Chi è Vittorio Bifulco Troubetzkoy?
Mi occupo di progetti di interior design con oggetti e mobili in tiratura limitata. Ho approfondito lo studio della forma e attualmente porto avanti progetti legati alla design art... la forma si plasma e diventa oggetto di condivisione. Il design per me è sì innovazione, ma anche stimolo per la persona a ritrovare e riscoprire sensazioni sopite.
Cosa, del mondo che ti circonda, attrae la tua attenzione e cosa riesce ad avere un effetto tale da influenzare la tua ricerca artistica?
Le due cose spesso coincidono, sono attratto da forme, geometrie, linee, siano esse in natura, negli spazi urbani o negli individui. Mi piace vedere gli spazi che si formano tra due case, le geometrie delle ombre create dalle porte aperte, i contrasti di prospettive.
Qual è il pensiero/progetto che sta dietro alle tue opere: il tuo lavoro nasce dall’impulso che segue a un’idea o a una necessità? C’è un filo conduttore tra le tematiche affrontate nelle tue opere?
I progetti nascono per vari motivi, la voglia di creare qualcosa è sicuramente in testa a tutte. A volte sento il bisogno di portare su carta e in seguito di rendere tridimensionale un qualcosa. Lo stimolo proviene spesso da quello che mi circonda, è difficile che parta con l’idea di trovare qualcosa, spesso è semplicemente accanto a me. In molti casi i miei progetti sono accomunati da materiali uguali, che mutano nel tempo come le nostre idee.
Che approccio hai con la materia per arrivare agli aspetti contenutistici e concettuali delle tue opere?
Direi che la materia esprime il contenuto delle mie opere. La materia è imprescindibile, i miei progetti sono da vivere, toccare, rovinare. Bisogna far sì che la materia si esprima, utilizzandola.
C come consapevolezza, M come memoria, P come persona... che significato hanno queste parole nella tua ricerca artistica?
La consapevolezza, spesso arriva in un secondo tempo, l’istinto prevale. La memoria per me è fondamentale, attraverso gli oggetti che si creano si lascia un segno e si cerca di far tornare a galla sentimenti e relazioni sopite. La persona è materia di studio per me da sempre, specialmente nel suo rapporto con la forma.
Nella resa finale di un progetto artistico quanto peso hanno la pianificazione e la ricerca e quanto è imputabile, invece, all’imprevedibilità?
Direi che bisogna distinguere il fine di ogni singola opera. Purtroppo, in alcune situazioni o con particolari tipi di committenze, la pianificazione è essenziale. La ricerca, dal mio punto di vista, fa parte della nostra vita, io non riuscirei a smettere di ricercare qualcosa, è uno stimolo per fare. Sperimentando molto, l’imprevedibilità la pianifichi a monte; sai che potrebbe accadere di tutto e per questo, l’imprevedibile, l’inaspettato impari a conoscerlo e rispettarlo.
Se ti chiedo di rivolgere la tua attenzione dal cosa ricordi (il contenuto di una determinata esperienza) al come la ricordi:
• ricordi soprattutto le sensazioni?
• oppure è più forte il ricordo dei colori?
• ricordi soprattutto le voci o i suoni o il silenzio?
• oppure il volto delle persone?
• il profumo o l'odore di qualcosa in particolare?
• altro?
La mia testa è strapiena di immagini, frammenti, flash (dovrei organizzarla, ma non ho ancora trovato l’app giusta...). La maggior parte sono immagini, il colore non appare quasi mai, lascia sempre il posto alla forma, all’essenza. È fondamentale il silenzio, sì il silenzio. Sa essere molto forte ed è la colonna sonora ideale per svariate situazioni.
Quale dei cinque sensi utilizzi più frequentemente, più volentieri e con più familiarità quando lavori?
Sicuramente la vista, seguita a ruota dal tatto.
Quali delle tue opere ci proporresti come punti di snodo fondamentali nel tuo percorso?
Il tavolo “scratch” per me è molto importante perché è la sintesi di come vedo la mia realtà: scultorea, forte, con vari punti di contatto tra le parti. L’altra opera è “con-essere”, sviluppata con il mio amico e sociologo Giovanni Pelloso. È un’opera in cui la semplicità di una forma porta in sé un ruolo molto importante nel ritrovare una relazione un po’ dimenticata. Il tavolo “identità” è stata una sfida molto forte, affascinato dal nastro di Möbius, ho voluto realizzare un elemento forte di condivisione. Il mobile “window”, avvolto dal bronzo in tutte le sue parti, come a creare un monolite.
Quali sono le “sfide” che proponi a te stesso come artista? Come continui a sperimentare?
I miei campi di interesse, per fortuna, sono molteplici per cui di sfide e di stimoli alla sperimentazione ne trovo sempre molti... per ora l’ossigeno in questo senso non è ancora mancato.
Cosa vuoi che le tue opere dicano a te e a chi le osserva?
Parlo così tanto a lungo con i miei progetti durante tutte le fasi di progettazione e sviluppo, che una volte finito, ci piace il silenzio, reciprocamente. Chi le osserva, mi piace pensare che possa ricevere degli stimoli.
Quali sono le motivazioni, le spinte, i condizionamenti, i limiti e le conseguenze di essere un artista oggi?
Motivazioni sono la voglia di esprimersi, di confrontarsi... c’è da dire che essere artista (anche se io personalmente mi vedo più come progettista) oggi vuol dire riuscire a ricoprire tanti ruoli differenti per difendersi e riuscire a procedere (io per ora fatico molto).
A che cosa può aprirsi il mondo attraverso l’arte?
A una maggior consapevolezza… questo è quello che desidero possa succedere... ma la vedo un’utopia.
Quanto può essere utile oggi a un artista esporre in un determinato contesto? E quanto può essere utile il loro passaggio al contesto che li accoglie?”
La società contemporanea, purtroppo, credo sia strutturata a compartimenti stagni (ed è anche per questo che molte opere che studio si spingono nell’evidenziare questo stato), per cui il contesto dove si espone diventa essenziale a seconda del messaggio che si vuol far passare.
Che progetti hai in cantiere?
Attualmente sto studiando diverse opere legate all’interior design. In ambito pubblico ci sono alcune tavole aperte con il Comune di Milano, in cui, con Giovanni Pelloso stiamo cercando di far emergere l’importanza della condivisione nello spazio urbano. Alcuni progetti sono incentrati sulla luce e su come si possa fondere nella materia. Inoltre sto realizzando delle lampade sculture da esterno/interno.
Dai la risposta alla domanda che volevi io ti facessi e che non ti ho fatto...
Il percorso che porta al progetto (che sia esso un pezzo legato al design, all’arte, alla comunicazione o altro), è gratificante, si accumula esperienza e si cresce, sempre. Sì, sicuramente posso definirmi progettista.