I miti rappresentano le opere degli dei. Veramente è lecito dire che anche il cosmo è un mito, perché in esso appaiono corpi e cose mentre anima e spirito restano celati.
(Saturnino Sallustio Secondo, Sugli dei e il cosmo)
In principio fu Ceto, figlia del Mare, detta Tiamat dai babilonesi. Lo stesso essere che stava per prendere Andromeda, quando giunse Perseo con la testa di Medusa. Ceto vive nei tempi in cui il Mito non riusciva neppure a tramandare l’aspetto e la forma di questi esseri primordiali. Come il Leviatano biblico. Da Ceto, o da Gea e da Tartaro, sorse Echidna, la serpentina, la vipera, madre di mostri, progenitrice della caprina Chimera, della tentacolare Idra, della serpentina Ladone e dell’alata Sfinge. Singolarità che erano anche stirpi, perché la Sfinge si sdoppiava o triplicava, sia in Egitto che in Grecia. Esseri folli che si scagliavano giù dai crepacci o vi gettavano gli altri.
I mostri femminili del Mito sono quasi sempre plurali o parenti tra di loro. Quando sono plurali, come le Gorgoni o le Graie, indicano la loro origine da caste e collegi di donne consacrate che sono state sconfitte, allontanate, violate. Le Gorgoni vivono una terra iperborea già ghiacciata ed esprimono una sorta di stirpe che emerge carsicamente nei nomi: Gorgofone, la figlia di Perseo, Gorgopite, la moglie di Atamante, Eurimedusa, la nutrice di Nausicaa. Medea, la sapiente, e la sorella Circe, la mescolatrice, sono le due ultime Gorgoni, guardiane delle porte solari dell’Oriente e dell’Occidente.
Probabilmente erano sacerdotesse della luna, perché nella terra iperborea si vede la luna più vicina. In altri casi si sdoppiano, si moltiplicano all’apparenza tradendo però una medesima natura, come Delphine e come Ladone dalle molte voci, aspetto demonico che ritroviamo nell’Elena che di notte imita la voce delle spose achee, sotto la pancia del cavallo di legno. Non scherzo tragico ma potere tipico dell’invasamento orgiastico-estatico, di cui abbiamo un relitto contemporaneo nei riti possessionali della santeria.
I mostri femminili sono figli del Mare e della Terra, abitanti di giardini e di fiumi come le Esperidi e l’Eurota (Ladone), di paludi (Idra), di grotte selvagge (Delphine), potenze temibili per gli eroi e per gli dei stessi. Più antichi dell’Olimpo e dei suoi abitanti. Oppure creature rapaci figlie del vento e della notte come le Erinni, le Arpie, le Empuse e le Strigi, da cui l’origine del nome “strega” (Stryx), o abitanti sulla soglia tra terra, abissi e profondità ctonie, come Scilla, Cariddi, e le Telchine o nascoste in lontanissimi confini, terre misteriose, come le feroci Gorgoni e le Graie, profetesse e maghe, oracoli spodestati dalle nuove stirpi degli eroi e dei fondatori di città.
Il Mito greco, cioè il racconto delle origini, delle credenze, delle stirpi, delle fondazioni e dei riti delle ultime popolazioni stanziali dell’Ellade, ci ha tramandato la presenza di famiglie e stirpi “mostruose”, cioè connotate da natura ibrida, anomala e da costumi feroci. Si tratta di tradizioni periferiche, sussurrate, residuali, echi e riflessi già antichi ai tempi della Grecia classica. Racconti probabilmente rappresentanti lo “scarto” e la sopravvivenza liminale (socialmente contestata-stigmatizzata) di religioni e popolazioni pre-elleniche o contaminazioni con derivazioni egizie, asiatiche e poi etrusche.
È possibile poi individuare un'altra tipologia di esseri femminili non umani o non più umani. Esseri che hanno subito una trasformazione per via di una maledizione divina. Il Mito greco trabocca di trasformazioni, evidente segno di tentativo di metabolizzare il mistero della morte e di spiegare il cosmo nei suoi elementi creaturali. Uomini e donne illustri o colpevoli, eroi, esseri umani amati da dei, ninfe, satiri, che vengono trasformati in piante, animali (spesso uccelli), oppure addirittura in stelle (catasterismo). Ce ne parlano diffusivamente vari autori come Ovidio, Antonino Liberale, Apollodoro e quasi tutti gli scrittori e poeti antichi ne accennano.
