Se una parola può esprimere l’essenza dell’arte classica, quella parola è proporzione, alla quale i Greci diedero il significato preciso di «uguaglianza di rapporti».
Le più semplici proporzioni sono quelle fra due sole grandezze, il cui rapporto è uguale a un rapporto fissato in partenza. Ad esempio, nell’Architettura Vitruvio riferisce che il rapporto fra l’altezza e la larghezza delle colonne doriche doveva essere di 6 a 1, e corrispondeva al rapporto fra l’altezza di un uomo e la lunghezza del suo piede. Le colonne ioniche erano invece basate sul rapporto di 8 a 1, corrispondente allo stesso rapporto in una donna. Per quanto riguarda la proporzione fra tre grandezze a, c e b, i Greci definirono i seguenti tre tipi:
aritmetica quando le differenze fra le tre grandezze sono costanti, cioè c-a = b-c, come per 1, 2, 3;
geometrica quando i quozienti sono costanti, cioè c/a = b/c, come per 1, 2, 4;
armonica quando gli inversi sono in proporzione aritmetica, cioè 1/c – 1/a = 1/b – 1/c, ovvero (c-a)/a = (b-c)/b, come per 2, 3, 6.
Il numero intermedio c si chiama media degli estremi a e b, e i tre tipi di proporzione producono dunque tre tipi di media:
aritmetica, cioè (a+b)/2
geometrica, cioè la radice quadrata di ab
armonica, cioè 2ab/(a+b).
Un tipo particolare di proporzione si ha quando la maggiore delle tre grandezze è la somma delle altre due, cioè b = a+c: in tal caso la proporzione geometrica si riduce a c/a = (a+c)/c, ed è probabilmente il rapporto più studiato nella storia dell’arte, di valore numerico pari alla metà di 1 più la radice quadrata di 5, cioè approssimativamente 1,61803.
I nomi che gli sono stati dati nel corso dei secoli, da sezione aurea a divina proporzione, suggeriscono che in essa sia coinvolto qualcosa di sublimemente estetico. O almeno, così pensavano i pitagorici che la scoprirono, verso il sesto secolo a.C. Uno dei motivi della sua attrazione estetica è certamente il fatto che la sezione aurea interviene nella costruzione del pentagono regolare, e dunque del dodecaedro.
Forse a causa della sua difficoltà di costruzione, molto maggiore di quella del triangolo, del quadrato, dell’esagono e dell’ottagono regolari, il pentagono non costituisce la pianta di molti edifici: il più noto è il Pentagono di Washington, sede del Ministero della Difesa statunitense. Figure e solidi in proporzioni auree sono invece stati usati a bizzeffe, a partire dagli Egizi: dalla Stele di Get di Abidos, alla Camera d’Oro per la sepoltura del faraone nelle piramidi.
La più nota figura in proporzioni auree è certamente la cosiddetta stella pitagorica, un simbolo che ha avuto un potere d’attrazione nella storia pari a quello di pochi altri. Si tratta di quella figura a cinque punte che si ottiene tracciando le diagonali di un pentagono regolare, che in Italia oggi noi associamo automaticamente alle Brigate Rosse. Ma il suo utilizzo rivoluzionario ha radici lontane: essa non è infatti altro che la famosa Stella rossa sulla Cina dell’omonimo libro di Edgar Snow (1938), ed è stata adottata in periodi diversi dall’Armata Rossa, dalle Brigate Garibaldi, dai Vietkong e dai Tupamaros.
Cosa ci sia di divino, o di aureo, nella stella pitagorica, è difficile da intuire a prima vista: certo non il fatto che essa, avendo tante punte quante sono le lettere del nome Jesus, possa impaurire il demonio, come succede a Mefistofele nel Faust di Goethe (1808). Ma una volta che si cominci ad apprezzare l’equilibrio del rapporto aureo tra la diagonale e il lato del pentagono regolare, si scoperchia una vera cornucopia.
Anzitutto, il rettangolo aureo avente per lati i due segmenti ha una magica proprietà, illustrata dalla divisione in due scene della Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca (1460): togliendo il quadrato costruito sul lato minore, rimane un rettangolo che è simile a quello di partenza. Al quale, naturalmente, si può riapplicare lo stesso procedimento, e così via, innescando un inarrestabile processo che costituisce una delle prime immagini storiche dell’infinito.
Un’altra immagine dell’infinito, ancora più evidente, si ottiene notando che i lati della stella pitagorica formano al centro una figura che non è altro che un nuovo pentagono regolare. Dentro al quale, naturalmente, si può costruire un’altra stella pitagorica, e così via. La successione telescopica di pentagoni e stelle, simile a un esercito senza fine di bambole russe contenute una nell’altra, suggerisce che la diagonale e il lato del pentagono siano grandezze fra loro incommensurabili.
