Inaugura mercoledì 30 novembre presso Montrasio Arte la mostra Trappolando, un omaggio all’opera plastica di Fausto Melotti (Rovereto 1901 – Milano 1986), con particolare attenzione alla produzione ceramica, a cura di Sara Fontana.
Il percorso espositivo include anche due nuclei di fotografie inedite realizzate da Vittorio Pigazzini (Monza 1929) e da Toni Thorimbert (Losanna 1957), oltre ad alcuni libri di Fausto Melotti quali Il triste Minotauro (Vanni Scheiwil- ler, 1973) e Linee (Adelphi, 1975), nei quali le poesie, gli aforismi e le acqueforti si succedono con la medesima fantasia poetica e la medesima bilanciata armonia che appartengono alle sculture e ai dipinti. Alcune delle circa trenta opere selezionate fra sculture, ceramiche e bassorilievi, non sono mai state esposte prima e sono tutte in diverso modo esemplari dei passaggi cruciali del lungo percorso artistico di Melotti. La mostra sarà accompagnata da un catalogo di 260 pagine (Silvana editoriale), con testi di Sara Fontana, Marco Tonelli, Lorenzo Fiorucci e Ilaria Despina Bozzi. Il titolo Trappolare deriva da una frase pronunciata da Melotti all’indomani del precipitare degli eventi bellici e della distruzione del suo studio di Milano: “Mi sono messo, se non proprio a lavorare, a trappolare. Ho un po’ di creta e faccio delle testine grosse come un pugno. Ma mi organizzerò meglio”.
Melotti definì la ceramica come “un pasticcio”, “una cosa anfibia”, forse per evidenziare la sfida a cui essa ogni volta sottopone il suo artefice, ma le numerose opere da lui realizzate restano oggi come testimonianza del suo interesse verso questo medium. L’itinerario espositivo prende le mosse dagli anni Trenta-Quaranta – gli anni delle prime collaborazioni con la Richard Ginori e delle prime partecipazioni alle triennali milanesi – con un delicato Mezzo busto femminile in terracotta del 1942, una scultura figurativa ancora in parte legata alla plastica novecentesca ma il cui carattere trasognato la allontana dalla retorica monumentale diffusa in quegli anni.
Un nucleo di opere testimonia la rinascita artistica e creativa di Melotti all’indomani del secondo conflitto mondiale, quando la completa distruzione dello studio milanese lo spinge verso una produzione quasi frenetica di ceramiche e di sculture in terracotta, proseguita per circa quindici anni con inatteso successo ma senza alcuna eco critica. L’artista dà vita a una serie di invenzioni poetiche originalissime – vasi sole, vasi luna, vasi pesce, vasi gallo, vasi pavone, le grandi figure femminili dette Kore – e parallelamente intensifica la collaborazione con Gio Ponti in alcuni importanti interventi decorativi su vasta scala.
È un periodo magico e vitale, documentato in mostra da due splendidi esemplari di Vaso Gallo in ceramica smaltata, rispettivamente del 1948 e del 1950, e da un cospicuo gruppo di opere realizzate intorno al 1955, sempre in ceramica smaltata, testimonianza della varietà di soluzioni cromatiche e iconografiche escogitate dall’artista roveretano in quegli anni: i neri opachi della piccola Giraffa, i bianchi sofisticati della Kore e di due monumentali Vasi, i raffinati riflessi del Vaso Pavone e del Vaso Vescovo. Sono opere fortemente evocative. Originate da un sogno, da un ricordo o da un’idea, esse raccontano con nuove forme gli antichi miti e le credenze popolari, l’amore per la natura in tutte le sue forme e la passione per la musica. Della ricchissima poetica dell’artista esse svelano sia l’aspetto più espressivo e colorato, scaturito dall’amore per una materia indomabile, sia l’aspetto più riflessivo e minimalista, tradotto in una scultura sempre leggera e rigorosa.
Dopo i primi riconoscimenti critici per le opere astratte degli anni Trenta e l’intensificarsi dell’attività grafica negli anni Sessanta, il decennio successivo è rappresentato da alcuni bassorilievi in gesso dalle delicate cromie, formelle quadrangolari in creta o in gesso, memori delle candide piastre plasmate da Melotti nell’immediato dopoguerra, ma ora evocanti paesaggi, figure e architetture musicali.