando di farle cadere per terra). La frutta troppo matura, i residui della pulitura delle verdure o della macellazione degli animali, erano conservati con cura e riutilizzati in maniera creativa.
Per placare i morsi della fame, oltre che a riciclare gli avanzi di cucina, le donne non avevano altra scelta che raccogliere, con ostinata pazienza, funghi, radici, germogli, erbe e frutti selvatici. L’instancabile e costante ricerca di cibo trovava concretezza soprattutto nelle “erbe di campo” che rappresentavano una fonte alimentare sicura e a portata di mano.
Questa “metafisica del cibo” fa riflettere sui mali e gli sprechi che affliggono le società industrializzate. Oggi, la modesta filiera alimentare delle piante selvatiche, anche se non è più di vitale importanza come in passato, trova un terreno fertile nella diffusa sensibilità che si è andata consolidando in questi ultimi decenni nei confronti della Natura in generale e del patrimonio vegetale in particolare, soprattutto attraverso la riscoperta e la diffusione della fitoalimurgia (utilizzo delle piante commestibili) e della fitoterapia. Questo interesse è in crescente espansione e coinvolge persone di diversa età, preparazione culturale ed estrazione sociale.
Esistono altri fattori che contribuiscono a giustificare questo fenomeno, primo fra tutti la diffusa sensibilizzazione dell’opinione pubblica per tutto quello che riguarda la cucina e l’alimentazione. Per molte persone queste tendenze rappresentano un mercato redditizio, per altre sono l’espressione di una moda o di una necessità dietetica oppure il motore di una nuova presa di coscienza, di una scelta di carattere etico-ambientale.
Le “erbe di campo” presentano vari vantaggi, tra cui una facile reperibilità, uno stretto legame con le tradizioni culinarie locali e un elevato valore nutrizionale. Per quanto riguarda la loro raccolta esiste un vero e proprio calendario calibrato in base ai ritmi della natura che generalmente prende avvio a febbraio e si protrae fino all’inizio dell’estate (condizioni climatiche permettendo); sono fattori essenziali anche la stagionalità e la scelta di un ambiente pulito, lontano dalle strade trafficate e dai campi trattati con prodotti chimici.
La primavera rappresenta la stagione migliore per fare incetta di piante: basta equipaggiarsi di un coltello, di un sacchetto e di scarpe comode, adatte per camminare negli spazi extraurbani come prati, campi incolti, fossi, bordi di sentieri e margini di boschi. L’unica accortezza da seguire è quella di raccogliere e mangiare solo piante di cui si conosce l’effettiva identità botanica, in caso contrario è bene astenersi da ogni tentazione. La maggior parte delle erbe viene raccolta prima della formazione del fusto, spesso allo stadio di “rosetta basale”, recidendo alla base, al livello del terreno o poco al di sotto, tra la radice e le foglioline (colletto), eliminando l’eventuale presenza di terriccio e di foglie rovinate o troppo vecchie. Il passo successivo consiste nel lavare le erbe in abbondante acqua, magari lasciandole a bagno con l’aggiunta di un pizzico di bicarbonato (prima dell’utilizzo è necessario un ultimo risciacquo in acqua corrente).
Le piante che non vengono utilizzate possono essere riposte in un panno umido e conservate in frigorifero all’interno di un sacchetto di plastica aperto (in queste condizioni il materiale si conserva per circa una settimana). Le erbe selvatiche consumate crude mantengono intatte le loro proprietà nutritive (soprattutto vitamine ed enzimi).
Molte di esse come la Pimpinella (Sanguisorba minor), l’Erba porcellana (Portulaca oleracea), la Lattughetta (Valerianella sp. pl.), la Rucola selvatica (Diplotaxis tenuifolia), il Crescione d’acqua (Nasturtium officinale), l’Alliaria comune (Alliaria petiolata), l’Aglio orsino (Allium ursinum), il Raperonzolo (Campanula rapunculus), il Dolcetto (Tordylium apulum), la Beccabunga (Veronica beccabunga) e la Mentuccia (Calamintha nepeta) possono essere utilizzate nella preparazione di insalate miste (misticanze primaverili). I condimenti classici per questi piatti sono l’olio extravergine di oliva, il succo di limone o l’aceto; sono ottimi gli oleoliti e gli acetoliti preparati in casa con l’aggiunta di erbe aromatiche come Rosmarino (Rosmarinus officinalis), Timo (Thymus sp. pl.), Santoreggia (Satureja montana), Salvia (Salvia officinalis), Menta (Mentha sp. pl.) e Melissa (Melissa officinalis).
Altre erbe vengono consumate cotte, lessate in acqua, ripassate in padella con olio o burro oppure utilizzate nella preparazione di risotti, ripieni, frittate e torte salate; a tale scopo si utilizzano le foglie di Crespigno (Sonchus oleraceus e S. asper), Aspraggine (Picris echioides e P. hieracioides), Papavero (Papaver rhoeas), Cicoria selvatica (Cichorium intybus), Radicchiella (Crepis sp. pl.), Tarassaco (Taraxacum officinale), Borragine (Borago officinalis), Boccione (Urospermum dalechampii), Ortica (Urtica dioica), Malva (Malva sylvestris), Strigoli (Silene vulgaris), Piantaggine (Plantago sp. pl.), Pratolina (Bellis perennis), la radice (bulbo) di Lampascione (Leopoldia comosa) e i germogli di varie piante, tra cui Asparago selvatico (Asparagus acutifolius), Pungitopo (Ruscus aculeatus), Vitalba (Clematis vitalba), Luppolo (Humulus lupulus) e Tamaro (Tamus communis).
Le erbe cotte avanzate, dopo essere state scolate e pressate per eliminare l’eccesso di acqua, possono essere conservate in frigorifero e consumate entro 3-4 giorni dalla cottura. In cucina trovano impiego anche i fiori freschi: quelli di Calendula (Calendula arvensis), Cicoria, Girasole (Helianthus annus), Tarassaco, Malva, Borragine, Cerinte (Cerinthe major), Viola (Viola sp. pl.), Primula (Primula sp. pl.), Fiordaliso (Cyanus segetum), Rosa canina (Rosa canina), Rucola, Finocchio (Foeniculum vulgare), Rosmarino, Salvia (Salvia sp. pl.) e Aglio (Allium sp. pl.) sono utilizzati crudi per insaporire insalate, zuppe e pietanze varie oppure per decorare, con eleganza e semplicità, dolci, dessert, succhi freschi, centrifugati e cocktail.
In questo ampio contesto, la conoscenza e il consumo di piante selvatiche, oltre ad assumere una particolare importanza in campo culturale (riscoperta dei saperi tradizionali) e nutrizionale (apporto di fibre e di principi attivi con proprietà stomachiche, digestive, antiossidanti e stimolanti le difese immunitarie) possono incentivare un’esperienza di “crescita interiore” da non sottovalutare. Stabilendo un rapporto sinergico con la Natura, infatti, possiamo offrire nutrimento anche alla nostra dimensione “spirituale”, soprattutto oggi che emerge la necessità di promuovere un diverso stile di vita e un nuovo modo di essere nel mondo.
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