Osart Gallery torna ad approfondire il panorama artistico africano con la collettiva African Characters. I protagonisti delle opere di Kate Gottgens, Kuzdanai-Violet Hwami, Neo Matloga, Richard Mudariki e Gareth Nyandoro sono principalmente individui, attraverso cui si svolgono narrazioni spesso legate al vissuto degli artisti.
I lavori selezionati, in mostra per la prima volta in Italia, ritraggono scene di vita quotidiana ambientate tra Zimbabwe e Sudafrica. Attraverso cinque racconti diversi, ciascun artista offre uno spaccato di umanità che riflette la situazione politica, sociale e culturale dell'Africa contemporanea.
Gli oli su tela di Kate Gottgens (1965, Durban, Sudafrica) descrivono la quotidianità della classe media sudafricana.
I personaggi che ritrae si presentano come figure malinconiche all'interno di contesti abitualmente di divertimento: a bordo di una piscina, nel bel mezzo di una gita fuori porta o sulla spiaggia. Dance, Dance, Dance (2016), riflette proprio questo paradosso. Il titolo è un ossimoro rispetto a ciò che l’artista ci mostra: lo sfondo dell’opera è nero. Le figure si intravedono appena. In un angolo del quadro un gruppo di palloncini colorati sembra assistere alla scena.
A prescindere dai luoghi, ciò che interessa all'artista è evidenziare le illusioni e le ambiguità di una società abbandonata a se stessa. Per fare ciò si serve sapientemente della tecnica pittorica. Le scene che dipinge sono offuscate e confuse, tanto che i soggetti sembrano sfumare come se fossero spettri. Ed è così che Kate riesce a trasmettere un senso generale di tristezza suscitando l'empatia di chi guarda.
L'ampio olio su tela Senza titolo (2016) di Kudzanai-Violet Hwami (1993, Zimbabwe) è un autoritratto su un vivace sfondo giallo, rosso e azzurro, in cui si rarefanno le connotazioni naturalistiche della figura; si tratta di colori vibranti che ritornano frequentemente della produzione dell'artista, che prende ispirazione proprio dal suo vissuto. L'approccio di Hwami è autobiografico, con una forte connotazione nostalgica, legata agli spostamenti che hanno segnato la sua vicenda: di origine zimbabwese, è una delle tante giovani donne che ha vissuto sulla propria pelle la kuDiaspora. ovvero il fenomeno di chi cerca una nuova vita al di fuori dello Zimbabwe. Kudzanai-Violet ha vissuto in Sud Africa dai 9 ai 17 anni, per poi andare a studiare a Londra. Violet dipinge se stessa nei panni di una ragazzina che sembra mettersi in posa per una fotografia; in piedi, tiene tra le mani due galline pronte alla vendita, mostrandole allo spettatore. Molte delle sue opere nascono effettivamente dalla rilettura di fotografie sue e di familiari, e rappresentano un percorso di ricerca delle proprie radici, fatto di memoria e appartenenza, dipinto con tratti coraggiosi e sensibili, che rivelano un profondo legame con la terra natia.
Neo Matloga (1993, Limpopo, Sudafrica) è interessato alle relazioni umane e in particolare al contesto domestico-familiare.
I suoi personaggi sono rappresentati con carboncino e inchiostro mentre ballano, mangiano e chiacchierano. Il lavoro di Neo indaga diversi livelli di intimità e l'assenza di colore, a favore dell'utilizzo di colori neutri come il nero, il grigio e il bianco, lascia spazio all'immaginazione.
La caratterizzazione dei personaggi è peculiare: i visi e i volti, così come mani e braccia, sono fatti di ritagli di giornali. Attraverso l'uso di carboncino e collage, Matloga ci mostra le diverse sfaccettature dell'animo umano, lasciando trasparire uno sguardo ironico di matrice dadaista. Bina le nna (2019) rivela il dramma delle condizioni socio-economiche e politiche che influenzano la vita fuori e dentro le mura di casa.
Guardando la pittura acrilica di Richard Mudariki (1985, Seke, Zimbabwe) ciò che balza immediatamente all'occhio è la presenza di immagini dal forte messaggio universale. I suoi dipinti semi-realistici evidenziano diversi temi socio-politici africani e globali: la caduta del presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, la crisi dell'acqua a Cape Town e la volatilità della politica nell'era della Brexit. Con l’acrilico su tela Art Fair Booth (2019), Mudariki si riferisce ad una delle dinamiche tipiche del mercato dell’arte: la partecipazione di una galleria ad una fiera.
La presenza di una cassa ATM all’interno dello stand ci rimanda simbolicamente al lato commerciale che una fiera specialistica come quella riprodotta prevede, e in generale alla struttura economica su cui si basa il mercato dell’arte. L’unico soggetto ritratto si nasconde timidamente dietro l’ATM. Sarà forse il gallerista..?
Richard affronta tematiche impegnate con un linguaggio visivo unico. Le ironiche citazioni dalla storia dell'arte europea sono unite a colori brillanti, grandi campiture piatte e prospettive irregolari. L'arte di Gareth Nyandoro (1982, Zimbabwe) si sofferma sull'interazione umana all'interno del tessuto urbano. Così come è intricata la struttura delle città (Pa Tonaz in slang zimbabwese) e delle relazioni umane, allo stesso modo lo è la tecnica che l'artista predilige.
Con un processo simile al décollage – definito Kuchekacheka – Gareth incide e taglia il cartone fino ad ottenere dei veri e propri ritratti. Osservatore attento del comportamento umano, Gareth si interroga sulla street life di Harare e non solo. Gareth descrive i suoi personaggi, spesso immersi nelle occupazioni quotidiane, attraverso l'uso dell'inchiostro e tramite l'uso di plastiche applicate alla tela. Jedza welders (2019), per esempio, raffigura due operai al lavoro in un tipico negozio all'aperto dove, come dice il cartello, si effettuano riparazioni metalliche.