Per una questione evolutiva, a livello cognitivo abbiamo la tendenza a prestare attenzione alle informazioni negative, in quanto questo tipo di attenzione ci permette di essere preparati alla difesa e all’adattamento. Al contrario, dal punto di vista prettamente emotivo, siamo invece orientati alle cose positive, o soggettivamente ritenute tali, in quanto il conseguimento del piacere e l’evitamento della sofferenza costituiscono il fulcro del nostro vivere, sia come individui sia come gruppalità sociali.
Rispetto alle spinte distruttive che ogni giorno ci fanno vedere i drammatici effetti, noi abbiamo quindi due posizioni distinte e, a tutta prima, contraddittorie:
• da una parte, la nostra attenzione e la nostra parte cognitiva ci portano alla percezione massiccia, con ipervigilanza, delle notizie negative, drammatiche e spesso allarmanti legate al manifestarsi di attentati terroristici e di quelli che appaiono come contrattacchi bellici strutturati
• dall’altra parte, la nostra emotività si concentra e si orienta invece alle cose positive, cioè alle soluzioni, agli stimoli piacevoli, ai progressi, alle evoluzioni.
Come è noto a tutti, i media tendono a presentare in maniera decisamente prevalente le informazioni negative, in questo modo sfruttando il fatto che le capacità attentive, rispondenti a una logica cognitiva, sono maggiormente attivate, in uno stato di iper-arousal, dagli stimoli negativi. I telegiornali ci parlano quasi esclusivamente con un linguaggio allarmante e ci presentano quasi completamente notizie negative, suffragate da immagini estremamente crude, che enfatizzano e calcano il messaggio, arricchendo la stimolazione uditiva di una parallela stimolazione visiva.
La macchina dei media, quindi, cavalca l’onda cognitiva, sfruttandone la maggiore attivazione, mentre trascura del tutto o quasi l’esigenza emotiva. Vediamo gli effetti di tale scelta. Ebbene, le comunicazioni di attualità, puntando sul negativo, inducono uno stato di ipervigilanza e aumentano, nei soggetti più esposti, il livello di ansia. I soggetti più esposti sono tutti coloro che sono più aperti alle stimolazioni esterne:
• per la giovane età nel caso dei bambini
• per l’aumentata sensibilità nel caso delle donne in gravidanza
• per un precedente stato ansioso nel caso di soggetti con tendenza all’ansia o con disturbi da ansia e panico conclamati
• per l’autopercezione di fragilità e vulnerabilità nel caso di persone anziane e/o malate.
Il mercato trae giovamento da tali effetti:
• l’aumento dello stato di attivazione cognitiva porta a una migliore percezione dei messaggi pubblicitari associati, o immediatamente successivi, all’informazione negativa ricevuta, con conseguente aumento dei consumi
• l’aumento del livello di ansia genera uno stato di malessere, che ben conoscono le persone ansiose, che il soggetto tende a gestire con l’utilizzo di farmaci, di cure mediche o psicologiche, oppure con l’acquisto di beni, o ancora con reazioni legate al bisogno di controllo, come ad esempio l’aumento nell’uso del telefono o di internet, l’aumento dell’assunzione di cibo, anche durante la stimolazione stessa dei media (in particolare quando alla comunicazione uditiva si associa quella visiva, come avviene con il telegiornale o con immagini ansiogene al cinema).
Dunque, questi effetti fanno capire molto chiaramente perché i media puntano sulle notizie di segno negativo, e perché associano allo stimolo uditivo anche quello visivo, rafforzandone il messaggio con immagini spesso dirette e cruente. Ma questo modo di procedere, se da un lato ha effetti positivi sul mercato e sui consumi, dall’altro sembra totalmente trascurare la parte emotiva del soggetto, che come si è detto ricerca – ha bisogno, potremmo dire – di stimolazioni di segno/tono positivo, legate alle cose belle, alle cose che funzionano, al piacere e alla gratificazione.
Occorre che i media scelgano anche questo mezzo, non tanto per fare da contraltare al prevalere di stimoli negativi, non solo per una questione etica (in quanto la prevalenza di stimoli negativi induce disagio e rafforza la patologia mentale legata all’ansia), ma anche per arrivare interamente al soggetto, per puntare cioè sia alla sfera cognitiva sia a quella emotiva. Puntare sulla sfera emotiva, con stimolazioni positive, avrebbe l’effetto – opposto – di alzare il tono dell’umore, il livello di ottimismo, la percezione di autoefficacia, la voglia di fare, l’atteggiamento propositivo. Almeno inizialmente, tale approccio non avrebbe una ricaduta immediatamente positiva sui consumi, perché a un maggiore benessere psichico si associa una riduzione del bisogno di comprare per stare meglio o per colmare l’ansia. Tuttavia, l’ottimismo si sa porta anche, magari non immediatamente ma certamente in un trend positivo, a una ripresa economica legata a una maggiore vivacità, vitalità, voglia di fare e di tentare. Giustamente, a fare da contraltare al mood negativo dei media, i politici e i trend setter spesso utilizzano un linguaggio molto positivo e ottimista, mettendo in risalto i fenomeni, magari poco noti ma presenti, positivi, che sono indici e forieri di ripresa.
Ma in ultimo… se i media non seguono, o decidono di non seguire, questo approccio diremmo globale al soggetto, perché è possibile che il mercato non ne tragga un vantaggio immediato, che cosa possiamo fare noi per salvaguardare noi stessi e il nostro benessere? Noi abbiamo il dovere morale verso noi stessi, verso il nostro stato di salute e verso la completezza della nostra persona, di fare una doppia operazione:
1. ricercare e coltivare attivamente degli stimoli positivi > immagini e informazioni positive, rapporti umani carichi di affetto e di solidarietà, generi musicali che ci “caricano”, input sensoriali e culturali che ci attivano il buonumore
2. tenere conto delle motivazioni di mercato che guidano l’informazione standardizzata proposta dai media, delle sue ripercussioni negative su di noi, in particolare su soggetti già fragili, e quindi selezionare, filtrare, contestualizzare, in una parola… difenderci.
Perché coltivare l’ottimismo permette di reagire dal basso, nonostante le logiche belliche e le strategie di mercato.