Due sono le vie
per cui si scende e si sale
l’una rivolta al risonante Borea
l’altra di fronte all’umido soffio di Noto

(Quinto di Smirne, Il seguito dell’Iliade)

Verrà giorno in tempi lontani che Oceano
scioglierà le catene del mondo ed immensa apparirà
una terra. Nuovi mondi Teti svelerà;
non ci sarà più sulla terra un’ultima Thule

(Seneca, Medea)

Caos, Ordine, il Sole di Mezzanotte e il Sole Nero dell’Alchimia. Cosa avvicina e affratella queste polarità? Come riportare in unità queste immagini mitopoietiche potenti ed apparentemente eccentriche? Cosa sono il caos e l’ordine per il mito greco? L’immagine di Apollo Iperboreo permette di sciogliere quest’apparente confusione enigmatica. Apollo è il dio dei solstizi come ricorda Giuliano l’imperatore nei suoi scritti (quanto Demetra appare equinoziale), cioè un dio polare ma pure appare immagine unitiva di molti opposti: viaggiatore, purificatore, potenza guaritrice e sciamanica ma anche nume sapienziale, eroico, guerriero quanto pastorale, astrale quanto chtonio e catabatico.

Nei solstizi il sole sembra fermarsi e allora lo si celebrava nel suo cosmico trionfo rituale. Il tempo ciclico e progressivo sembra fermarsi. L’antica Roma lo sapeva e infatti il saturino dicembre quanto l’iniziatico gennaio non rientravano nel calendario sacro dell’Urbe ma si trattava di tempi aionici, liberi da Kronos, centrati nel proprio fertile otium. Per questo, le feste saturnaliche contemplavano anche un’inversione-indistinzione sociale: si celebrava un ritorno comunitario all’età dell’oro cronia, quando gli uomini vivevano in stato edenico e fraterno.

Giano accoglie Saturno nel suo Lazio, cioè nel suo nascondersi, come già prima Urano si occultò, cioè il mese degli inizi segue il mese della stasi ma pure lo precede iniziaticamente. Apollo prepara nel solstizio invernale la sua partenza per la terra polare ed edenica degli Iperborei con il suo carro volante trainato da grandi cigni. Laggiù nelle terre alte vicine al Paradiso terrestre e al pilastro che sorregge la volta celeste, sotto la stella polare, trascorrerà del tempo nella dimensione festiva del suo popolo più devoto, tra canti, riti, danze, banchetti e agoni, come ricorda Pindaro che pure rammenta il fatto che gli Iperborei sono “liberi da Nemesi” cioè dalla giustizia umana fondata sui cicli naturali, appaiono cioè superiori al divenire mondano-umano.

Lo conferma il frammento 120 del poema sulla natura di Eraclito (Diels-Kranz) dove il filosofo insegna che il dominio diurno di Zeus (nel ciclo alba-tramonto) trova un limite invalicabile nelle terre “sotto l’Orsa”, cioè artico-iperboree. La “Terra” non è mai stata di Zeus, a cui spetta la dimensione della luce celeste diurna, ma appare livello del reale condiviso tra Apollo, Demetra e Poseidone. La “Terra” è il luogo d’incontro fra dei, eroi, ninfe, uomini. Iperborea è la “Terra” per antonomasia: fertile, ricca, sempre primaverile, stabile; e lassù le stelle non si muovono e il cielo tocca la terra. Ecco perché Apollo Iperboreo, maestro di Pitagora, splende in pienezza: perché manifesta sia l’aspetto solare che quello ctonio come fosse un sole pieno, senza mai ombre né notte ma pure un sole sotterraneo, tellurico che solarizza dal profondo quel Giardino afrodisiaco.

I due gradi della parabola solare iperborea sono dati appunto dal grado minimo visualizzato nel Sole di Mezzanotte e nel grado massimo dato dal Sole solstiziale: fermo, totale, aionico, per il quale apparire ed essere diventano una cosa sola nella sua pienezza e il tempo diveniente sembra esaurito e concluso. Lì allora l’alto risuona come il basso, e l’abisso acqueo celeste si guarda nell’abisso tellurico grazie alla solarizzazione apollinea. Sono le nozze apollinee-artemidee, alluse nei cicli temporali metonici-calippici dove l’anno solare concorda con le 235 lunazioni e ci dona anche anni con la doppia luna mensile, come sarà nell’agosto 2023.