Ed è probabile che proprio questo sia stato il primo esempio di quelle grandezze irrazionali, la cui scoperta mise in crisi il credo pitagorico che «tutto è numero»: una delusione profonda, che scavò un solco fra la razionalità scientifica che si poteva esprimere attraverso l’aritmetica, e l’irrazionalità artistica di cui la sezione aurea rappresentava l’esempio primordiale.
Non a caso, la leggenda riportata da Giamblico nella Vita di Pitagora narra che Ippocrate di Chio fu radiato dalla confraternita dei pitagorici per aver divulgato la costruzione del pentagono, così come Ippaso di Metaponto perí in naufragio per aver analogamente divulgato la costruzione del dodecaedro.
L’attrazione estetica della sezione aurea rimase comunque immutata nei secoli. Il primo campo in cui essa si è mostrata è stata la matematica: dagli Elementi di Euclide (IV-III secolo a. C.)\ a La divina proporzione di Luca Pacioli (1509), gli addetti ai lavori si sono estasiati di fronte alla bellezza del dodecaedro e dell’icosaedro, ottenuti l’uno mettendo insieme dodici pentagoni regolari, e l’altro congiungendo i dodici vertici di tre rettangoli aurei incastrati perpendicolarmente fra loro: una costruzione, questa, che appare per la prima volta proprio nel libro di Luca Pacioli.
Anche gli artisti hanno subìto il fascino di questi oggetti, da Leonardo a Dalí. Delle famosissime illustrazioni del primo per La divina proporzione non c’è bisogno di parlare qui: basta sfogliare le pagine e guardarle. Nei Cinquanta segreti dell’artigianato magico (1948) il secondo ha discusso non soltanto i disegni di Leonardo, ma anche il proprio personale uso della stella pitagorica nell’impianto della Leda atomica (1949), oltre che del dodecaedro nella struttura de L’ultima cena (1955).
Se in pittura la sezione aurea si presenta come paradigma di proporzione estetica, non stupisce ritrovarla anche nella scultura e in architettura, da Fidia a Le Corbusier. Addirittura, spesso il rapporto numerico tra diagonale e lato del pentagono viene appunto indicato con φ o Phi, in onore del primo, oltre che di Fibonacci.
Quanto a Le Corbusier, il suo Modulor (1948 e 1955) prende significativamente il nome da «module d’or», e utilizza la sezione aurea per determinare due serie, una rossa e una blu, di dimensioni armoniche a misura d’uomo, da utilizzare nella progettazione non solo degli edifici, ma anche dei mobili e degli oggetti di casa. Le Corbusier lo usò in vari suoi lavori, ad esempio nella progettazione della città indiana di Chandigarh e dei suoi principali edifici pubblici, negli anni ‘50.
Anche nella musica la sezione aurea ha giocato un ruolo, da Bach a Bela Bartok. Il primo popolarizzò nei 48 preludi e fughe del Clavicembalo ben temperato (1722 e 1742) il sistema di temperamento equabile, che corrisponde matematicamente a una spirale aurea (per inciso, la divisione aurea dell’ottava corrisponde all’incirca alla sesta minore, cioè all’intervallo mi-do). Il secondo invece era così affascinato dalla sezione aurea che la usò ripetutamente, ad esempio per equilibrare le parti della Musica per archi, percussioni e celesta (1936) e della Sonata per due pianoforti e percussioni (1937).
Ma l’aspetto forse più stupefacente della sezione aurea, è che essa compare in innumerevoli fenomeni naturali, spesso approssimata dal rapporto fra due termini successivi di una sequenza di numeri scoperta nel 1202 da Leonardo da Pisa, detto Fibonacci, nel suo Libro dell’abaco, come soluzione di un problema relativo alla riproduzione dei conigli. La successione parte da 0 e 1, e a ogni passo procede sommando i due numeri precedenti: la sequenza continua dunque con 1, 2, 3, 5, 8, 13, eccetera.
La successione di Fibonacci era già stata considerata secoli prima in India da Virahanka, e descritta esplicitamente nel 1133 da Gopala, come soluzione di un problema relativo alla metrica di poesie (matra-vitta) con un numero costante di sillabe, ma un numero arbitrario di lettere: ogni metro è, infatti, la somma dei due precedenti.
Per quanto riguarda l’arte, i primi elementi della successione compaiono in Numeri innamorati di Giacomo Balla (1925), oltre che in varie opere di Mario Merz, da Fibonacci Naples (1970) all’installazione permanente Il volo dei numeri sulla Mole Antonelliana di Torino (1984).
Le apparizioni della successione in natura sono invece talmente ubique, da riempire da anni i numeri della rivista quadrimestrale The Fibonacci Quaterly. Altrettanto vale per le altre manifestazioni della sezione aurea, descritte nei classici Le curve della vita di Theodore Cook (1914) e Crescita e forma di D’Arcy Thompson (1917), e compendiate più recentemente in La sezione aurea di Mario Livio (2002).
Autore: Piergiorgio Odifreddi
In collaborazione con: www.abocamuseum.it