È da più di un anno che viviamo in un isolamento forzato e probabilmente non ci ricordiamo più il rumore dei locali affollati. Quelli nei quali il suono riflesso, il tempo impiegato dal suono per rimbalzare fino alle nostre orecchie è minore e non è così limpido come quando, per esempio, gridiamo qualcosa in montagna e ci ritorna l’eco. Il dialogo, le risposte, probabilmente è questo che ci manca più di tutto. Che cosa ci torna indietro da quello che facciamo?
Recupera l’idea di riverbero la mostra di Enrica Borghi presso la Villa Borromeo d’Adda di Arcore dove le opere dell’artista sono ospitate in spazi storicamente connotati ed in un certo senso inviano dei messaggi, dei suoni dei quali proviamo a recepirne l’eco. Le opere creano un dialogo non solo con gli spazi che le ospitano ma anche con la storia del luogo “ne colgono e ne amplificano il ricordo, la reinterpretano in una continuità che non vuole creare cesure o sottolineare contrasti con il passato ma diventarne parte, proiezione, riverbero, appunto”.
Con l’ironia che la caratterizza Enrica Borghi crea un giardino d’inverno con veneri dalle unghie finte, gioielli di plastica che dialogano con pietre preziose, ed arazzi di materiale di recupero intrecciati a telaio che ricordano il “pattern” della coperta della nonna. Non ci sono materiali preziosi ma “oggetti di scarto, packaging, elementi di riciclo strappati dai cestini della raccolta differenziata della plastica. Con una sorprendente eleganza, frammenti dei detersivi che ossessionano la quotidiana “guerra batteriologica” e che getteremmo via fanno rivivere la storia di un luogo. La riportano nel qui e ora della stringente riflessione contemporanea sul tema del “rifiuto”.
Ecco, quindi, che in questa personale ritroviamo i tre temi cardine della pratica artistica di Enrica Borghi: la donna, la relazione con l’ambiente circostante, con la sua storia e la questione ambientale. In aggiunta Borghi recupera, visto il contesto, anche quell’atmosfera tipica del Romanticismo caratterizzata dal fascino per l’esotismo, per il diverso, col quale era usuale restare incantanti alla vista delle raccolte degli esploratori.
Per l’occasione, oltre alle consuete installazioni composte da materiali poveri e di recupero, Enrica Borghi ha realizzato alcuni nuovi lavori in cui fa dialogare elementi di “natura”, come una serie di fotografie dedicate alla Villa e al suo splendido parco. Fotografie che elaborano la visione attraverso dei filtri ottenuti dal colore di contenitori in plastica e che ricordano i filtri o le gelatine degli anni Settanta. In tema di “riverbero” con gli statuari lampadari di Murano presenti nella Villa verrà esposta l’opera realizzata nell’estate 2020 a Murano, presso lo Studio Berengo, dedicato al tema dell’inquinamento della laguna di Venezia intitolata Grey Laguna.
Compaiono inoltre due “corazze” che fanno dialogare materiali dissonanti come lane grezze con plastiche dei contenitori dei detergenti di uso quotidiano. Le due armature simulano la protezione di donne guerriere, facendo emergere citazioni da Hans Ruedi Giger ma anche il panno della mantella di cappuccetto rosso, gli abiti di Pierre Cardin degli anni Sessanta e i film di Mad Max. Le corazze sono un progetto realizzato in collaborazione con l’ITS TAM di Biella e le lane “etiche” di Gomitolorosa.
Ma chi è Enrica Borghi?
Artista poliedrica, eclettica e molto originale, dalla cifra stilistica inconfondibile, Enrica Borghi lavora soprattutto con i materiali di scarto, ridando vita e bellezza a oggetti destinati a essere gettati nei rifiuti. Nella sua indagine ha un ruolo di rilievo l’universo femminile, da lei esplorato come immaginario estetico ma anche nelle pratiche e nelle ritualità. Le sue opere sono frutto di processi “alchemici” capaci di trasformare i rifiuti in oggetti nuovamente seducenti.