Il Sole di Mezzanotte non elimina le tenebre artiche-originarie ma compare quale punto di bianca incandescenza dentro un oceano di tenebre. E’ l’Alfa, il grado Zero, Thule cioè la bilancia stellare tra le due Orse, come si ricorda Renè Guenon, dove giorno e notte sono in perpetuo equilibrio per cui un giorno di Thule corrisponde ad un anno terrestre. Il Sole iperboreo invece trionfa permanentemente quale stato edenico a cui rinviano ritualmente e periodicamente i soli solstiziali quale richiamo ad un’aurea “stasi” ontologica edenica e originaria. Apollo quale nume verticale, sciamanico che ascende e ritorna fra gli onphaloi della terra, tra la Delfi bronzea, elevata da architetti iperborei secondo Pausania, e la “Terra dei viventi” della Bibbia (es: Salmo 27), cioè Iperborea.

I Salmi e lo stesso Isaia ci ricordano un tempo in cui anche per Israele la luce veniva dal Settentrione prima che da Oriente (Is. 14, Gb. 37). I viaggi di Apollo sono scanditi da ritualità festive di cui resta veloce ma intensa traccia in un frammento del lirico Alceo che ricorda le danze circolari attorno al tripode bronzeo delfico (immagine polare) affinch* Apollo torni a Delfi dal Nord estremo. Il timore ancestrale era infatti che il Sole si fermasse definitivamente e tutto collassasse.

Apollo è l’Obliquo, come si inclinò la Via Lattea, il dio polare nei due sensi propri della filosofia greca del cosmo che ancora dominerà la visione di Dante Alighieri e la stessa cartografia occidentale fino alla metà del XVII secolo, quando inizierà l’ultima piccola glaciazione che porterà all’oblio delle verdi terre polari. “Polo” cioè nel senso assiale-verticale dei due cardini dove la volta celeste ruotante tocca il disco fermo della terra (polo boreale e polo australe, già in Aristotele), cioè le cosiddette “Porte della Notte” e “Porte del Sole” (o porte bronzee del retromondo dell’Ade) in Parmenide, Omero ed Esiodo. Ma “Polo” anche nel senso centrale di voragine-pilastro centro del disco fermo della terra, esattamente sotto la posizione fissa della stella polare, che coincide anche il centro della volta celeste.

Nelle mappe tolemaico-azimutali il centro del cielo è sovrapposto perfettamente al centro della terra. Qui e laggiù domina ugualmente Aiòn “che nuove la ruota”, modello indogreco della sovranità universale, come lo chiama Nonno di Panopoli nelle sue Dionisiache. Per questo il tripode delfico ha tre basamenti: i due poli come estremi e il polo centrale del pilastro che regge e unisce cieli alla terra. Il tutto visto lungo un asse verticale tra la “Porta di Borea” e la “Porta di Noto” di quell’ “Antro delle Ninfe” che appare sia il cosmo intero che il corpo umano, nella visione del canto XIII dell’Odissea, anche nel commento neoplatonico di Porfirio (De Antro Ninpharum) e nella ripresa di Quinto di Smirne. Ma il centro dove cieli e terra si toccano è anche il Chaos, cioè la grande voragine-gorgo dove sole e luna scendono catabaticamente nelle regioni chtonie dell’Ade dove Ade-Apollo regna con Ecate-Persefone.

Chaos è lo spalancarsi della terra quando Kore strappa le radici di un gigantesco narciso da cento petali e allora erompe il carro d’oro volante di “Ade-Adone-Adonai” che la porta volando sui mari fino all’ “Isola di Demetra” circondata dalle nebbie (cioè la fiorita e sirenica Iperborea) secondo il racconto delle Argonautiche Orfiche. Ma la Kore che raccoglie i fiori ritualmente riaprendo fessurazioni irradianti ricorda un suo doppio: Euridice che fugge all’eros del sapiente Aristeo, epifania di Apollo, e fuggendo viene morsa da un serpente e cade. Il tema del serpente ctonio rinvia all’idea del Chaos originario.

