Il problema del valore contiene in se la propria mediazione;
Il punto del suo sorgere costituisce un inizio assoluto…
Se il problema è posto l’essere come essere non è più posto(Julius Evola, Teoria dell’Individuo assoluto)
La matematica stessa, quindi, così come la conoscenza umana, non può poggiare su solidi fondamenti completamente inattaccabili poiché il germe erosivo del limite è sempre in agguato e pronto a colpire non appena si presenta ineluttabilmente l’occasione. Ma è proprio il limite a far sì che si possano gettare le fondamenta stesse della conoscenza…
(Giovanni Mazzallo, Il “limite” in filosofia)
Evola presuppone un aristotelismo di base dove l’accento viene posto sulla centralità della causa finale ma il “fine” non va oltre l’autorealizzazione del nucleo più profondo dell’Io: ogni materia è già “segnata”, determinata, e và “risolta” nell’Io in quanto solo in relazione all’Io si dà la tensione fra potenza e atto e la filosofia di Evola riprende appunto la centralità dell’entelechia di Aristotele, colta nei suoi aspetti dinamici ed esperienziali e vista quale via unica e superiore per superare e risolvere ogni scissione platonica nella percezione del reale.
L’in-dividuo autoafferma la propria irriducibilità e irresolubilità agendo e scegliendo in modo consapevole (ab-soluto) e così operando “spezza” sia l’apparente autosufficienza dei fenomeni che la stessa passività e solipsismo della “soggettività” quale mera opacità e passività. L’in-dividuo operando in modo coerente ri-crea il proprio orizzonte e supera sia l’indistinzione e la falsa equivalenza dei fatti e dei fenomeni che il vuoto del soggetto. L’uomo produce valore e il valore è esperienza vissuta; il valore è concrezione di scelte volitive ed esistenziali (anche inconsapevoli). Il valore quale “individuazione”, quale passaggio evolutivo, esistenziale e mentale dall’indeterminatezza alla determinatezza (vista come valore superiore ed ulteriore). Il circolo evoliano del valore non esce dalla circuitazione fra Esserci ed Essere, affinchè il secondo si risolva nell’assolutizzazione del primo.
Marco Aurelio e Severino Boezio restano i landmarks impliciti della filosofia evoliana: il primo quale riduzione della filosofia ad auto-introspezione e valori di equilibrio e permanenza nell’impermanenza, e il secondo per il concetto di persona quale “sostanza individua”, cioè separata e irriducibile. Il “limite” è il metodo. Due le basi di questo “individualismo trascendentale”, non individualistico: la genesi del valore quale rapporto incondizionato, non mediato fra Io e non Io in modo che Io non abbia ostacoli al suo senso di unità e trasparenza, coerenza e completezza ma operi il proprio “stato”ontico quale momento esperienziale. Da qui deriva un rapporto attivo, amplessivo e maschile con l’infinito, un’ontologia del valore e della volizione. La forma è la modalità con cui l’Io vive una sua determinazione o esperienza.
Tutte le categorie kantiane vengono così assorbite nel dato esperienziale bruto, muto, assoluto. E’ l’autocoscienza il fattore generatore del pensiero e del reale quale esperienza. Quello di Evola è un “kantismo estremo, totale, olistico” dove viene posta quale equazione per una metafisica dell’immanenza la medesima equazione trascendente di auto-rivelazione divina sul Sinai. La differenza fondamentale tra Evola e gli altri pensatori post-idealistici (Dugin compreso) è data dalla preferenza accordata alla physis di origine aristotelica, per la cui indagine Evola rinvia alle saggezze premoderne, sciamaniche, misteriche delle antichità greco-romane.
Una physis sia quale materiale esistenziale-esperienziale trasformativo per le epifanie cratofaniche dell’Io sia quale dato essenziale dell’Esserci, non riducibile ma, anzi, matrice stessa generativa del senso del valore. Il trascendentalismo evoliano ha come suo postulato apparentemente paradossale proprio la non rimovibilità del Limes quale Esserci, riposizionato aristotelicamente al centro fino alla realizzazione del proprio compimento. Mentre Dugin è il filosofo dell’a-peiron, delle grandi distanze spaziali, del processo di assolutizzazione del soggetto per giungere ad un “Soggetto senza limiti” Evola resta il filosofo del “viaggio verticale” aristocratico e solitario per accedere individualmente ad una dimensione ontologica superiore dove l’Io resta comunque Io con la sua differenziazione irriducibile. Per Evola l’indifferenziato dell’a-peiron vale quale potenzialità e virtualità latente da realizzare attuandola quale Individuo e nell’Individuo e non viene apprezzato quale livello superiore a cui piegarsi o nel quale confondersi o annullarsi.
Evola pone al centro il tema del valore, della scelta, dell’atto assoluto quali vie di ascesi dentro un Essere dove Assoluto e Limite si implicano reciprocamente senza soluzione di continuità. Questo approccio centripeto esclude alla radice ogni proiezione idealistica di qualsiasi coloritura ma evita nel contempo la nudità povera ed edonistica dell’Unico di Stirner elevandosi sopra l’immediatezza della funzione di consumo tramite lo sguardo aristotelico olistico che si fissa sulla realizzazione piena dell’entelechia cioè dell’Io quale Olos.