Tra le spezie più preziose e ricercate sicuramente figura lo zafferano ottenuto, come è noto, dall’essicazione dei pistilli del croco un minuscolo fiore diffuso in diverse terre che si affacciano sul Mediterraneo. Mescolando mito e realtà le fonti narrano che il giovane Croco innamoratosi della bella Smilace non fu ricambiato. Caduto in uno stato di prostrazione profonda, fu trasformato dagli dèi nell’omonimo fiore il cui profumo, come nel caso della mirra o del narciso, richiamava un sentimento sfortunato tragicamente infranto dalla morte e dalla metamorfosi. Lo zafferano era impiegato tanto nel campo della profumeria che in quello medico. Colliri a base di olio di zafferano erano usati per calmare congiuntivite e infezioni oculari di vario genere, mentre l’olio di zafferano detto ‘krocinon’ era tra i profumi più raffinati e costosi. Una scheda della pianta del croco viene tramandata da Plinio il Vecchio che nella sua Storia Naturale scrive quanto segue:
Tra i tipi di zafferano, quello selvatico è il migliore. Non conviene assolutamente piantarlo in Italia, perché il prodotto di un’area si riduce alla quantità di uno scrupolo. Se ne pianta il bulbo della radice. Quello coltivato è più largo, più grande e più bello, ma è molto più delicato e degenera dovunque; non rende molto nemmeno a Cirene, dove i suoi fiori sono sempre molto decantati. Il primo posto per rinomanza spetta a quello della Cilicia, e lì in particolare a quello del monte Corico, poi a quello licio del monte Olimpo, poi a quello di Centuripe in Sicilia. Alcuni hanno assegnato il secondo posto a quello di Tera.
Sul profumo allo zafferano si sofferma il filosofo Teofrasto, allievo di Aristotele e alla guida della scuola peripatetica dal 322 a.C. anno di morte del maestro. Teofrasto, parlando dei profumi nel suo scritto Sugli odori riferisce che il ‘krocinon’ si otteneva, come quello di giglio, dai fiori lasciati in macerazione nell’olio. Si trattava di una fragranza assai intensa la cui migliore qualità si produceva a Soli in Cilicia. La si impiegava sia come profumo per la persona – poteva ovviamente acquistarlo gente facoltosa in grado di sostenerne il costo – sia nei banchetti ma mescolato a olio di mirra. Il profumo soave rilasciato dai due oli si univa a quello del vino e delle vivande e rendeva ancora più gradevole l’atmosfera del simposio.
G. Squillace, I balsami di Afrodite. Medici, malattie e farmaci nel mondo antico, San Sepolcro, Aboca Museum, 2015