Dal 28 marzo al 25 giugno 2017, il Complesso Museale “Chiostri di Sant’Eustorgio” di Milano accoglie la personale di Adrian Paci, dal titolo The Guardians.
La mostra - la prima di un progetto organico che vedrà il complesso di Sant'Eustorgio ospitare l'arte contemporanea - è curata da Gabi Scardi, e coinvolgerà luoghi di particolare fascino e di straordinaria importanza storica, come il Cimitero Paleocristiano e la Cappella Portinari in sant’Eustorgio e la Sala dell’Arciconfraternita del Museo Diocesano.
Il percorso espositivo, che presenta un importante nucleo di opere, tra fotografie, video, sculture, mosaici in grado di analizzare i diversi periodi creativi dell’artista, prende il via con alcuneopere in cui l’artista utilizza la fotografia, come il dittico The Line, una fila di persone in attesa di un aereo
che non c’è, su una pista di decollo deserta, o come The Encounter, una composizione in cui, sul sagrato di una chiesa antica si vede il gesto semplice e consueto della stretta di mano moltiplicarsi, in un rituale capace di attraversare il tempo e di farsi simbolo; e prosegue con il recente My song in your kitchen,un video in cui attività quotidiane, come cantare o cucinare, diventano condensati di storie e dimemorie, e trasformano un luogo impersonale, come la cucina di una mensa, in uno spazio di intimità e di relazione. Tra i lavori esposti si troverà anche la scultura Home to go,in cui Paci si ritrae come una sorta di viandante, spoglio di tutto, che si carica sulle spalle il tetto di una casa.
La Cappella Portinari accoglie Klodi, video-ritratto di un uomo sradicato, costretto a vagare per anni, in un periplo drammatico e assurdo, la cui conclusione è ignota, e Brothers, un mosaico realizzato a partire dal frammento di un filmato d’archivio. L’immagine fugace, tradotta con questa tecnica desueta, acquista monumentalità e un’intensità enigmatica che ben s’inserisce nel contesto della cappella in dialogo con gli affreschi del Foppa.
Nel Cimitero Paleocristiano verranno invece presentate due opere con cui Paci rilegge la storia del proprio paese evocando il dramma della dittatura, che serrò a lungo l’Albania rispetto all’esterno e tentò di soffocarla internamente mettendo al bando ogni libertà, comprese quelle di espressione e di fede. Malgrado tutto è una serie di fotografie dei graffiti tuttora presenti sulle pareti delle celle di un antico monastero che funse da prigione, oggi parzialmente trasformato in Museo: segni fragili, ma resistenti, che rivelano sofferenze vissute nel silenzio, ma anche una inalienabile necessità di espressione.
Mentre The Guardians racconterà di un cimitero cattolico dismesso durante la dittatura, poi recuperato, animato da bambini pagati per mantenerlo in ordine. La loro vitalità conferisce all’opera grande poesia e testimonia l’inarrestabile, seppur contraddittoria, rinascita del paese, e le innumerevoli sfaccettature possibili nella nostra relazione con la vita e con la morte.
Il percorso espositivo si estenderà negli spazi del Museo Diocesano “Carlo Maria Martini” con il videoRashache nasce dall’incontro di Adrian Paci con una donna palestinese, giunta recentemente in Italia dalla Siria grazie ai corridoi umanitari.
Rasha è ripresa in primo piano mentre racconta la propria storia; la sua vicenda trova espressione sul suo volto prima ancora che nelle sue parole. Rasha è un'opera sulla complessità del racconto e su come l'esperienza vissuta possa essere trasmessa non solo verbalmente, ma anche attraverso il linguaggio del corpo.
Come afferma Gabi Scardi, “Per Adrian Paci l’arte è ricerca di senso indotta da necessità interiori, eun modo attivo di pensare la contemporaneità. Nel suo lavoro convivono l’osservazione per le dinamiche sociali del presente, l’attenzione per la densità simbolica dei gesti e un interesse per le possibilità interpretative delle immagini che nasce dalla profonda familiarità con la storia dell’arte”.
“Motivi per lui centrali - continua Gabi Scardi - sono il viaggio, l’attraversamento, l’attesa, che è anzitutto attesa di futuro, e il rapporto con il luogo e il tempo dell’origine, che non sono tanto dimensioni alle quali tornare, quanto riferimenti profondi da portare con sé, e da valorizzare. La migraticità, che spinge a immaginare nuovi modi di vivere, nuove forme di relazione con il contesto, e anche nuovi linguaggi artistici con i quali esprimersi, costituisce, per Paci, la condizione più propria dell’uomo e dell’artista”.