Ecco la stessa serpentina e apollinea Delfi quale “fessura” cioè quale chaos-varco-matrice delle origini dove sorge e prorompe fuori il Kosmos stesso colto nel suo farsi e darsi quale bellezza plurale e ciclica. “Chaos” deriva dalla radice greca “cha” da cui i termini “chasma” e “chaino” cioè uno spazio vuoto e abissale per il quale passa qualcosa che sorge e trabocca, come il vapore profetico delfico. Chaos è l’Uovo delle origini nato secondo gli Orfici da Borea e da Notte o da Ofione e la dea danzante Eurinome (il più ampio e grande Nomos) da cui prorompe alla sua rottura Phanes Protogono, matrice del successivo Mithra, cioè Eros dalle ali auree, potenza invincibile. Epifania del Chaos quale “varco” appare l’immagine di Aiòn che si affaccia da una porta ellittica nel vassoio argenteo romano detto di “Parabiago” esposto al Museo Arheologico del Comune di Milano.

Qui il fanciullo eterno guarda la scena dell’incedere del carro trionfale della Madre degli dei preceduta dalla danza di Corbanti armati ma in asse verticale con la sua figura ecco ergersi un obelisco attorno al quale sale attorcigliato un serpente. Nel Mito quindi Chaos e Ordine sono una cosa sola vista con due sguardi distinti: il Kosmos nel suo apparire, iniziare e svolgersi dall’unità può esser visto come Kaos e il Kaos è la stessa potenza creativa e scardinante di Eros creazionale visto in se stesso palpitante. Ma è una cosmogonia che non finisce, incessante, permanente. Chaos è l’Ordine che si squaderna dall’Uno, facendo apparire cielo e terra, le serie di coppie di Titani maschili e femminili.

Anche la Bibbia racconta il medesimo racconto: il Caos è la prima creatura divina, prima della creazione per separazione della luce stessa. Genesi ci mostra Dio che crea terra-cielo prima della luce. Una terra-cielo mescolate, indistinte, vuote, informi, tenebrose. Un Caos germinante, fertile, gorgogliante, matrice unica e universale di tutte le serialità oppositive con cui si struttura il cosmo stesso. Dio da grande alchimista crea per estrazione-distinzione dal pre-forme originario, l’a-peiron, imponderabile e non commensurabile che chiamiamo “caos” e che è la sostanza basica e unitaria delle origini, l’Olos, l’Unità androgina, l’Adam Kadmon, l’Uovo d’argento screziato di giacinto che ritorna nel racconto della nascita da Nemesi delle due coppie di gemelli: quella armonizzante dei Dioscuri e quella oppositiva di Clitemnestra/Elena di Sparta. Il fisico atomico Massimo Corbucci lo ha visto nelle sue ricerche sperimentali; ha visto il Vuoto (l’Infinito biblico) conferire la massa nelle fessurazioni (chaos) della tavola periodica degli elementi dalla sua saggezza riformulata nuovamente. “Tutto è vuoto” secondo il Qoelet perché tutto viene dal Vuoto e torna alla luminosa pienezza dell’abisso del Vuoto cosmico, cioè il nostro “Sole edenico” nascosto, il lato aureo di Saturno celato nel piombo. Non ha senso quindi porre in opposizione Ordine e Caos per due livelli di motivazioni.

