Nella società del positivo, in cui le cose, divenute nient’altro che merci, devono essere esposte per esistere, il loro valore culturale svanisce a vantaggio del valore espositivo.
Il valore di esposizione si fonda unicamente sul fatto di produrre interesse [….]. La società esposta è una società pornografica, ogni soggetto è l’oggetto pubblicitario di se stesso. Tutto è rivolto all’esterno, svelato, denudato, svestito ed esposto, ridotto a un prodotto “votato, nudo, senza segreto, al divoramento immediato.
(Jean Baudrillard)
Solo la messa in scena espositiva genera valore: ogni sviluppo autonomo delle cose è abbandonato. L’obbligo di esposizione porta all’alienazione della COSA.
L’imperativo dell’esposizione conduce a un’assolutizzazione del visibile e dell’esteriore. L’invisibile non esiste, perché non produce alcun valore di esposizione, alcun interesse.
Nel 1998 Gérard Wajcman identifica l’oggetto-chiave del secolo con l’assenza, oggetto simbolico con-figurato per sottrazione, vera fabbrica di distruzione di massa e di conseguente produzione di assenza.
Anche l’arte diventa il risarcimento di un’attesa che non approda a nessuna visita, una maniera di giocare il doppio ruolo di ospite, parlando ad alta voce e contemporaneamente tacendo per fondare il miraggio di un incontro. Umoristicamente l’artista si mette all’opera seguendo il nuovo adagio che chi cerca non trova. In tal modo egli si procura e nello stesso tempo pratica l’allontanamento da ogni incontro, la riduzione del reale al puro ingombro, al meccanico movimento dell’aprire e chiudere la porta. Aprendo e chiudendo, la porta dell’attimo.
Tutto questo vaverso la costruzione di situazioni inedite che vogliono sovvertire le relazioni ordinarie producendo stupore e forte carica emozionale sui pubblici. Un esempio fra tutti Christian Boltanski, che posizionò nel sottosuolo la sua opera in modo che i visitatori non vi potessero accedere, ma potessero vederla soltanto attraverso una vetrata.