Il sodalizio artistico ed intellettuale fra (Emiliano) Perino & (Luca) Vele è nato esattamente vent’anni fa. Da allora i due artisti esplorano tecniche e linguaggi della scultura con dedizione e coerenza, immersi nella dimensione straniante del loro studio di Rotondi (Avellino). Nel corso del tempo, complice probabilmente la loro entità duale, gli artisti hanno sviluppato una ricerca caratterizzata da contrappunti, cortocircuiti e paradossi, apparentemente antitetici, ma in realtà complementari nel delineare un discorso ondivago, sospeso tra nostalgia (evidente nel recupero di una tecnica antica come quella della cartapesta) e sperimentazione, reinterpretando e trasformando i vari contesti in cui intervengono.
Da un lato, dunque, il loro lavoro richiama inequivocabilmente la tradizione, le cosiddette “ragioni del fare”: le loro caratteristiche forme, realizzate con la cartapesta, sono un “segno” inconfondibile, accresciutosi negli anni per acquisire una sempre maggiore monumentalità, che richiama il gigantismo caro ad Cles Oldenburg, l’effett0 spiazzante degli oggetti di derivazione surrealista e la teatralità di alcune ricerche dell’Arte Povera, assecondando una visione iconica basata su un processo della scultura inteso come scomposizione e ricostruzione della materia (dal macero della carta, operazione necessaria per produrre la cartapesta, al suo riplasmarsi in “forme” e significati ulteriori).
D’altro lato Perino & Vele ci restituiscono un mondo “a quadretti” la cui patina gentile è solo apparentemenle rassicurante, nascondendo in realtà una denuncia delle lacerazioni e contraddizioni che afiliggono la contemporaneità. Non è un caso, in questo senso, che il materiale di costruzione diretto delle opere (la cartapesta) sia costituito dalla carta stampata dei giornali, dall’inchiostro che restituisce notizie e immagini di un mondo incerto: una scelta formale che sembra quasi voglia nascondere, dissimulare un latente assunto ideologico.
Osservando il “corpus” del loro lavoro emerge una vena “pseudo-ludica”, in cui l’ironia si trasforma in provocazione sottile, che rinuncia al documento per farsi metafora, la cui summa è espressa proprio in The Big Archive 1994-2014, opera site-specific realizzata per il secondo cortile del Madre e concepita dai due artisti per celebrare i vent’anni della loro collaborazione.
L’opera è composta da sessantasei cassette in ferro zincato e da nove vasi in vetroresina catramata, di diverse forme e dimensioni. La disposizione dei singoli elementi che compongono l’opera richiama percettivamente la parete merlata che costeggia il cortile del museo, a ridosso della quale è l’opera collocata, nell’intrico di vicoli e cortili del quartiere di San Lorenzo a Napoli.
In questo modo The Big Archive 1994-2014 non si impone all’architettura e al contesto urbano che la circonda, ma si dispone lungo di essi, ne entra a far parte, mettendo in connessione l’interno del museo con lo scenario circostante: ulteriore oggetto fra una poliedricità di oggetti, ulteriore catasta in una zona franca di quotidiana deposizione, disposizione, rimozione, non solo oggettuale, ma anche e soprattutto sociale e culturale. The Big Archive 1994-2014 è, come sempre in Perino & Vele, un lavoro irriducibilmente ossimorico: straniante nel suo (iper)realismo, monumentale nella sua fragilità, apparentemente giocoso e disimpegnato ma che rivela, in un processo di progressivo disvelamento di senso, l’espressione di molteplici lacerazioni e inquietudini. Accogliente e provocatorio, evoca il passato mitico di Elpìs, la speranza (e per traslato la memoria stessa della città di Napoli), racchiusa nelle forme di un vaso classico (il vaso di Pandora) ma brutalmente impigliata in un presente di scaffalature industriali. Una presenza che si attesta su una dimensione sospesa tra pittura e scultura, tra seconda e terza dimensione, omaggio e critica, su cui si accampano i classici segnali di pericolo (nocivo, infiammabile, contaminato, fragile), anch’essi caratteristici del loro vocabolario plastico e in questo caso applicati clirenamente alla struttura di sostegno.
L’impulso archivistico, sotteso fin dal titolo, si ammanta sontuosamente di valenze etiche e memoriali, atte a rilanciare un impegno intellettuale, in cui la scultura diviene spazio privilegiato di un pensiero, di un’attitudine critica e di una proposta civica, da “artista-cittadino” che, richiamandosi ad una antichissima tradizione, riesce, sorprendentemente, a rinnovarne linguaggio e contenuto.