Per prima cosa l’Ordine aionico-mitogonico è l’opposto dell’ordine moderno e postmoderno (che è entropia e dissoluzione) e così pure il “Chaos” della sapienza antica è l’opposto dell’idea moderna di caos quale disordine. Il Chaos è il Centro, la sorgente, il grande “cratere” richiamato nelle Antesterie ateniesi, il perno esoterico dei Sissizi lacedemoni (la loro palude circolare, ricordata dal loro brodo nero rituale) ma il Chaos è anche l’erompere permanente del “kainos” cioè del “nuovo”, opposto al “neos” quale mero “fatto recente”, feticcio cadaverico. E l’Uovo-Chaos resta aperto. Torna nei copricapi degli iniziati: i Dioscuri, Odisseo, Diomede, il pileus di Hermes, i berretti conici e filanti dei Flamini romani, il Centro dei Labirinti di Eleusi, Samotracia, Cnosso e della spartana Canopo sul delta del Nilo. Chaos quindi appare immagine-fatto sia centrale che verticale-assiale. Lo ricorda Quinto di Smirne nel suo seguito dell’Iliade quando, platonicamente, parla dei Campi Elisi quale terra-dimensione (tanto fisica quanto metafisica) dove sono presenti e percorribili sia i passaggi per i cieli quanto i passaggi per i mondi sotterranei (idem Platone: Timeo, Fedro, Repubblica). Il Chaos greco e il Caos biblico quale “pre-formale formante” universale (uguale alla terra-cielo che esce dall’Uovo orfico) ci rinviano anche alla presenza fondamentale del “Chaos” nella tradizione alchemica. Si parla per secoli nella letteratura ermetica del “Chaos dei filosofi” (cioè degli alchimisti) quale fase “al nero” sotto il segno di Saturno in cui la materia viene crocefissa e collassa internamente. Si accende allora il “fuoco alchemico” corrispondente all’Apollo sotterraneo o al Saturno nascosto, cioè un fuoco che arde al contrario come nel vestito dell’Hermes-Cristo della Primavera di Botticelli. Un fuoco che arde verso l’interno e verso il profondo, perché alle origini il “Cielo” arde dentro la Terra. Ecco allora il Sole Nero dell’alchimia, che appare l’esatto opposto complementare del Sole di Mezzanotte di Thule lungo l’asse verticale iperboreo-solstiziale. L’alchimia è opera di rinnovazione palingenetica dell’Opera divina delle origini, quindi necessita della riemersione attiva di Chaos. Non a caso il Chaos alchemico viene chiamato “Terra” e assimilato alle ceneri feconde da cui la Fenice appare. E’ come se il reale mediano e cangiante non reggesse all’irradiazione dell’Apollo sotterraneo quale sub-mondo (contrario-opposto alle forze distruttive e altre del Tartaro) e quindi implodesse ma in tale implosione c’è la via per il ritorno al Paradiso terrestre celato nel nostro corpo-terra alluso nel segno della “mandorla” nell’arte medioevale e nel nome di “Luz” (da Bet-El) nel racconto della lotta notturna di Giacobbe.

Il Cristo appare e troneggia da questa gloriosa mandorla presidiata dai quattro Viventi dell’Apocalisse giovannea (Ap.4,7). Il tempo solstiziale è tempo giovanneo, del Giovanni sapiente, fanciullo e vecchissimo a Patmos ed Efeso. E nel Libro della Rivelazione (Rotolo scritto dentro e fuori come gli occhi dei Viventi; Ap.4,8/5,1) appare una porta “spalancata” (Ap.4,1) da cui passa la Voce che Giovanni vede (Ap.1,12) e attraverso la quale il profeta sale ai cieli divini. Questa “Porta” celeste è Chaos nel senso mistico-cosmico che abbiamo detto. L’alchimia ripresenta la divina genesi nel microcosmo e l’iconografia del Nero saturnino appare assolutamente coerente, ricca e illuminante per i temi cosmosofici qui indicati. Ricordiamo alcuni eidogrammi ermetici di rara sapienza e bellezza che alludono al “Sole Nero”, che tanto De Chirico amava ricordare, secondo tre tipologie predominanti nel tono: a) amplessivo-ierogamico, 2) coincidentia oppositorum, 3) accensione della luce/fuoco invisibile. Per la prima tipologia ricordiamo la suggestiva immagine del Pretiosissimum Donum Dei attribuito a Georges Aurach (1415) nella quarta fase della Putrefactio come pure la sesta visione della Philosophia Reformata di Johan Daniel Mylius, 1619, dove Re e Regina si uniscono nelle tenebre o in una fossa o in una bara. Per la seconda tipologia degne di nota tra le molte sono le raffigurazioni della stella a sette punte di Saturno nella sua inversione penetrante la materia come ammiriamo nell’emblema del Vitriol nel Viridarium Chymicum di Daniel Stolcius (1624) e come possiamo apprezzae nell’immagine del riposo di Saturno nell’Azoth di Basilio Valentino (1659). Qui il “Vecchio” è adagiato in una postura “a valle” fra sole e luna e i loro opposti venti e la prima (o quinta) stella è quella nera di Saturno. Sopra la parte generativa del Vecchio siede il corvo nero, già bianco, che appartiene ad Apollo e che ritroviamo molte volte nell’immaginario ermetico come nella Philosophia Reformata alla fase 9 dove uno scheletro reca un corvo stando in piedi sopra un Sole Nero fiammante.

