“Full fathom five thy father lies, Of his bones are coral made; Those are pearls that were his eyes; Nothing of him that doth fade, But doth suffer a sea-change Into something rich and strange.”
E' l’inizio della Ariel’s Song, in The Tempest di Shakespeare (I, 2), che può essere intesa come una bellissima metafora della figura dell’artista, e soprattutto della sua morte, che lo trasforma in qualcosa di inattaccabile e perenne, di “prezioso e strano”. La presenza della poesia nel titolo e nel progetto di questa mostra appare particolarmente adatta a un artista come Angeli, profondamente attratto dalla scrittura e della parola poetica, e amico di poeti di grande valore, quali Nanni Balestrini, Sandro Penna, o Cesare Vivaldi, i cui testi accompagnavano spesso le opere di Angeli nei cataloghi delle sue mostre.
I “fathom five” diventano così cinque livelli tematici su cui orientare la lettura e l’interpretazione del lavoro di Angeli, nel suo sviluppo dal 1957 (anno di realizzazione di tre bellissime carte inedite, qui presentate) e il 1986-88, epoca in cui si colloca, alla fine della vita dell’artista, l’immagine di un pupazzo disarticolato, tragica variante del manichino dechirichiano, e forse una sorta di autoritratto dell’artista.
Veli. In tutte le sue metamorfosi, la velatura diventerà per Angeli una sorta di meta-pittura, un nodo tematico e problematico centrale. La tecnica del velare le opere con garze e tessuti translucidi è agli antipodi del velo come “impacchettamento” dell’oggetto tipico della cultura di massa contemporanea, che è al centro della poetica della Pop Art, e si lega a quella che è tutto sommato una delle più popolari invenzioni del XX secolo : il cellophane, la velatura industriale totalmente trasparente e glossy, quella che, appunto, luccica sulle superfici di tante opere della Pop Art americana. Per Angeli è valido invece il nesso velo/mistero di cui parla Walter Benjamin nel suo Passagen-Werk, dove definisce il velo “vecchio complice della lontananza”, ricollegandosi naturalmente alla sua teoria sull’aura dell’opera d’arte: la lontananza “auratica” creata dal velo, togliendo visibilità alle immagini ne problematizza la visione, e disattiva così ogni automatismo percettivo, ogni falsa e artificiosa trasparenza. Rendendoci problematico percepire l’immagine, ce la restituisce in realtà nella sua interezza e complessità.
Pittura. Quella di Angeli è una pittura influenzata all’inizio dall’espressività materico-gestuale dell’Informale, ma ben presto tendente al monocromo, al silenzio apparente della tela trasformata in schermo quasi neutro, appena animato da segni leggeri, da lievi vibrazioni luminose, o da forme leggibili in trasparenza: un intrigante velamento del soggetto, dopo l’esuberanza dell’Informale. Il dipinto Parigi (1962), esposto in questa mostra alla galleria Marchetti, ne è un esempio assai significativo e di grande intensità. Angeli affronterà poi la tragedia del dare forma all’informe, cercando di riportare la Pittura alle proprie apparenze figurali, seguendo la via di quella “metafisica dentro la fisica” indicata da De Chirico e Savinio, che si farà sempre più evidente negli anni Settanta e Ottanta. L'oggetto o il frammento della vita urbana, tra storia e attualità, si riaffacceranno sulla scena della pittura, resi con una plasticità di gusto tutto europeo e italiano, singolarmente vicino proprio al gusto che fu della Metafisica Dal ’72 faranno la loro comparsa, nell’universo figurale di Angeli, le immagini di aeroplani, obelischi, piramidi, figure geometriche, piccoli paesaggi, che a partire dal ‘75 risulteranno sempre più immersi in uno spazio metafisico , la cui natura andrà ulteriormente chiarendosi e approfondendosi negli anni Ottanta, insieme allo studio e all’influenza dei “valori plastici” di Sironi, Scipione, Mafai.
