Uno degli aspetti più belli dell'artista Azuma, così come dell'uomo, era la sua consapevolezza che la realtà è sempre in divenire, anche quando sembra che sia giunta al termine. Questa considerazione vale per le sue opere, nelle quali la materia non nasconde i suoi confini ma ha sempre qualcosa di processuale, sembra comunque sempre in fieri. (…) Questa mostra era stata pensata e progettata insieme, da Azuma e da me, non senza il prezioso contributo del figlio e amico Anri. Il fatto che uno dei tre non potrà essere fisicamente presente all'inaugurazione non fa altro che confermare che il dialogo è ancora aperto, che ci sono ancora molti punti da toccare, che può esistere un colloquio infinito, proprio come il MU.
(Matteo Lorenzelli)
Questa importante mostra antologica in progetto da diversi mesi per festeggiare i sessant'anni di permanenza a Milano di Kengiro Azuma è diventata, in seguito al triste evento della sua recente scomparsa, un doveroso omaggio che la galleria tributa al grande maestro giapponese ma soprattutto ad un amico con il quale ha condiviso tanti momenti di crescita artistica e intellettuale.
Concepita in relazione allo spazio architettonico delle sale espositive e allestita da Matteo Lorenzelli e Anri Ambrogio Azuma, architetto, figlio dell'artista, la rassegna propone i momenti salienti della ricerca espressiva di Azuma, a partire dagli esordi fino alla produzione più recente, con particolare attenzione verso le opere meno note, per cogliere l'essenza della fertilità creativa dell'artista e mostrare il processo vitalistico della sua ricerca. Dal lavoro per la tesi di laurea a Brera a quelli realizzati come assistente di Marino Marini, alle sculture di transizione della metà degli anni '60 che lo portarono ad acquisire la sua completa autonomia artistica avvicinandosi all'espressione astratta, assistiamo ad una scansione ritmica di opere, modulate nello spazio della galleria: scritti, progetti di sculture ambientali, immagini e disegni che documentano la metodicità e la costanza del suo lavoro quotidiano. Da un'opera all'altra, ciò che la mostra mette in risalto è il personale percorso di Azuma, connubio di plasticità e tradizione orientale. Il suo atteggiamento artistico si impernia indistricabilmente sulla cultura giapponese dove gli opposti, come il pieno e il vuoto, hanno lo stesso valore e sono i due elementi che hanno caratterizzato la sua ricerca e lo hanno stimolato a tradurre nelle forme che le sue sculture rappresentano, il rapporto tra finito e non finito, materico e spirituale, visibile e invisibile. Scrive Jacqueline Ceresoli, cocuratrice della mostra, nel testo in catalogo: Azuma rielabora a Milano le sue radici culturali, precedentemente rimosse, medita sulla cultura Zen, sul MU (il vuoto) e lo YU (il pieno): due poli non opposti bensì complementari come la luce e l'ombra, spirito e materia, vita e morte, corpo e anima, brutto e bello, classico e moderno, simmetrico e disordinato, armonia e caos. Il movimento è il principio dell'essere e della natura: Azuma elabora una ricerca estetica permeata dal pensiero Zen e una sensibilità formale occidentale in cui il volume materializza spazi in continua trasformazione altrimenti impercettibili. Dal suo rapporto con la natura, dalla dicotomia compresa nell'essere, il MU corrisponde all'assenza, all'invisibile ed è complementare allo YU, il presente, il visibile. Il MU include lo YU per rivelarsi, e nel 1959, con il MU-00, Azuma incomincia a modellare le sculture intorno al vuoto, volumi che danno forma alla sua essenza e plasmano la sua ricerca del senso della vita, del mistero che l'ammanta.”
Fra i lavori in mostra che coprono un ampio arco temporale – dal 1956 al 2016 – spicca La Luce, un'installazione di specchi e metallo realizzata nel 1998 e concepita per esterni. Di forte impatto emozionale per la grande interattività che sollecita, l'opera viene qui esposta, per la prima volta, in uno spazio chiuso creando altrettanta suggestione.
La mostra, nel suo intento iniziale, voleva anche celebrare i 60 anni di Azuma a Milano dove giunse trentenne da Tokyo, nel 1956, con una borsa di studio rilasciata dal governo italiano, per frequentare all'Accademia di Belle Arti di Brera il corso di Marino Marini, di cui diverrà assistente e amico fino alla scomparsa del maestro avvenuta nel 1979. Per questa occasione è stata prodotta una tiratura di 60 piccole Gocce (bronzo a cera persa, h. cm 20, realizzate dalla Fonderia Battaglia) ognuna delle quali reca inciso l'anno, dal 1957 al 2016. L'idea è quella di rappresentare la parte invisibile dell'uomo, che però non ha una forma ben definita. - ha scritto Kengiro Azuma a proposito delle Gocce - I sentimenti non hanno una forma precisa, sono cose astratte. Ho abbandonato la rappresentazione dell'uomo, dedicandomi a quella dell'anima. Ho realizzato molte gocce d'acqua di bronzo perché la goccia d'acqua non si può mai vedere perfettamente.
Appena la goccia si stacca dalla grondaia, assume una forma perfetta che però non riusciamo a cogliere con i nostri occhi. Io credo che la nostra vita sia un po'così. Non saremo mai uomini perfetti come le gocce d'acqua, neanche studiando profondamente. Nella goccia di bronzo faccio poi dei buchi. Quello che rende un bicchiere tale non è il materiale con cui è costruito, ma il vuoto che viene riempito dalla bevanda che vi versiamo. Cerco quindi di esprimere utilizzando lo spazio vuoto ciò che è veramente importante, cioè l'anima, l'amicizia, la vera solidarietà, il modo di convivere. Con la mia sensibilità devo poi capire dove mettere i vuoti per comunicare ciò che intendo comunicare”