Ho iniziato a scrivere questa trilogia dell’Uguaglianza seguendo le istruzioni di pochi principi basilari e generali: se la società umana continua a dover riproporre il problema dell’uguaglianza degli individui alla luce del suo plurimillenario percorso evolutivo e culturale, ci si dovrà interrogare sulle ragioni reali di questa incessante coazione a ripetere.
Come filosofo ho imparato a osservare i fenomeni sotto la lente della loro struttura essenziale e a cercare i movimenti che si nascondono dietro le apparenze acquisite e indotte. Ma sono anche stato un lavoratore della terra, e questa, più di tanti libri letti e amati, è maestra di vita incorruttibile e sempre giusta. È lei che mi ha insegnato la valorizzazione dei dettagli, il ruolo che essi svolgono nella piena realizzazione di tutte le fasi di un processo.
Talvolta il pensiero astratto giova di una certa libertà di espressione che permette ampiezza di concetto e analisi senza che la realtà ne risenta troppo. Posso pensare e poi dire più o meno quel che voglio, utilizzare un interscambio di parole per spiegarmi, le cose di fronte a me potrebbero rimanere invariate. Il lavoro ribalta questa dinamica propria del pensiero. Le azioni sono mirate a una diretta trasformazione delle cose e la precisione è richiesta in virtù di una rigorosa economia delle energie.
Traslando questa attenzione al dettaglio maturata nella pratica agricola alla comprensione del fenomeno umano, si passa per un collo di bottiglia molto stretto. L’arretratezza culturale che riusciamo a mostrare come comunità umana deve scaturire da un particolare assai poco irrilevante, una sopravvalutazione della nostra condizione originale: è necessario, dunque, rinominare lo stadio evolutivo in cui ci troviamo e passare da homo sapiens a homo stultus. Entra così in scena la stupidità come elemento genetico da disaminare seriamente.
Quando ho incontrato i ragazzi del Binario 49 di Reggio Emilia ho avuto subito la sensazione di trovarmi al posto giusto al momento giusto. Erano l’esempio che cercavo. Hai un sogno, non disponi dei mezzi materiali per realizzarlo appieno eppure muovendo le idee, creando una rete vitale e risonante di relazioni tra persone, si può innescare un contagio amoroso che apre a possibilità inimmaginabili sul semplice piano mentale dell’organizzazione. Tre ragazzi pieni di qualità come molti di noi che hanno creduto nella facoltà di poter creare qualcosa di unico. Per me sono stati come una medicina contro quel tipo di schema duro a morire che ci vuole inchiodati sulle rotaie della sopravvivenza bruta, magari anche ben retribuita e confezionata.
Resta da chiarire ora se l’uguaglianza sia ormai destinata a essere una parola spogliata di ogni suo significato esperienziale o se ci sia ancora speranza di riscoprirne un senso nel quotidiano.
Prima di tutto è necessario fare luce sul rapporto che intratteniamo con la nostra eredità culturale, la Memoria, per capire quanto profondamente essa condizioni le azioni e gli intendimenti di ognuno. La scuola è il dispositivo istituzionale dove si forgia questo rapporto. Attualmente veniamo inseriti in un contesto scolastico nato ufficialmente a fine 800’ nel pieno della seconda Rivoluzione industriale. L’obiettivo della riforma della rinnovata scuola dell’epoca era quello di fornire alle nascenti imprese una classe di lavoratori ripulita da quell’attitudine rurale e squalificante tipica delle popolazioni che stavano lasciando le campagne.
Alfabetizzazione, istruzione di base, misura del risultato, erano gli elementi del pensiero dominante che andava ridisegnando l’ordine sociale europeo e che tolse dalla più cupa ignoranza intere schiere di giovani generazioni. Il mondo come lo conosciamo oggi è il risultato di questa rivoluzione nella rivoluzione. Tuttavia, ciò che ha funzionato in quel preciso momento storico, secondo determinati criteri, non è detto che debba andar bene da qui alla fine dei tempi. Di fatti quel tipo di impostazione dell’istruzione era pensata per essere direttamente connessa ai fabbisogni del settore industriale che non poteva permettersi operai incapaci di interagire con le macchine.
Saper leggere e scrivere era condizione necessaria per adempiere a certe mansioni, così la scuola andava sdoganando una istruzione basata sull’efficienza di test scansionati regolarmente per misurare il livello di apprendimento degli scolari. E questa è una dimensione dell’umano, la sua funzione cognitiva cumulativa, che non risolve affatto la pluralità di dimensioni di cui è composto ogni singolo individuo. Questo modello sviluppa l’intelletto, ma la capacità emozionale e relazionale, ad esempio, non viene quasi mai attivata da un tipo di istruzione del genere, e quando ciò accade è per spontanea interazione all’interno dei gruppi.
È come se la scuola sfornasse persone dotate di una testa gigante impiantata su un corpo non sviluppato per sostenerne il peso. La formazione che abbiamo ricevuto e che continuiamo a ricevere è tutta organizzata intorno all’efficienza della risposta rispetto agli stimoli cui saremo sottoposti durante la nostra fase di produzione lavorativa adulta.
Ma tutto questo nulla a che vedere con lo sviluppo organico dell’uomo e della donna. Anzi, tra i due non c’è differenza perché il soggetto sociale è neutro. È facile intuire quali possano essere le conseguenze dell’educazione così concepita sull’idea che le persone avranno di loro stesse. Cresciamo appiattiti sull’unica dimensione della nostra efficienza cognitiva e, quindi, produciamo un mondo di persone intenzionate a competere sul piano dell’efficienza cognitiva. È una sillogistica così semplice che fa paura. Allora interrogare il senso di una parola come “uguaglianza” potrebbe rivelarci delle sorprese.
Attualmente questa affonda le sue radici nella terra del precetto morale. Ed è così che sta morendo. Ci sono luoghi del pianeta impegnati a conservarne l’intimo significato esperienziale, l’unico che conti veramente. Le emozioni possono essere una nuova agorà della società moderna, uno spazio relazionale entro cui sperimentare la conoscenza della nostra comune natura interiore, la sola a cui possiamo affidare il futuro della ricerca di uguaglianza.