Ecco il tema dell’accensione del fuoco occulto, non naturale, che appare chiarissimo anche nella quarta delle Dodici Chiavi della Filosofia di Basilio Valentino nella candela accesa sopra la lettiga-arca-bara con sopra lo scheletro eretto. Sempre nell’Azoth abbiamo la celebre stella-volto a sette punte con la punta prima volta in basso, nera, corrispondente al piombo saturnino, al cubo e aprente la fase del “teschio e del corvo”. E’ questa “Stella del Chaos” che unisce cielo e terra, aquila a leone ad apparire sormontata dal globo terracqueo crociato nell’emblema del Vitriol. Sempre si allude all’accensione del fuoco ermetico nell’immagine dell’Uovo immerso nel fiume e fiammante dall’alto che troviamo nell’Utriusque Cosmi Historia di Robert Fludd (1619). Nella sua semplice completezza simbolica resta insuperato l’emblema diciannovesimo dello Spendor Solis o Aureum Vellum di Salomon Trismesin (1532). Qui abbiamo riuniti tutti i carismi essenziali del Sole Nero quale sintesi vivente e organica dell’aspetto plumbero e aureo di Saturno. L’astro appare del tutto scuro ma con i raggi estremamente radianti ed aurei, unione quindi delle ali nere della Notte orfica-artica con le ali d’oro di suo figlio Eros. Il paesaggio appare sospeso, aionico e dominato dal tipico freddo secco proprio di Saturno: il letto del fiume è secco e i rami sono senza foglie. Non si potrebbe dire se sia alba o tramonto in quanto tutto è immoto e il Sole appare condensato in se stesso e infisso per metà dentro la terra invernale. Ecco il Chaos, il Sole occulto, invisibile ma potente.

E’ anche un Occhio in quanto domina e regge l’orizzonte, che taglia e sostiene. Questo emblema indica pure la “cosa una” (che è anche “la forza più forte di ogni forza”) della Tabula Smaragdina in quanto si tratta di un “Sole Androgino”: maschile ma covante una germinazione trasformativa che sembra materna. Il Sole è silente, muto, segno del segreto iniziatico dell’Opera. In altre versioni della miniatura il Sole occupa, regge e attraversa tutti gli elementi: aria, acqua e terra, mostrandosi ora del tutto scuro e ora semitrasparente, irradiando sia verso l’alto che verso il profondo, l’interno. La cornice dell’emblema nella sua forma più solenne mostra chiaramente i segni della trasformazione interna annunciata: l’iris, la lumaca, la libellula e, specialmente, il papilio machaon sia prima che dopo la sua metamorfosi. Le nuvole incendiate di rosso preannunciano la trasformazione finale già così iniziata.

