I muri degli studi dei grandi scultori sono come le pareti delle grotte preistoriche, come le rocce incise del Tassili, di Monte Bego, della Valcamonica, le grandi aree dove si concentrano i segni della Preistoria. Lo scultore, a volte, è più disordinato del pittore: questi ha sovente bei tavoli, matite, fogli, cavalletti, tele, telai e colori. Tutto deve essere ordinato, con poche eccezioni. Penso a Vedova che dipingeva con il corpo, entrando fisicamente nelle tele con tutto se stesso.
Uno scultore ha probabilmente uno studio pieno di cemento, gesso, legni e chiodi, martelli e scalpelli, ha le mani sporche di tutto: dalla colla al silicone... non può manipolare i fogli di carta!
Così, a volte, con un chiodo, una vite, una grossa matita da muratore, lo scultore graffia l'intonaco e dà corpo ad un’idea che gli è balenata per l’opera successiva, mentre sta lavorando a quella presente.
I disegni dello scultore risultano veri, liberi, necessari; non sono graziose interpretazioni fatte a posteriori per vendere, non sono foglietti ex post, come tanta arte di mercato. Sono momenti necessari ad una elaborazione formale che viene a galla di getto, come gli appunti di Sigmund Freud fissati sul taccuino che se ne stava quieto nella notte ad attendere. Certo, non tutti gli scultori disegnano sul muro, ma quelli grandi sì. Condizione necessaria, tuttavia non sufficiente: tutti i bravi scultori disegnano sul muro, ma non tutti quelli che graffiano la parete lo sono.
Kapoor lo fa ogni giorno e il suo grande studio porta i segni del suo passaggio.
Che faccia questi graffi per sé, per ricordare o fissare un’idea, oppure che lasci una traccia ai suoi assistenti perché venga poi sviluppata, questi semplici segni sono la parte più autentica del suo lavoro, sono il momento ove l'idea zampilla, sono il tramite diretto tra il cervello, la mano, la realizzazione.
Poi interverranno gli artigiani, i fonditori, i formatori, gli scalpellini, che con il loro lavoro si avvicineranno all'idea che la mano ha tracciato, comandata dalla visione e dall'intelligenza del Maestro.
I disegni murali non sono oggetti da vendere, sono liberi dalla gabbia del valore, del costo. L’artista può permettersi di divertirsi, di stupire, di stupirsi, di provocare, di raffigurare l'impossibile, qualcosa che non sarà mai realizzato: un desiderio, un sogno, un bisogno.
Il condizionamento del mercato verrà dopo, qui siamo ancora ad uno stadio preistorico, nel senso che la storia non è ancora fissata, il prodotto-scultura non esiste ancora, siamo nella caverna platonica delle idee allo stato puro, e l'artista le aiuta a formarsi.
Con i disegni sul muro ci troviamo nell'istante in cui nascono le idee, nel luogo ove si materializzano, nella situazione fluida del possibile.
Lo scultore ci prova con vari tentativi empirici, con aggiustamenti, con la libertà di poter disegnare un'immagine sopra l'altra, proprio come facevano sulle rocce i nostri lontanissimi antenati per i quali il segno esauriva la sua funzione, veniva consumato, e finiva di esistere. Il prossimo disegno poteva essere fatto sopra il precedente, magari sfruttandone le caratteristiche formali.
Kapoor gira nello studio per controllare, eseguire e correggere le opere, e lascia tracce del suo passaggio disegnando sui muri le prossime sculture come fossero impronte digitali di un pensiero visionario.