E’ dedicata a Sandy Skoglund, pioniera e indiscussa protagonista della Staged Photography - filone di ricerca degli anni ottanta, incentrato sulla riproduzione fotografica di scene immaginarie ricostruite artificialmente - l’originale mostra dal titolo “Visioni ibride” in corso a Camera – Centro Italiano per la Fotografia di Torino fino al 31 marzo. Curata da Germano Celant, la rassegna è costituita da oltre cento immagini che si snodano lungo un percorso articolato dagli anni settanta ad oggi.
Ideatrice di una fotografia legata alla memoria e alla materia, Skoglund (Weymouth, Massachusset, 1946) crea le sue immagini a partire da installazioni che hanno una loro autonomia artistica e sono composte da elementi che vanno dal cibo alla ceramica, dagli oggetti quotidiani a sculture, e dove appaiono persone, figure umane e animali che risaltano in interni domestici. Le installazioni e le sue fotografie sono caratterizzate da colori stridenti - giallo, rosso, blu, rosa - in cui sono contenuti eventi sorprendenti in quanto accaduti in luoghi reali, come appartamenti, ristoranti e foreste.
L’esposizione torinese si apre con le prime serie fotografiche prodotte a metà anni Settanta, dove emergono i temi tipici dell’interno domestico e della sua trasformazione in luogo di apparizioni tra comico e inquietante, fino alle grandi composizioni dei primi anni Ottanta. In particolare, le visionarie “Radioactive cats” e “Revenge of the goldfish” sono rivisitazioni surreali di ambienti famigliari dai colori improbabili, invasi da gatti verdi e pesci volanti. Per Sandy Skoglund “esiste un contrasto tra l’aspetto della fantasia - gli animali sono come cartoon o fantasie - e la realtà”. E non a caso le sue immagini nascono sempre dalla costruzione di un set che poi fotografa: un procedimento installativo, scultoreo e fotografico che ritroviamo in mostra, dove alcune sculture rimandano alle fotografie e viceversa. E se tra le opere storiche è da registrare i venti scatti della serie “True Fiction Two” (1986-2005), va sottolineato che una componente rilevante del codice visivo di Sandy Skoglund è il colore, teso a comunicare l’energia di una situazione estetica, connessa alla nuova espressività dei media. L’artista infatti impiega tinte complementari e contrastanti per aumentare la brillantezza delle tonalità e per creare una composizione visiva carica di tensione artificiale. Spettacolari in tal senso sono “Fox games” con 22 volpi rosse che gironzolano giocosamente tra i tavoli di un ristorante intriso di una tonalità di grigio, e “The Green House” con due persone avvolte in accappatoi verdi.
Mentre in “The Cocktail Party” è una nuova pelle, costituita da fiocchi di formaggio impregnati di resina, l’abito e il rivestimento per il soggetto e i suoi luoghi di vita. Ma a ripopolare l’ambiente ci pensano le libellule in vetro di “Breathing Glass”. E non manca uno sguardo al cibo e al suo sbocciare epidermico nello spazio, così da trasformarlo in “The Wedding” in un rifugio dove la marmellata di fragole e arance ricopre l’intero involucro parietale. Di recente realizzazione sono invece “Fresh Hybrid” e l’inedito “Winter” (2018), un’ opera realizzata negli ultimi dieci anni costituita da un’immagine cristallizzata di un paesaggio artificiale visivamente ed emotivamente coinvolgente - capitolo di una serie dedicata alle quattro stagioni -, una vera e propria riflessione non solo sull’arte ma sulla vita, sul rapporto uomo/natura e artificio/realtà. Del resto, come afferma Skoglund, “per resistere all’istantanea, questa fotografia si muove alla velocità di un ghiacciaio. Il tempo resta immobile per un momento, ma solo dopo un lungo periodo di accumulazione e fatica. Ogni frammento di ‘Winter’ è stato scelto per esprimere la paura primaria della dipendenza umana dalla natura e dagli altri”. Anche così la fotografa statunitense ci invita a una riflessione sul mondo, dentro un contesto visivo e ambientale dai risvolti fantastici e dinamici, e dove il suo sguardo ci spinge verso la lettura di nuove realtà e nuove configurazioni.