La lametta, il semplice oggetto di uso comune che lega la gestualità quotidiana di uomini e donne, è utilizzata da Marco Angelini come strumento base del suo linguaggio, della sua ricerca artistica. Il piccolo oggetto viene assemblato in forme aperte, chiuse e semiaperte secondo serialità che riportano alla memoria dell’osservatore i circuiti stampati di schede elettroniche: il massimo della razionalità umana nel sintetizzare operazioni complesse.
Le connessioni che l’artista propone non sono, pertanto, circoscrivibili al semplice “ludus” matematico; sono, in nuce, un passo, una ipotesi di lavoro che può volgere verso quella che Giulio Carlo Argan definiva:” una esplicita, rigorosa ed avanzata analisi strutturalistica ed Operazionistica, un iter già programmato su una metodologia di tipo logico matematico.’’
Una ricerca estetico-operazionale, quella di Angelini, destinata ad essere da semplice, lineare sempre più complessa e che si stende con forza su fondi di macchie che spesso ci riportano a Rorschach. Sono macchie, infatti, che stimolano l’osservatore, che fanno pensare a continenti contrastati, alla deriva, alla ricerca di un ordine che possa irretirli.
Qui agisce l’artista sovrapponendo al ‘’contrasto’’ un processo di razionalità; è la razionalità della specie umana che elabora, costruisce, struttura e fa storia!
Angelini tenta di raggiungere con le sue opere un equilibrio visivo e sistematico di forme. Dice infatti Arnheim: ‘’a livello di percezione, l’aspetto di ogni elemento dipende dal posto e dalla funzione che esso occupa ed assume entro le strutture considerate nel suo unicum.’’
Le lamette, strumento del suo lavoro, poggiano su un tempo passato, quasi adagiandosi delicatamente sui segni della storia ma pronte a virare verso nuovi, ma sempre antichi scenari. Angelini sulla linea di Fontana, è alla ricerca di una nuova e personale concezione dello’’ spazio artistico’’.
Dice, infatti, Lara Vinca Masini riguardo alla volontà di Fontana nel manifesto Blanco del 1946 che si ‘’ ponevano le basi di uno spazio interpretato secondo rapporti diversi sia da quello rinascimentale, sia da quello ottocentesco, sia da quello cubo-futurista, uno spazio che tenga conto, cioè, delle conquiste scientifiche che usano lo spazio fisico e fenomenico come nuovo e più estremo strumento di comunicazione, capace quindi di collocare anche l’opera d’arte in una dimensione rinnovata, in rapporto alle possibilità offerte dai nuovi strumenti tecnico-scientifici, che si propongono come ulteriori mezzi tecnici e di attivazione della creatività anche per l’artista.’’