Galleria Continua è lieta di esporre per la prima volta a Les Moulins una personale dedicata all'artista Ahmed Mater. La mostra, intitolata Stand in the Pathway and see, presenta una serie di opere che fanno parte di un importante lavoro iniziato nel 2008, basato su fotografie, video ed installazioni.
Da diversi anni ormai la città della Mecca in Arabia Saudita è diventata lo scenario di una ristrutturazione urbana spettacolare. La città santa si presenta come un immenso cantiere a cielo aperto, dove la folla di abitanti e pellegrini convivono con gru, scavatrici, bulldozer e altre attrezzature da cantiere. Nel corso delle varie distruzioni e ricostruzioni, un nuovo centro urbano si disegna intorno al cuore del mondo musulmano, la moschea Al-Hadm. Questa moschea, nota anche come Grande Moschea della Mecca, accoglie la Kaaba verso la quale si orientano le preghiere e convergono milioni di pellegrini ogni anno durante l' Hall, quinto pilastro dell'Islam. La moschea stessa è oggetto di una profonda trasformazione: in parte distrutto, il vecchio edificio scompare progressivamente per far posto ad un'immensa struttura, il più vasto luogo di preghiera musulmana nel mondo. Ancora in costruzione, il luogo sacro è circondato da sette grattacieli di un gigantesco complesso alberghiero, completato nel 2012 e di cui la torre più alta, il Makkah Clock Royal Tower (Torre dell'orologio), sorge a 601 metri di altezza.
In quanto artista saudita, con una formazione in medicina, Ahmed Mater osserva e rappresenta l'implacabile e rapida evoluzione della città in un insieme che intitola Desert of Pharan, in riferimento al deserto dove è stata fondata la Mecca descritto nelle Scritture. La dimensione spirituale è quindi centrale in questo lavoro, tanto dal punto di vista sociologico che politico. Infatti, agli occhi di milioni di persone così come dalle autorità politiche e religiose d'Arabia Saudita, la città della Mecca viene considerata solo per il suo ruolo religioso e la sua ristrutturazione viene intesa solo in rapporto alla gestione dei flussi colossali di pellegrini. Attraverso il suo lavoro quotidiano di osservatore di queste trasformazioni, Mater vuole in realtà evidenziare che la Mecca non può più essere considerata come una città in quanto tale, con i suoi abitanti, le sue scuole, i suoi commerci e la sua storia. È la gestione contemporanea, pragmatica dell'Islam e della sua immagine attraverso il mondo che determina le decisioni delle autorità.
Come prova di questo pragmatismo, Mater mostra la poca considerazione data all'antico patrimonio architettonico della città, della sua storia e della sua geografia stessa. Questo non ha più importanza di fronte ai bisogni della ricostruzione, e numerose testimonianze antiche sono oggi totalmente sparite, distrutte dai macchinari per lasciare posto alla nuova Mecca. L'esempio più rappresentativo è forse il grande complesso della torre dell'orologio la cui costruzione ha portato alla distruzione delle fortezze ottomane d'Ajyad e della montagna sopra la quale erano erette. Quella che fu una città cosmopolita, diventa una città dedicata alla massificazione di pellegrini e di uomini d'affari musulmani. Ahmed Mater propone di interrogare il modo in cui l'Arabia Saudita si afferma in quanto potenza religiosa, focalizzando l'organizzazione della città esclusivamente intorno alla Kaaba e cercando di mostrare simbolicamente la potenza della dottrina Wahhabite, soprattutto in un momento in cui il mondo musulmano è scosso da dissensi più o meno forti.
La serie Desert of Pharan si presenta come una sorta d'inventario, costituito d'immagini raccolte durante spostamenti a piedi o in macchina, tutti convergenti verso la moschea al-Hadm — andando sino a sorvolarla in elicottero. Percorrendo le strade della città e le sue arterie più importanti, riesce ugualmente a passare dall'altra parte delle palizzate dei cantieri incontrando gli operai e scoprendo allo stesso tempo un'altra realtà sociale, quella delle loro condizioni di lavoro. Le fotografie, stampate in grande formato, permettono di apprezzarne la definizione ma anche di confrontarsi con la nozione di scala rispetto al gigantismo dell'opera. Ampie viste della città e dei suoi cantieri, inquadrature più strette su alcuni dettagli come una stanza d'albergo che si affaccia sulla Kaaba, ci fanno intravedere l'ampiezza di quello che accade. La nozione di scala si trova ugualmente proiettata attraverso le opere video grazie alle quali è possibile misurare l'ampiezza della città immergendosi in essa con l'artista, dalla sua periferia fino al suo centro. Ci si confronta allora alla vita stessa dei luoghi, con i suoi rumori, i suoi movimenti, la sua folla, fino a sovrastare il cantiere della moschea al-Hadm.
Tra le opere che compongono questo percorso inedito ai Mulini, Ahmed Mater propone un'installazione avvincente. Mecca Windows si sviluppa sulle pareti del grande spazio espositivo, rivelando un mosaico di forme e colori, costituito da finestre. Queste strutture di finestre di varie dimensioni, consumate - quasi fatiscenti - sono elementi trovati dall'artista sui cantieri, provenienti da case distrutte. L'assemblaggio delle finestre permette di vedere ciò che irrimediabilmente sta scomparendo: il volto di una città, le sue forme, i suoi colori. La nuova Mecca che emerge dalla terra è una città globalizzata, dai grattacieli di vetro e d'acciaio e dai vicoli asfaltati, agli antipodi di quell'antica Città le cui finestre lacerate ci danno una testimonianza umana, lasciando intravedere qualche traccia di un quotidiano ormai perso. L'installazione di Mater, se messa in relazione con le viste offerte da Desert of Pharan, fa apparire in maniera commovente la dimensione umana della città, o per lo meno ciò che ne rimane. Tra questa installazione sensibile, le fotografie e i video che compongono il resto della mostra, il contrasto è sorprendente e portano lo spettatore ad interrogarsi sul futuro di un mondo globalizzato in cui i simboli della potenza dominano il resto.
Ahmed Mater è nato nel 1979 a Tabuk, in Arabia Saudita. Ha studiato all'Università King Khalid ad Abha e utilizza la fotografia, il video, la performance e l'installazione in un lavoro politicamente impegnato che nei suoi sviluppi recenti traccia una storia sociale informale dell'Arabia Saudita inserendola in un contesto globale. Vive e lavora ad Abha e Djeddah.
Tra le recenti mostre personali dell'artista: Mecca Journeys, Brooklyn Museum, New York, Stati Uniti (2018); Mitochondria: Powerhouses, Galleria Continua, San Gimignano, Italia (2017); Symbolic Cities, Arthur M. Sackler Gallery, Smithsonian, Washington D.C., Stati Uniti (2016); 100 Found objets, Sharjah Art Foundation, Sharjah, Emirati Arabi Uniti (2013). Ha partecipato a numerose mostre collettive, tra cui: Cities of Conviction, Utah Museum of Contemporary Art, Salt Lake City, Stati Uniti (2017); Continua Sphères ENSEMBLE, CENTQUATRE-PARIS, Parigi, Francia (2017); Epicenter X, Museo Nazionale dell'Arabo Americano, Detroit, USA (2017); But a Storm Is Blowing from Paradise, Guggenheim, New York, Stati Uniti (2016); Common Grounds, Villa Stuck Museum, Monaco di Baviera, Germania (2015); A-History, Pompidou Centre, Parigi, Francia (2014); Arab Contemporary: Architecture, Culture and Identity, Louisiana Museum of Modern Art, Humlebxk, Danimarca (2013).