In questi altri casi invece la trasformazione non trova una sua collocazione naturale, rassicurante, già conosciuta. Ne risultano esseri che spaventano in quanto mai conosciuti o non riconducibili a forme e categorie classificabili, di cui si ha già esperienza. Una trasformazione che non rappresenta una soluzione armonica, conclusiva, esplicativa, ma al contrario fissa e veicola un trauma che resiste, una colpa inespiabile. Abbiamo così Lamia, Scilla e Polifonte. Il “mostro” viene rimosso, allontanato socialmente, ritualizzato nella paura e nel conflitto. Lamia era regina della Libia e possedeva il potere di togliersi e rimettersi gli occhi, come le Graie. L’ira di Hera la trasformò in un “mostro” morale, che si vendicava del suo amore negato divorando i bambini, come le Empuse.
Similmente Scilla che da bellissima ninfa semimarina e amata da Glauco venne trasformata per gelosia da Circe in un essere ibrido serpentino e canino. Simile il caso della naiade Cariddi la cui colpa fu invece quella di rubare parte del bestiame di Gerione condotto da Heracle e di cibarsi di esso. Mandrie sacre, infere, già però a loro volta rubate dal nuovo eroe solare Heracle. Qui appare con evidenza come i “mostri” femminili siano tentativi di resistenza da parte di culti inferi, ninfici, matriarcali rispetto all’imposizione militare e maschile di nuovi culti stranieri.
Cariddi vendica Gerione eppure subisce già una maledizione per la sua profanazione, mentre il profanatore Heracle gode del nuovo status quo politico e cultuale. Antonino Liberale racconta nelle sue Metamorfosi la storia di una ragazza trace, Polifonte, che disprezzando le opere di Afrodite, venne resa folle dalla dea e si congiunse con un orso, generando due figli: Agrio e Oreio i quali vivevano come selvaggi, disprezzando uomini e dei e praticando non solo la rapina ma pure il cannibalismo. In questo simili ai Ciclopi. Polifonte venne trasformata in un uccello notturno malaugurante, lo stux, che volava a testa in giù.
Si tratta di un esempio interessante perché permette di individuare alcuni canoni ricorrenti: la colpa non perdonabile, la trasformazione di tale colpa in una mutazione anomala, la trasmissione di tale ibridazione-inversione nella propria discendenza. Anche il selvaggio Agrio subirà una trasformazione, in avvoltoio, quale “soluzione” di un’ulteriore sua trasgressione di limiti sociali-sacrali. L’uccello che non mangia e non beve e vola con la testa in giù e i piedi in su dimostra che la “mostruosità” può anche non essere genetica ma derivare da una trasformazione, indotta da una decisione divina, da una maledizione superiore. La stessa “mostruosità” genetica appare tanto fisica quanto, e forse di più, psico-culturale, cioè derivante da un giudizio di condanna e di rifiuto. Spesso la soluzione dell’enigma mitico è la più semplice e appare risiedere proprio nel nome.
Il prima citato Stux veicola un nome che significa gelo, orrore, abominio, ma anche Stige, il fiume infernale che separava i vivi dai mondi ulteriori e su cui giuravano i dodici dei, tranne Hermes. Figure come Evippa-Melanippa, la donna-cavallo, dimostrano una probabile transizione-scoperta di tipo rituale e storico, da “cavallo rituale” a riconosciuta donna sociale, mentre i mostri più terribili come Echidna, che diventerà nel medioevo cristiano la celebre Melusina, in realtà anche fisicamente non sembrano così terribili in quanto si riduce semplicemente ad un essere metà donna e metà serpente, come l’ebraica Lilith.
Il mostro permane proprio in quanto sconfitto e rifiutato da una nuova civiltà che lo esclude. Permane culturalmente quale immaginario nemico, dialetticamente utile al rafforzamento di un nuovo ordine sacrale e sociale. Che siano stirpi o apparenti singolarità il tempo degli dei appare ciclicamente messo in discussione dall’emergere di questi “mostri”, come pure il tempo degli eroi si delinea proprio nel confronto con questi esseri ab-normi, spesso femminili.
Il Mito dei vincitori non riesce comunque a rimuovere del tutto queste dimensioni e lo si comprende nel ricordo delle Moire, la cui triplicità rinvia alle simili Graie, senza le quali Perseo non avrebbe vinto, alle Trie che oracolava miele e con ossa, forse un tempo umane, matrici della divinazione di Hermes, e alle stesse Muse, urlatrici e selvagge secondo Pindaro, molto differenti dalla versione allegorica settecentesca a cui siamo culturalmente abituati. Basti pensare alla vendetta crudele che le Muse infliggono alle stesse Sirene e a Tamiri, per punirli della colpa di averle osate sfidare in una gara di musica e di canto.
