Renata Fabbri è lieta di presentare la mostra Silva imaginum di Sophie Ko Chkheidze (Tiblisi, Georgia - 1981). L’artista georgiana, già da alcuni anni trasferitasi stabilmente in Italia, presenta una serie di lavori eterogenei nei materiali e nei supporti ma facenti parte di un unico percorso simbolico e allegorico teso ad indagare l’enigma dell’immagine: la sua genesi, la sua fragile esistenza, la sua morte e la sua resurrezione metamorfica.
Nella prima sala, ad alcuni grandi pannelli neri, che si ergono come vetrate gotiche contenenti cenere di immagini (Inni alla notte), risponde un piccolo quadro azzurro di pigmento puro (dall’emblematico titolo Die blau Blume), posto all’altezza degli occhi, in un dialogo e duello metafisico tra la cenere e il colore. Segue una seconda sala nella quale, posti sui quattro punti cardinali, si stagliano piccoli frammenti di resti incombusti: frammenti di immagini che, del tutto incomprensibilmente e imprevedibilmente, sono stati salvati dalla furia del fuoco. Metafore di “quel che resta” all’interno di una società spettacolare nella quale le immagini vengono bruciate a velocità impressionante, rendendo obsoleta ogni forma ed ogni “immaginazione” nel giro di pochi anni, se non mesi.
Al piano inferiore della galleria, un’altra serie di resti incombusti, dal titolo Waldgaenger (omaggio e richiamo all’opera di Ernst Jünger e alla sua figura del “ribelle” che si dà alla macchia per resistere alla furia distruttrice della civiltà nichilista), sembra indicare una possibilità di salvezza o, quanto meno, di resistenza, punteggiando la via verso un grande pannello di pigmento rosa (Aurora), in cui crolli e movimenti del colore sembrano mostrare come le forme, ben al di là di ogni volontà e intenzione (comprese quelle dell’artista), non smettano di apparire anche quando tutto sembra perduto.
Nell’ultima stanza, l’apparizione, del tutto imprevista, di un “grande vetro” (Giardini di Adone) nel quale la vita è conservata (piccoli rami di nido d’uccello, farfalle, ecc.), si fa segno, indice e simbolo di un mondo presente, in cui a tutto l’esistente è resa la grazia della sua presenza. Un mondo - in cui si possono anche sentire silenziosi omaggi all’opera di Claudio Parmiggiani - che si pone forse al di là persino dell’immagine e di quel che dell’immagine resiste nella devastazione dell’iconosfera, come oggi viene chiamata, in analogia all’atmosfera, la temperie culturale che quotidianamente respiriamo nel nostro, divertito e alienato, abitare internet, social network, mondi virtuali, ecc.
La sensazione finale, uscendo dalla mostra, è quella di aver percorso una selva di immagini (Silva imaginum) quasi come un percorso iniziatico, le cui coordinate e chiavi interpretative restano aperte ed affidate ad ogni spettatore, a quel singolo che solo può darsi la forza e la legge per liberarsi e liberare il proprio sguardo per una nuova visione. La mostra Silva imaginum di Sophie Ko Chkheidze sarà accompagnata dal secondo dei quaderni di Renata Fabbri arte contemporanea, un libro d’artista a tiratura limitata contenente uno scritto di Federico Ferrari ed un’opera originale dell’artista. Questo libro, come l’intera mostra, è il frutto di una collaborazione intensa e profonda tra l’artista e il filosofo che si riverbera in un gioco di risonanze e corrispondenze, di sapore baudeleriano, tra immagini, pensieri e sentimenti.
Sophie Ko Chkheidze nasce nel 1981 a Tbilisi (Georgia). Vive e lavora a Milano.