Absentia è la mostra personale di Claudio Magrassi che, con una sorta di alchimia artistica riesce, quasi magicamente, ad immergere l'osservatore in un mondo sospeso tra il reale ed un apparente immaginifico dalle dimensioni cosmiche dove “tutto è e non è allo stesso tempo” perché, come dice l'artista stesso, “l'Absentia non è una vera e propria assenza ma deve esser concepita come una continua presenza.” Il significante che sottende alle opere di questo artista è impegnativo, quasi criptico, ma dall’indubbio fascino, anche se inquietante e poco leggibile ad un primo e superficiale impatto. Siamo in presenza, infatti, di opere talmente avvolgenti ed immersive che sembrano quasi voler strappare l’osservatore da una posizione visivamente statica per immergerlo, quasi con forza, in un “mondo altro”. Figure e simboli, apparentemente distanti, si fondono, infatti, in una sorta di gioco ermeneutico che apre la mente a scenari, i più diversi, ma anche i più possibili.
Ogni opera si presenta quasi come la prima di una scena teatrale nella quale tutti i protagonisti ed i simboli presenti cercano, pur nella loro disarmante diversità, un significante posizionamento. L’artista, infatti, riesce con grande maestria a comporre un puzzle dal respiro contenutistico non comune e che, grazie anche ad un eccellente uso dei colori e delle tecniche pittoriche, riesce ad immergere l’osservatore in quel “mondo altro” così da renderlo, inconsapevolmente, quasi regista, esso stesso, della scena.
I tanti corpi ed i tanti simboli sono immersi in una amalgama di colori volutamente stesi in una scala dalle tinte sì cupe ma capaci, proprio per questo, di trasformare i punti luce sapientemente posizionati in vere e proprie vie di fuga verso “il mondo altro”. I protagonisti delle scene, figure simboliche sovente pietrificate in un immobilismo grondante dolore sembrano, infatti, quasi spiccare il volo verso una dimensione mistica, intrisa di spiritualità e, per questo, liberatoria e salvifica. Una spiritualità resa volutamente e magistralmente dall’artista ad esempio in Stigma, una delle opere in esposizione, che gronda sacralità pur in una scena ambientata in una grande metropoli. Se sullo sfondo, infatti, si intravedono grattacieli in fiamme, il primo piano è volutamente riservato ad una sorta di rito sacro che vede protagonisti un Cristo in jeans ed un nano travestito da pagliaccio.
Le scene, dunque, offrono all’osservatore una poliedrica lettura ancorate, però, ad un unicum: un percorso di sofferenza umana che trova nella dimensione spirituale il vero riscatto. Da qui il senso profondo e non casuale della presenza, quasi costante nelle opere, di “guardiani”, “tatuaggi” e “simboli religiosi”. I guardiani sono figure che, pur costrette in una apparente rigidità che sembra incutere timore, vogliono essere portatori di luce che, come sostiene l’artista, “…hanno combattuto, si sono feriti e rialzati dalle battaglie della loro esistenza”. Da qui il significato dei tatuaggi in quanto i guardiani “…esteti di una bellezza controtendenza, vantano esporre le loro ferite con la fierezza di medaglie al valore, sotto la forma di messaggi tatuati sul corpo, scanalature di passaggio dall’esterno all’interno dell’anima.” E, proprio qui, è il significato profondo dell’inserimento dei simboli religiosi; essi vogliono esorcizzare il dolore per trasferirlo e trasformarlo in un una dimensione tutta spirituale, in un’area incontaminata.
La vita, dura e sferzante, dirotta sovente l'esistenza verso percorsi faticosi e, talvolta, incomprensibili; ma proprio la speranza è la capacità di trasformare il dolore in un'opportunità trasferendolo in "un'area incontaminata che stimola la creazione di qualcosa di nuovo". La sofferenza, infatti, che rende apparentemente fragili, può immergere l’individuo in uno stato di “absentia”, vera anticamera a quella dimensione spirituale alla quale tendenzialmente e da sempre aspira. Questo, dunque, il vero e profondo messaggio che questo artista vuole trasmetterci attraverso una pittura densa e altamente lirica.
Maria Laura Perilli