Curata da Richard Mudariki, Shanduko (cambiare, modificare in shona) è la collettiva dedicata a quattro artisti visivi dello Zimbabwe: Linnet Rubaya, Franklyn Dzingai, Mostaff Muchawaya e Wilfred Timire. La mostra sottolinea come gli artisti emergenti sperimentino tecniche innovative nei loro lavori, facendo slittare e trasformando il senso dei media tradizionali, mantenendo un'attenzione particolare verso la figurazione e il tema della memoria e dell'identità culturale.
“La sottile distruzione dei mezzi tradizionali messa in atto dagli artisti dello Zimbabwe”, scrive Richard Mudariki nel testo critico della mostra, “sta ricevendo un buon riscontro internazionale, diventando un catalizzatore per le numerose pratiche artistiche che prendono vita in questa terra senza sbocchi sul mare”. Inoltre, argomenta Mudariki, “gli artisti che si sono trovati in condizioni socioeconomiche complesse, e in territori caratterizzati da gravi carenze, sono riusciti a trasformare linguaggio e metodologia, mettendo in atto virtuose improvvisazioni sul fronte dei materiali utilizzati, e cercando valide alternative, che potessero coesistere con l'ambiente in cui si trovavano”. L'intreccio e la cucitura, oltre alla pittura e all'utilizzo di materiali di recupero, sono elementi ricorrenti nel loro lavoro; il curatore nota che curiosamente in Zimbabwe, al contrario di quanto accade nei paesi limitrofi, non esiste un unico abito tradizionale nazionale, mentre i materiali tessili di basso costo sono molto abbondanti, come in altre parti del mondo. Forse, la carenza di una “divisa” e la forte presenza di tessuti di scarto hanno spinto gli artisti a includere questi ultimi nelle loro opere, dando loro nuovi significati.
Dzingai, Timire e Muchawaya, che vivono in Zimbabwe, hanno impiegato nei loro lavori il ricamo, la stoffa, e altri materiali di scarto, recuperati da ambiti diversi. Al contrario, Rubaya, che oggi vive a Leeds, lavora con la pittura, stagliando le sue figure nere su sfondi vivaci e raccontando così la realtà multietnica delle città inglesi, celebrando le persone coinvolte, come lei, nella diaspora africana. Nel lavoro di tutti e quattro gli artisti il soggetto principale è l'uomo: le loro opere, infatti, sono spesso ritratti intimi, dedicati a familiari e amici. Nell'opera di Muchuwaya i soggetti sono trattati attraverso una pittura materica, che include materiali eterogenei. Egli guarda continuamente alla sua terra d'origine, la zona montuosa di Nyazura, nell'est del paese, dove si trovava l'azienda agricola in cui è cresciuto.
Dzingai e Timire hanno condiviso il primo premio ArtHARARE Africa, nel 2021. Il primo, a partire dalla profonda ricerca condotta sulle tecniche di stampa, crea collage in cui unisce pittura, stampe, riviste, e fotografie, spesso provenienti dal suo archivio familiare. Timire, invece, utilizza prevalentemente materiali da imballo, che cuce dando forma a veri e propri arazzi, in cui rappresenta situazioni e figure del quotidiano. Nelle opere in mostra, i temi principali sono l'individuo e la sua vita quotidiana, affrontati attraverso una molteplicità di tecniche diverse. Tra gli innovatori della scena artistica dello Zimbabwe, Timire, Tzingai, Muchawaya e Rubaya, hanno riflettuto in modo originale sul proprio linguaggio, senza mai tralasciare i temi della memoria e delle radici. Essi fanno parte di una scena creativa estremamente vivace, a cui tutto il mondo sta dedicando una rinnovata attenzione.
Richard Mudariki, dopo aver studiato archeologia, si è dedicato alla pittura a tempo pieno. È uno dei fondatori di ArtHARARE Contemporary art fair, una piattaforma che riunisce una selezione di opere presentate da artisti emergenti e affermati, oltre che da curatori, collettivi artistici e organizzazioni. La fiera mira ad essere una piattaforma dinamica, che metta in dialogo la comunità artistica locale e internazionale.