L’Accademia di Francia a Roma celebra il lavoro di Katharina Grosse e Tatiana Trouvé con la mostra dal titolo Le numerose irregolarità, quarto e ultimo appuntamento del ciclo UNE.
Ideato dalla direttrice Muriel Mayette-Holtz e a cura di Chiara Parisi, UNE è un progetto ambizioso che, attraverso il confronto artistico, interculturale e intergenerazionale, ha dato vita a collaborazioni e intrecci sorprendenti, offrendo una visione contemporanea dell’Accademia di Francia a Roma-Villa Medici. Dal febbraio 2017 UNE è stato lo scenario di incontri unici: Yoko Ono con Claire Tabouret; Elizabeth Peyton con Camille Claudel e Auguste Rodin; Annette Messager con la “presenza” di Balthus.
Partendo da posizioni e stili apparentemente distanti, anche Katharina Grosse e Tatiana Trouvé hanno creato, per quest’occasione, un dialogo inedito e inaspettato. Con i loro rispettivi progetti, diversi eppure complici e complementari, le due artiste, nate entrambe negli anni Sessanta, hanno ribaltato i confini delle superfici di Villa Medici.
Se Katharina Grosse elegge la pittura, intesa come membrana, a suo principale mezzo espressivo, Tatiana Trouvé indaga le infinite variabili e possibilità del disegno: la potenza imprevedibile del colore s’intreccia con la seduzione di un oggetto scultoreo ricontestualizzato. «In entrambe — scrive Chiara Parisi nel catalogo della mostra — emerge una radicalità condivisa, fondata sull’idea di rovesciamento. Nel caso di Katharina Grosse, lo spazio in ogni sua manifestazione è esaltato dalla pittura. Non è più la tela a ospitare un paesaggio, ma è il paesaggio a farsi superficie pittorica. Con un orientamento analogo, Tatiana Trouvé architetta assemblaggi e accostamenti imprevedibili. Così nascono opere che, sebbene partano da elementi concreti, ci fanno perdere la familiarità che abbiamo con determinati oggetti.»
Il percorso espositivo si apre con le sculture di Tatiana Trouvé Somewhere in the Solar System e The Great Atlas of Disorientation. Queste opere realizzate nel 2017 evocano forme di capanne e incorporano mappe di migrazioni antiche e odierne. From 2002 to 2016 è invece un’opera composta da un assemblaggio di saponi in bronzo, ognuno dei quali è collegato a una mostra, associata al lavoro di diverse persone nello studio dell'artista: quando il lavoro è finito ed è pronto a partire per il suo luogo di esposizione, la forma del sapone è modellata. Questa piccola scultura è in qualche modo il risultato di un lavoro condiviso da molte mani.
Subito dopo, s’incontrano le opere Notes on sculptures, September 15th, “Jill” 2016 e “Peter” 2016 in dialogo con la seta dipinta Senza Titolo (2013/2018) di Katharina Grosse come nella prima sala. Da un lato, gli appunti tridimensionali — sculture e frammenti di altrettante installazioni — che Tatiana Trouvé definisce “annotazioni sculturali”, dall’altro, la manifestazione tangibile da parte di Katharina Grosse di un insaziabile appetito per lo spazio plasmato dalla pittura, congiunto alla sua grande capacità di moltiplicare gli spazi architettonici. Uniti e sovrapposti, questi quattro lavori rappresentano il paradigma di un corpo a corpo, di un confronto sorprendente e originale da cui emergono condivise irregolarità.
La cordonata medicea ospita Ingres Wood (2018) di Katharina Grosse. Trovandosi impossibilitata a intervenire direttamente sull’architettura di Villa Medici, l’artista ha utilizzato alcuni tronchi abbattuti, trovati nel giardino mediceo, di uno dei grandi pini che Ingres fece piantare nel parco di Villa Medici negli anni della sua direzione all’inizio del 1800. Attraverso le sue inconfondibili invenzioni di colore, Katharina Grosse dà nuova vita alla storia dell’albero che sparisce sotto la sua azione. Ne riconfigura anche il contesto, portando una porzione di giardino all’interno della Villa con la temporanea dislocazione dell’elemento naturale. La scalinata sotto il soffitto a cupola diventa così la nuova dimora di quest’albero secolare, i cui rami s’inclinano su un ampio drappeggio, ricoprendo i gradini. La sensazione è quella di trovarsi in un sensuale corpo a corpo tra le linee dell’albero e i colori della pittura che l’artista ha creato in situ.
La mostra si conclude con Wander Lines (2016) e Les Indéfinis (2017) di Tatiana Trouvé. Nel primo caso si tratta di una scultura le cui aste metalliche riprendono le tracce di un percorso di erranza nello spazio. Les Indéfinis riunisce opere dell'artista che rimangono a una soglia. Esistono, ma non trovano posto nell’economia generale di un’opera: non sono né i rifiuti né gli scarti di una produzione. Semplicemente, non riescono a connettersi con gli altri e rimangono ai margini, isolati, fino a quando non creano un tutt’uno.