La mostra personale di Eva Kot’átková (Praga, 1982) “The Dream Machine is Asleep”, è un progetto inedito e immersivo dove opere esistenti sono affiancate a nuove produzioni, tra installazioni, sculture, oggetti fuori scala, collage e momenti performativi. Partendo dalla visione del corpo umano come una macchina, un grande organismo il cui funzionamento necessita di revisioni, rigenerazione e riposo, e dall’idea del sonno come momento in cui attraverso i sogni si creano nuove visioni e mondi paralleli, la mostra esplora le nostre proiezioni e i pensieri più intimi, le ansie e il disorientamento del vivere contemporaneo.
Al centro di “The Dream Machine is Asleep” è l’omonima installazione, un gigantesco letto alla cui base è presente quello che l’artista definisce un ufficio per la creazione di sogni. Con questo lavoro Eva Kot’átková prosegue la sua ricerca sui sistemi che regolano la nostra vita, contrapponendo loro immagini provenienti dall’universo infantile per supplire alla mancanza o alla perdita di immaginazione.
Per accedere allo spazio espositivo i visitatori sono invitati ad attraversare l’opera Stomach of the World (2017), un’allegoria del mondo, descritto come un organismo caotico che alterna processi di assimilazione famelica, a momenti di stasi, di empatia o di scontro tra i suoi abitanti, a fasi di controllo, digestione, espulsione e riciclo delle “scorie” prodotte, ovvero le fobie e gli stati d’ansia. L’opera, composta da un video presentato all’interno di un’installazione percorribile dai visitatori e che assume la forma del disegno stilizzato di uno stomaco, si avvale di protagonisti e immagini presi dal mondo dell’infanzia e della mitologia. Numerosi oggetti fuori scala punteggiano l’intera mostra, mettendo il pubblico a confronto con un immaginario a cavallo tra letteratura fantastica e scienze neurologiche.
Accanto a una serie di sette enormi teste in metallo (Heads, 2018) che vengono regolarmente attivate e completate dalla presenza immobile di performer e che rappresentano maschere in cui trovare riparo, i visitatori possono sfogliare le pagine di libri che raggiungono i due metri di altezza. Questi libri (Diaries, 2018) raccolgono piccole sculture e collage – una tecnica largamente adottata nel Surrealismo e molto amata da Eva Kot’átková per la sua natura intrinseca in cui si uniscono frammenti ed elementi differenti in nuove composizioni – e rappresentato un diario in cui vengono raccolti pensieri attorno alle disfunzioni e alle peculiarità del mondo contemporaneo.
In Theatre of Speaking Objects (2012), invece, undici oggetti quotidiani e di arredamento come un vaso, una porta o un muro, assumono caratteristiche antropomorfe, facendosi portavoce di traumi nascosti. L’opera è stata presentata alla 18a Biennale di Sydney ed è ispirata a una serie di schizzi dell’architetto ceco Jiří Kroha (1893-1974), che negli anni ’20 aveva immaginato una pièce teatrale utilizzando semplici utensili quotidiani a cui dava voce e caratteristiche umane. Nella cacofonia di voci, che parlano idiomi differenti, e nell’utilizzo di oggetti come surrogato del corpo umano, Eva Kot‘átková mette in luce le situazioni in cui non è possibile esprimersi liberamente dando invece la possibilità di farlo attraverso questa comunicazione indiretta, usando gli oggetti come mediatori.
L’intera mostra viene concepita come un organismo: attraverso performance programmate, si anima e viene abitata da figure che si aggirano nello spazio attivando le opere con semplici azioni statiche, con coreografie più complesse o attraverso narrazioni orali estemporanee. Così in Asking the Hair about Scissors (2018), un anomalo e surreale parrucchiere,i visitatori possono ricevere racconti liberamente composti da Eva Kot‘átková a partire da fatti di cronaca: chiedendo di rinunciare a una parte del proprio corpo, i capelli, l’artista ripropone l’idea di frammentazione.