Segni, simboli, stemmi. La propria esperienza artistica, Angeli la intende come azione nel presente, ma radicata in un saldo territorio memoriale. Basti pensare alle parole dello stesso artista sui “ruderi” e i frammenti, materiali o simbolici, del passato, che nutrirono la sua prima ispirazione artistica, a partire dalla “strada”: “i miei primi quadri sono la testimonianza del contatto quotidiano con la strada. Vidi i Ruderi, le Lapidi, , simboli antichi e moderni come l’Aquila, la Svastica, la Falce e Martello, obelischi, statue, Lupe Romane sprigionare l’energia sufficiente per affrontare l’avventura pittorica”. Svastiche, falci e martelli, lupe capitoline e bandiere, l’aquila dell’Half Dollar, croci, stemmi, iscrizioni lapidarie, epigrafi romane, segni tratti dai graffiti sui muri, collegano Angeli al contesto dell’iconosfera urbana (questo il titolo della sezione della Biennale di Venezia del 1978 alla quale parteciperà ancora Angeli, dopo quella del ‘64), al quale attingono anche Schifano, Rotella o Kounellis…La pittura di Angeli s’incentra su simboli e icone di araldica intensità ed essenzialità, di forte impatto visivo, giocati su poche tinte e poche forme, nette e contrastate, ed esprime con viva energia una perfetta integrazione tra la materia e il pensiero. Il suo universo cromatico è frutto di un’austera limitazione che si trasforma in possibilità di efficaci soluzioni coloristiche.
Geometrie. Complessa, non euclidea, frattale, o, all’opposto, apparentemente elementare, schematica – la geometria è un’altra protagonista della ricerca di Angeli, lungo tutto il suo percorso artistico, a partire da certi disegni astratti degli ultimi anni ’50, che sembrano in qualche modo memori delle composizioni di Forma 1, dai triangoli-trapezi slabbrati che vanno a formare le calze di nylon strappate, nei lavori sul crinale tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, ai quadrati “imperfetti”, dall’effetto tridimensionale e aggettante, che talora si accampano sui fondi intorno a icone, simboli ed emblemi – le lupe, le aquile, le croci (cfr. in questa mostra Souvenir, 1976-77) – sconnessi, come scossi dal ritmo vitalissimo della musica da ballo o del jazz più in voga in quegli anni. O ancora le linee, altrettanto parossisticamente musicali, indici e vettori della materializzazione visiva di energie spaziali invisibili, che sembrano rinviare alle tese e dinamiche linee-forza del Futurismo, ai dinamismi di Balla. Per giungere ai paesaggi astratti, labirintici e frastagliati, o schematici e “stemmatici” (come le Marine e i Tramonti ), che fanno la loro comparsa all’inizio degli anni ’70, e alle architetture metafisiche e neo-primitive degli anni ’70-’80, limpide ma periclitanti…
Politica. Nel Novecento l'arte scompone, dissolve, decostruisce, ma ricerca anche lo “specchio” della realtà, e nella comprensione della realtà la premessa per l'azione politica. Franco Angeli è uno di quegli artisti che si sforzano di dare una dimensione pubblica, civile, politica, al loro messaggio artistico; che tentano di infrangere la barriera elitaria del linguaggio poetico; che non hanno paura di contaminazioni ma cercano anzi, in nome di una coscienza collettiva di cui si sentono parte, una assunzione di responsabilità ideologica, senza rinunciare alla loro funzione di liberi ricercatori. Angeli ha sempre espresso “una volontà di trasformazione e di lotta”, che ha caricato la sua pittura di intensa polemica politica e di critica sociale, come dimostrano molte opere qui esposte, ad esempio i bellissimi lavori su carta Berlino o Abbraccio eterno, entrambi del 1968, o ancora la tela Fiore partigiano, dello stesso anno.
Ciò che comunque più caratterizza il lavoro di Angeli anche dal punto di vista del rapporto arte-politica, è il suo riformulare un universo figurativo radicato nel presente, e al tempo stesso memoria di un passato storico-mitologico, la sua capacità di andare alla scoperta di un passato aperto alla forza attualizzante della rammemorazione.
