Un’icona nella storia visiva del Novecento. Modella, fotografa, musa, e soprattutto prima donna reporter di guerra che documentò gli orrori dei campi di concentramento liberati dalle truppe americane. E’ Lee Miller (1907-1977) figura indiscussa della fotografia che ha attraversato la propria vita con passione e determinazione.
Ora un’importante mostra, “Lee Miller - Man Ray. Fashion, Love, War”, curata da Victoria Noel-Johnson, la celebra nella suggestiva cornice di Palazzo Franchetti a Venezia.
Ben 140 fotografie, ma anche oggetti d’arte e documenti video, provenienti da Lee Miller Archives e dalla Fondazione Marconi, raccontano la sua storia e quella di un altro grande protagonista coinvolto nella sua impresa: Man Ray (1890-1976).
La rassegna promossa da CMS.Cultura in collaborazione con ACP-Palazzo Franchetti, ripercorre l'intensità degli anni ruggenti, la Parigi crocevia di moda, letterature e arti che si aprivano al tratto surrealista e alla singolare ricerca di cui Leee Miller e Man Ray che ne furono straordinari propugnatori. E non è di certo un caso se ad aprire la rassegna veneziana siano proprio due loro autoritratti – un dittico - in cui sono ripresi di profilo, come “osservatori” e comunicatori del loro percorso espositivo.
Elizabeth “Lee” Miller già negli anni Venti è una modella di successo a New York. In seguito si trasferisce a Parigi, dove diventa ben presto un’affermata fotografa di moda, distinguendosi anche come modella sulla copertina di Vogue (1927), lavorando con George Hoyningen-Huené, celebre fotografo che la immortala nella celebre foto “The Divers”, uno dei più iconici scatti di moda del XX secolo in cui Lee Miller posa di schiena su di un molo insieme a Horst P. Horst, leggendaria figura della fotografia.
Risale al 1929 l’incontro con Man Ray, ben documentato nella rassegna veneziana dentro le loro vite e le loro carriere. E in una sorta di contaminazioni il percorso espositivo evidenzia la famosissima tecnica della solarizzazione scoperta dalla stessa Lee Miller e adottata da Man Ray come firma artistica che lo contraddistinse.
A Parigi la fotografa americana entra in contatto con le avanguardie artistiche dell’epoca. Bellissimi i ritratti in sequenza: da Max Ernst a Pablo Picasso passando Giorgio de Chirico, Jean Cocteau e Salvador Dalì. E non mancano gli scatti surrealisti a Lee Miller, quasi una pratica per indagare e rivelare la sua anima, in cui viene ritratto il suo algido corpo - il collo, o The Neck (1930) - la foto dedicata alla lunga ed elegante nuca di Lee Miller, o ancora le sue spalle. Ma di grande fattura sono anche i bellissimi scatti alle amiche artiste Dora Maar e Meret Oppenheim. E nello stesso anno Jean Cocteau coinvolge la fotografa nel film surrealista “Le sang d’un poète”, in cui Lee, cosparsa di gesso, interpreta una statua d’ispirazione classica. E assai seducenti sono le immagini di Man Ray: le labbra di Lee, o i sublimi ritratti che testimoniano passione e bellezza, complicità e identità.
1932, Lee Miller torna a New York dove apre il primo studio fotografico di successo gestito da una fotografa. E’ il periodo in cui Man Ray, mosso dal dolore, darà luogo al celebre metronomo: “Perpetual Motif”(Moto perpetuo) che incontriamo nel percorso espositivo. Ma non vi è davvero tempo per Lee Miller. Nel 1934 si sposa con l’uomo d’affari egiziano Aziz Eloui Bey e a seguire è in Egitto, la sezione nella quale spicca il “ritratto di uno spazio” in cui immortala la sua zanzariera strappata, come uno sguardo verso l’infinito. E a seguire sono le “vacanze surrealiste” (1937) tra la Cornovaglia e il sud della Francia con Max Ernst, Man Ray, Pablo Picasso, Dora Maar e con il futuro secondo marito, l’artista surrealista Roland Penrose, con il quale si trasferirà a Londra, per lavorare all’edizione di Vogue. E la mostra veneziana si deve proprio a Suzanna, moglie defunta di Anthony Penrose, che ritrovò ritrovamento casualmente, in un baule della soffitta della tenuta di famiglia oltre 60mila scatti tra foto, negativi e documenti che Lee Miller aveva voluto conservare ma non più mostrare. Ma nel frattempo sull’Europa incombe la guerra e Lee Miller non manca di essere in prima linea immortalando lo sbarco alleato nei pressi di Saint Malo, ed entrando nei campi di concentramento. Diventa così la prima donna fotoreporter della Seconda Guerra Mondiale per conto di Vogue. Testimone di sconvolgenti drammi come il blitz di Londra, la liberazione di Parigi e i campi di concentramento di Buchenwald e Dachau. Eventi forti e drammatici che la segneranno nella vita. Nel 1944 viene accreditata come corrispondente dell’esercito americano. Collabora con il fotografo di “Time Life“, David E. Scherman. E del periodo bellico e post- bellico sono gli scatti dedicati a Picasso e Jean Cocteau, ma anche agli amici parigini e a Man Ray nella campagna inglese, per ricostruire una storia di glorie, immagini e forti emozioni, come quelle immortalate tra le lacrime del suo volto.