E’ nel tornare a scendere nel profondo, nel ritorno al Chaos che si aprono le condizioni per la ierogamia creativa dell’assialità verticale trasformativa. E’ il “penetrare il Centro” (e il centro del centro) che indica la fecondazione tra gli opposti cioè emerge la tendenza interna del Chaos stesso alla palingenesi. Misticamente lo si comprende bene nella teologia dell’Incarnazione del Cristo: sembra una degradazione e invece presenta la massima gloria e il massimo trionfo di Dio proprio perché realizzato dentro la materia, dall’interno. Simile logica mistico-cosmica e alchemica la troviamo nelle opere meravigliose del sapiente gesuita Athanasius Kirker come nel suo Edipo Egiziano (1654) dove un cono di divina ombra scendente dalle ali di un disco solare egizio (Sub alarum Tuarum) penetrando sia i cieli stellati che la Terra fino a giungerne come un nero raggio al Centro dove il segno dello Scarabeo è accompagnato dal motto: Mens molem agitat.

Come il Sole di Mezzanotte rappresenta uno stabile grado di iniziazione mediatore fra i mondi superni e quelli inferi dalle Metamorfosi di Apuleio fino all’Aurora Consurgens di Jakob Bohme (e tenebris lux) così il Sole Nero è uno stato di necessario passaggio alchemico, fondativo (ordo ab chao). Il tema, come ogni topos ermetico fondamentale, appare implicito e alluso anche nell’immaginario artistico e vangelico dell’eclisse universale alla morte di Cristo in Croce, come nell’opera di Bramantino alla Pinacoteca di Brera. Buona parte delle rappresentazioni della crocefissione cristica dai rilievi marmorei duecenteschi fino al primo Barocco indica come elementi strutturali e palingenetici, apocalittici, il sole e la luna ai lati della Croce. Sole scuro come crine o esangue e luna grigia o rosso sangue secondo la visione di Giovanni (Ap.6,12).

Questi immaginari centripeti, assiali ed ellittici ritornano infine nella meravigliosa emblematica scientifica di Athanasius Kirker in relazione ai cicli astrali e alle dinamiche del magnetismo; per cui ricordiamo il De arte magnetica del 1654 con una figura che ricorda quella dell’Uovo e dell’incrocio dello ierogramma luci/ombre cusaniano-duginiano nella rappresentazione sintetica delle inclinazioni magnetiche boreali e australi e l’Ars Magna lucis et umbrae del 1646 nell’iconismo XXI sulle due spirali delle lunazioni, che ricordano anche le spirali kirkeriane due poli-vortici magnetici terrestri e che ritroviamo nel soffitto del Salone di consultazione della Biblioteca Nazionale Braidense di Milano, già raffinato centro culturale-formativo dei Gesuiti.

Oggi abitiamo la fine dei tempi e quindi il tema cosmotetico del Kaos torna attuale, necessario, urgente, anche per aiutarci a centrarci nell’Uomo interiore. Non a caso il Cristo come Uomo nasce al mondo nel tempo solstiziale. Perché è dalla Porta nordica di Borea che viene il principio della generazione umana (mente gli dei vengono dalla porta australe di Noto, cioè dal Chaos quale profondità) e dal Polo apollineo centrale-nordico scesero nel tempo post-edenico tutte le razze e tutti i popoli della terra. L’Ellade lo ricorda ancora nel nome del titano buono Giapeto, il Giafet figlio di Noè-Dioniso. Zafon (צָפוֹן): il termine indica il Nord ma nel contempo la radice della parola significa "nascondere, occultare” (come un tesoro). Da esso viene ad esempio: mazpon "tesori occulti" presente in Sofonìa: "Dio ha nascosto come un tesoro".

Possiamo dire che l’“Ordine” è la compresenza vivente e complementare di Kosmos e di Kaos. Il Logos è Uno. O anche possiamo dire che il vero Ordine è giù latente dentro Chaos e il Cosmo (kosmeo: abbellisco, orno, compongo, ordino) non è che ciò che passa attraverso il Chaos per splendere fuori quale femoneno. Chaos e Ordine tendono al loro telos, cioè tendono alla preparazione della discesa della luce eterica della cubica Gerusalemme celeste, a cui si giunge tramite l’ek-pirosi stoica-eraclitea e petrina. Allora là tutto sarà immerso nella Luce e in una Luce diffusa, post-cosmica e teandrica; senza direzioni quanto è ora pura parusìa; non ci sono più né sole e né luna perché si è tornati alla luce creazionale originaria.