La mostra, la prima in assoluto dedicata a questo specifico argomento, intende documentare la passione per questo prezioso materiale e il suo uso nelle scienze e nelle arti dalle origini ai nostri giorni. Contrariamente a quello che comunemente si pensa, il lapislazzuli non è un minerale ma una roccia composta da diversi minerali. Il suo colore blu è dato dal minerale che ne è dominante, la lazurite. Al mondo esistono pochi giacimenti di lapislazzuli, ma sono tutti legati tra loro da una comune geologia: il metamorfismo. Il giacimento principale, ed anche il più antico, citato da Marco Polo, si trova nelle montagne di Sar e Sang. Sono picchi che culminano a più di 7000 metri di altitudine, situati nell’Hindu Kush, nell’Afganistan settentrionale ed accessibili solo attraverso passi situati a non meno di 5000 metri. Le lenti di lapislazzuli, spesse qualche metro, sembrano delineare dei drappeggi blu nel candore del marmo. Sono il risultato della circolazione di fluidi idrotermali profondi e ricchi di sodio, zolfo e cloro durante la formazione delle catene montuose. I sollevamenti tettonici hanno portato in seguito queste meraviglie alla superficie. Ed il lapislazzuli si estrae tutt’ora.
L’utilizzo del lapislazzuli per la fabbricazione di oggetti ornamentali o di culto è molto antica. Il percorso espositivo inizierà con reperti archeologici provenienti dagli scavi condotti nella valle dell’Indo (Mehrgarth, 7000 a.C.), in Mesopotamia (Sumer, 6000 a.C., Ur, 2500 a.C.) e in Egitto (durante la XVIII dinastia, 1500 a.C. circa). Nel Rinascimento la preziosità del materiale fu particolarmente apprezzata a Firenze. Proprio alla corte dei Medici ebbe inizio una delle più spettacolari collezioni di oggetti in lapislazzuli d’Europa: non solo coppe, vasi e anfore, ma anche mobili intarsiati, piani di tavolo e commessi prodotti nelle botteghe fondate da Francesco I nel Casino di San Marco e nei laboratori istituiti da Ferdinando I nel complesso vasariano degli Uffizi, fino al tramonto della dinastia.
Il lapislazzuli, ridotto in polvere ad uso di pigmento, fu utilizzato dall’antichità fino al XIX secolo. Colore iconografico della Santa Vergine, colore simbolico della dignità reale, colore emblematico dei re di Francia, colore della moda: il blu diventa, verso la fine del Medioevo, il più bello e nobile fra i colori. Quando il lapislazzuli fece la sua prima apparizione in Europa, era conosciuto con il termine di “ultramarinum”, cioè proveniente da “al di là del mare”, da cui il nome di oltremare. Importato in Europa in quantità importanti dai mercanti veneziani, il lapislazzuli veniva pagato a peso d’oro e divenne il “blu” per antonomasia, uno dei colori più ricchi e preziosi, che veniva spesso associato alla porpora e all’oro. L’utilizzo del lapislazzuli in campo pittorico sarà oggetto di una sezione della mostra.
Verso la fine del XVII secolo e per tutto il XVIII, a causa di una penuria di lazurite, ci fu una forte domanda di pigmento blu. Nel 1814 il chimico francese Tassaert, che lavorava in una fabbrica della società Saint-Gobain che produceva della calce, osservò la formazione spontanea di un pigmento blu molto simile all’oltremare: è la nascita della sintesi dell’oltremare artificiale. Lo sviluppo della chimica nel secolo dei Lumi, permise anche la scoperta di altri pigmenti sintetici. È stato solo nel XX secolo che si è ridato al lapislazzuli il suo ruolo aristocratico: nel 1956 l’artista francese Yves Klein mise a punto un particolare blu, molto profondo, utilizzando un pigmento oltremare sintetico mescolato ad una resina industriale. Questo colore, ricordo quasi perfetto di quel lapislazzuli impiegato per dipingere i manti delle Madonne del Rinascimento, diventerà celebre con il nome di International Klein Blue («IKB»). Quest’ultima sezione raccoglierà i vari esempi di artisti contemporanei che hanno utilizzato per le loro opere questi nuovi pigmenti.