Giuseppe Angeli, noto in arte come Franco Angeli, nasce a Roma, nel quartiere San Lorenzo, il 14 maggio 1935, da una famiglia del popolo di solida tradizione antifascista e socialista. Angeli vive la sua infanzia e adolescenza, dopo San Lorenzo (dove assiste al terribile bombardamento del 19 luglio 1943), a Borgo Pio, poi in Via Angelo Brunetti. Nel caos della guerra interrompe le scuole elementari, e a causa della morte del padre e delle precarie condizioni di salute della madre inizia invece a lavorare, come facchino ai mercati, come garzone di barbiere e poi di lavanderia, e in seguito da un tappezziere per automobili e da un carrozziere. Nel 1949 la morte della madre lo segna profondamente. Da questo momento si prende cura di lui il fratello maggiore Otello, sindacalista e poi segretario della sezione del Partito Comunista di Cinecittà.
Comincia a dedicarsi ai primi esperimenti artistici da autodidatta, tra il ’55 e il ’57. Frequenta lo studio dello scultore Edgardo Mannucci, dove vede lavori di Burri che influenzano fortemente la prima fase della sua poetica, di natura astratto-informale e materica.
Angeli aderisce al Partito Comunista nella sezione di Campo Marzio, e nel 1955 conosce prima Tano Festa e poi Mario Schifano, con i quali stringe un rapporto di profonda e solida amicizia. Li accomuna l’estrazione popolare e quindi un senso della realtà molto forte, la frequentazione degli stessi luoghi, e l’esigenza di andare oltre le esperienze informali. Fanno parte a pieno titolo di quella che verrà definita la “Scuola di Piazza del Popolo”. Nel 1959 partecipa alla sua prima collettiva, alla Galleria La Salita di Roma, con Festa e Uncini. Nel 1960, sempre alla Salita, tiene la sua prima personale, presentata da Cesare Vivaldi.
All’inizio degli anni ’60, la sua poetica si muove verso la figurazione: icone e frammenti di simbologia storica e collettiva, simboli culturali e ideologici come croci, falci e martello o svastiche, le lupe capitoline, le aquile americane e romane. Queste immagini, in apparente consonanza con le trionfanti tendenze pop, consacrano Angeli sulla scena internazionale dell’arte, dominate dalle iconografie del pop statunitense, nel frattempo esplose alla Biennale di Venezia del 1964, ma in realtà se ne distanziano profondamente. Lo stesso Angeli partecipa alla Biennale del trionfo pop, presentato da Maurizio Calvesi, ma in una lettera autografa scrive: “sono in grado di affermare di non avere mai dipinto un quadro nello spirito della Pop Art”.
Gli anni 1968/70 sono per Angeli anni di grande impegno politico e ideologico, che si protrarrà per tutti gli anni ’70, durante i quali l’artista si batte anche contro la guerra del Vietnam, rappresentandone gli orrori.
Nel ’72 fanno la loro comparsa, nell’universo figurale di Angeli, le immagini di aeroplani, obelischi, piramidi, piccoli paesaggi, che diventeranno motivi dominanti di questi anni. A partire dal 1973 si fa strada una nuova visione più analitica, e il pittore si indirizza verso forme più geometriche, sempre più marcate da campiture regolari e contorni netti. Dal 1975 si rafforza la scelta di una figurazione che sembra immergere gli oggetti in uno spazio metafisico, evidente nei lavori esposti alla X Quadriennale di Roma.
Sempre nel 1975 conosce la giovane nobildonna romana Livia Massimo Lancellotti, che diviene sua compagna di vita e nel '76 gli dà l’unica figlia, Maria. Nel 1978 partecipa alla Biennale di Venezia curata da Achille Bonito Oliva, nella sezione L'iconosfera urbana,dove presenta anche un cortometraggio.
Negli anni ‘80 si va approfondendo la natura neo-metafisica della ricerca visiva di Angeli, mentre le sue opere svelano anche lo studio e l’influenza di Sironi, Scipione, Mafai. Nel 1984 compare nei suoi lavori la figura di un pupazzo disarticolato, forse emblema dell’artista stesso, che come una marionetta è in balia dei fili imperscrutabili del destino.
Franco Angeli si spegne a Roma il 12 novembre 1988, all’età di 53 anni, in seguito a complicazioni dovute all’Hiv. I suoi funerali si tengono presso la chiesa di Santa Maria del Popolo, che custodisce l’opera di Caravaggio La conversione di San Paolo, molto ammirata e amata da Angeli.