Espone per la prima volta in Italia l'artista turca Güler Ates. Le donne invisibili sotto i veli colorati che attraversano con la leggerezza silenziosa dei luoghi fortemente evocativi, incidono nella memoria profonda attraverso gli spendenti cromatismi della nuova visione medialica. Esse appartengono alla terra come all’infosfera; sono ragionamento oggettuale sulle pratiche di trasformazione dell’umano, risonanze di un'appartenenza alla storia così come proiezioni virtuali della natura indeterminata contemporanea.
Güler Ates attraversa i luoghi contaminando gli spazi, facendoli diventare potenti alterità della visione, universi fisici e mentali in cui il passaggio delle donne velate piega lo spazio facendole abitare il mondo. Le sue figure vivono l’alterità dello specchio laddove la topologia dell’immagine fotografica sovrappone ciò che è vicino a ciò che è lontano, l’interno e l’esterno, l’oggetto della visione ed il soggetto fino a proiettare queste contiguità all’interno della nostra stessa mente.
È la forza di una evocazione straordinaria che non prescinde dalla profonda percezione sensoriale. Per l’artista turca vale l’assunto di far divenire, attraverso il suo progetto artistico, le forme della vita meno aleatorie e transitorie pur cercando di rappresentare ciò che paradossalmente non è rappresentabile.
Nel testo critico si legge: "La valenza estetica delle donne velate e dei landscape della memoria in cui sono inscritte mette in relazione, nel suo produrre sensi comunicabili, tutte le cose che entrano nel raggio della visione. L’opera finisce di essere inerte per diventare qualcosa che serve alla vita piuttosto che mero bene di consumo.L’immagine centrale delle opere di Güler Ates finisce per essere uno degli archetipi, in particolare mediterranei, che amplificano l’interazione fra persone, cose e luoghi del mondo. E proprio questo genere di versazioni affettive sono alla base di quella che noi definiamo, anche in senso più esteso, cultura; è l’oggetto dell’arte che crea, per dirla con una definizione di Durkheim, il cambiamento intorno a sé. La funzione, allora, di questo genere di opere, proprio perché presuppone memoria, attestazione di realtà (contemporanea) e creazione di un immaginario futuro, allorchè si basa su di una grande forza istintuale estetica, assolve esattamente al suo compito: quello di ri-velare, di s-velare esattamente coprendo il centro stesso dell’opera con un velo".
Güler Ates lavora con video, fotografia, incisione (printmaking) e performance. Alla base della sua ricerca c'è l'esplorazione dell'esperienza della "dislocazione culturale". Le manifestazioni del suo lavoro sono realizzate attraverso performance e attività "adattive" (site-responsive) in aree che fondono sensibilità orientali ed occidentali.
I siti architettonici in cui lavora appartengono solitamente ad un'epoca specifica con particolari collegamenti con il colonialismo (ora post-colonialismo) e l'"Oriente". Ha condotto ricerche sulla storia di questi siti che le hanno fornito informazioni sull'origine del tessuto che diventerà poi il costume o il velo da far indossare al suo performer. Essendo parte della performance, il soggetto narra una vicenda disegnata dalla storia del sito, esplorando il suo sentimento di dualismo culturale. Usa il paragone storico per evidenziare questioni politiche e sociali, specialmente quelle riguardanti il velo e politiche di genere.
Ha precedentemente realizzato i suoi progetti nei seguenti scenari: Victoria & Albert Museum, London; Cité Internationale Des Arts, Paris; Leighton House Museum, London; Great Fosters (vecchio casino di caccia reale del re Enrico VIII), Egham; Royal Academy of Arts, London; e City Palace, Udaipur, Rio de Janeiro. Attualmente ha una residenza artistica all' Eton College.