Le Moire rappresentano un potere non è sottomettibile, neppure da parte di Zeus. Vicine a loro Nemesi e Ananke, poi in tempi più recenti assimilate a forme di Giustizia divina come tentativo di “normalizzare” culti e nomi ancestrali, persi nei loro sensi originari. Le loro stesse armi con cui estemporaneamente combattono contro la rivolta dei Giganti e contro Tifone, indicano qualcosa della loro natura: pestelli di bronzo, veleni, tizzoni ardenti. Armi di maghe, di profetesse, di guaritrici.
Moire e Gorgoni non appaiono quindi così lontane nella loro misterica natura. Medusa significa “protettrice”. Scilla significa “cucciolo di cane”. Nei nomi talvolta resiste il senso positivo dei “mostri”, più antichi della loro più recente demonizzazione. Delphine significa “matrice”, vulva, e rinvia a Delphi, l’ombelico del mondo, il cui culto è di origine cretese, portato da sacerdoti con copricapi simili a teste di delfino. Delphine è sia la compagna del terribile e gigantesco Tifone che il serpente oracolare di Delphi, doppio e gemello buono di Pitone.
I culti eroici e cittadini nella Grecia arcaica sembrava non potessero fare a meno di mostri locali, inizialmente visti come oracoli o esseri comunque potenzialmente benefattori. Lo dimostra anche la ninfa Stige, guardiana della prigione tartarica dei Titani, che in questo appare simile alle Arpie e alle Erinni, e pure alle Sirene nella sua postura “accovacciata” e nella sua posizione di vigilanza da una roccia o da una colonna.
Per le Telchine la colpa genetica è lo spargimento del sangue dell’evirazione di Urano la cui grande fertilità generò anche le Erinni e le Ninfe del frassino, le Melie. Questa duplicità originarie la troviamo ancora nel sangue di Medusa, conservato da Atena e da Perseo, una cui vena gettava sangue velenoso e un’altra sangue medicamentoso. Le Telchine indicano anche un altro aspetto positivo degli esseri femminili primordiali: non solo una funzione guaritrice ma anche trasformatrice e di custodia dei tesori nascosti della terra. Dopotutto Ladone custodisce insieme alle Ninfe Esperidi il Giardino aureo occidentale, confine edenico del mondo. Ladone dalle mille voci appare espressione diretta di Oceano che circonda come in serpente tutta la terra.
Senza contare che il carattere cannibalico dei mostri potrebbe anche rinviare a culti primitivi pre-ellenici, come i sacrifici umani titanici alludono ancora in Grecia, fino a Pelope, Licaone e Sifiso. Culti attestati da Erodoto e da altri autori fra gli asiatici Massageti e gli Androfagi, abitanti in una zona oggi tra Ucraina e Russia. Le cinquanta Danaidi che uccidono i loro mariti di notte con gli aghi di grandi spille indicano l’origine egizia dei sacrifici umani in Grecia e la forza dei culti notturni femminili.
Il numero cinquanta indica un collegio sacro, e fa di queste donne speciali l’unico esempio ammesso nel mito per quelle presenze altrimenti raccontate come mostruose e singolari. Non dimentichiamo infatti che l’uso di armi rozze e puntute era comune alle Sirene e alle Arpie. La dea olimpica che più ha conservato i tratti mostruosi e ancestrali di questi esseri primordiali è Atena, colei che soppianta Lamia e gli altri culti libici, ninfici e delle paludi, assorbendoli in se stessa. Lo rivela il suo segno, la civetta rapace, e lo rivela l’origine violenta e rituale dell’egida, quale pelle mostruosa e caprina, probabilmente derivante da Amaltea o dal mostro marino Egis, da cui Egeo e il nome Egisto. Non a caso Atena eredita e incorpora la testa di Medusa, da lei stessa trasformata in essere serpentino per i suo giacersi profanatorio con Poseidone in un suo tempio.
Casi di prostituzione sacra in seguito proibita dai culti olimpici? Esseri prima sacri e poi maledetti, ma che conservano ancora una loro sacralità, qui riassorbita dalla “nuova” Atena, dea irrazionale e rapace, vendicativa e violenta. Non si può fare a meno dei mostri se si vuole tramandare il Mito!