La nostra gloria più grande non sta nel non cadere mai, ma nel risollevarsi sempre dopo una caduta.
(Confucio)
Quanto la paura di cadere, di sbagliare, di fallire, di soffrire sta trattenendoti dall’essere la miglior versione di te stesso e creare la vita che desideri? Questa testimonianza è dedicata a tutto noi, affinché possiamo accogliere la fallibilità umana e ricordarci che non esistono fallimenti ma solo feedback!
«Il problema dei principianti è la paura di cadere», sentenzia Alex. Alto, magro, di madre indonesiana e padre cinese, i suoi occhi neri hanno una tale severità che le sue parole arrivano dritte al cuore. Tanto più che apre bocca molto raramente. So bene di cosa sta parlando. Dopo poco più di un’ora di lezione di silat non ho un solo muscolo che non mi faccia male e probabilmente sono piena di lividi. A ogni azione finisco sbattuta per terra e non è per niente divertente. Sono sfinita e ora Alex ci sta chiedendo di eseguire un altro esercizio in cui dobbiamo buttarci a terra spontaneamente. È più di quanto le mie povere ossa possano sopportare!
«Se non si è disposti a cadere e ricadere non si può imparare il silat». Questa la risposta secca di Alex alle mie lamentele. Ha ragione. Nonostante Alex sia considerato il miglior insegnante di Kuala Lumpur, sono sempre rimasta mediocre nel silat: forse sono stata la sua peggiore allieva. Ma una lezione importante mi è rimasta: è necessario imparare a cadere. Nelle arti marziali, ma ancora di più nella vita: siccome gli scivoloni nella vita sono inevitabili, come possiamo essere felici se non sappiamo cadere? Come possiamo essere felici se andiamo in tensione, ci disperiamo, ci arrabbiamo ogni volta che finiamo a terra?
Più semplice a farsi che a dirsi. «Già, più facile a dirsi che a farsi», sbotta Giorgio quasi parlando tra sé. È difficile accettare quando facciamo degli errori. Quando falliamo. E come pensiamo di imparare allora? Se continuiamo a fare le stesse cose – o addirittura a non fare niente per non rischiare di cadere – cosa pensiamo di ottenere? Non otteniamo forse gli stessi risultati di sempre? Cosa abbiamo bisogno di fare se vogliamo risultati nuovi? «Azioni nuove?» azzarda Giorgio.
Sì. L’unica maniera per acquisire esperienza e trovare la soluzione giusta è iniziare a provare e… sbagliare, e riprovare e risbagliare. E nel frattempo cadere è inevitabile. Esattamente come quando da bambini abbiamo imparato a camminare. Molto più semplice a farsi che a dirsi, se non fosse per i draghi e i condizionamenti, mi verrebbe da rispondere a Giorgio. Diverse ricerche dimostrano come i migliori professionisti in vari campi non siano i più intelligenti, quelli che hanno studiato di più, o che hanno gli uffici più costosi, ma quelli che hanno sbagliato più volte, capito gli errori e integrato i feed-back. E questo si applica a ogni area della nostra vita, non solo al lavoro.
«Cosa intendi per integrare i feed-back?» mi chiede Loredana. In Programmazione Neurolinguistica operiamo con un presupposto molto importante: che non esistano fallimenti ma solo feed-back. Ogni errore, cioè, ci dà preziose informazioni su ciò che non ha funzionato e su cosa non fare. Basta raccogliere queste informazioni e incorporarle nelle nostre prossime azioni… e il gioco è fatto.
C’era una volta un uomo di grande successo che fu intervistato da un giornalista.
«Mi dica, qual è il segreto del suo successo?» chiese il reporter. «È facile: si può riassumere in due parole», rispose l’uomo.
«Ah sì? E quali sono queste due parole?»
«Decisioni buone».
«Ah, e come si fa a prendere sempre delle decisioni buone?» continuò l’intervistatore.
«Beh, questo è ancora più facile: si può riassumere in una sola parola: esperienza».
«Sì, va bene. Ma come si acquisisce l’esperienza?»
«Due parole: decisioni cattive».
Gli errori sono una parte importante del processo di cambiamento: ci aiutano a riconoscere le aree in cui abbiamo bisogno di impegnarci maggiormente per migliorare. «Sbaglia più che puoi… l’esperienza è il nome che tutti danno ai propri errori», diceva Oscar Wilde.