L’ inesistente è qualcosa che ha respirato, seppur nell’invisibile, che abbiamo visto e che non abbiamo conosciuto o se abbiamo conosciuto è perché abbiamo fatto parte dell’inesistente noi, o forse perché anche noi siamo inesistenze.
L’inesistente se è avvistato è doloroso.
E se è inesistente è gaudio.
(Senza Senso, Francesco Lauretta)
z2o Sara Zanin Gallery è lieta di presentare la prima personale dell’artista Francesco Lauretta negli spazi della galleria.
Inesistenze è una mostra di fantasmi, presenze assenze che sfuggono a una definizione ma che risultano terribilmente riconoscibili.
Il termine fantasma deriva dal greco phantàzo, significa “mostrare”, quindi l’idea dell’apparire come manifestazione di una presenza incorporea, generalmente accostata ad un sentimento di timore.
La vita e la morte, quindi l’esistente e l’inesistente, sono le due frontiere entro le quali la mostra si snoda, in un incedere vorticoso e nebuloso, nel quale i confini non impongono un limite ma si confondono tra loro. La sensazione di turbamento e smarrimento è affidata alla continuità dell’inesistente nell’esistente e all’ impossibilità di stabilirne una netta e rassicurante separazione.
La ragione vacilla quando è incapace di nominare e definire, quando non è più possibile distinguere e classificare; è allora che si fa appello all’inesistente per vedere e comprendere.
Nella prima sala si trova una teca che giace a metà strada tra una culla e una bara, una nascita e una morte, dentro di questa compare un volto, dormiente o morente, il velluto blu riveste le pareti come una gonnellina materna e come la fodera interna di una bara.
L’ingresso interroga il significato della forma, anzi la forma è proprio un’interrogazione sulla forma che si risolve in un significato divagante e sfuggente (Francesco Lauretta).
La seconda sala ospita un televisore sintonizzato sul canale RAI 2. Sulla superficie dello schermo un nastro adesivo disegna la sagoma di un volto che si sottrae, nella sua fissità, all’ingorgo delle immagini televisive, prodotte dalla civiltà della sovrapproduzione. Il nastro raccoglie la pittura in esubero delle tele, ovvero è quello scotch conservato che l’artista utilizza per 'dare perimetro' ai quadri. Tutto quanto si deposita, deborda, e si fa esubero, viene raccolto, conservato e disposto a fitte strisce, venendo a creare una tensione rimandante alla tela mancante.
Lo scotch sfugge e sorvola la monocultura televisiva, come l’arte che rifugge i circuiti nei quali molti vorrebbero costringerla.
Nel soffitto si erge un disegno rosso, un cosmo nel quale i vivi e i morti stanno assieme, dove tutto è in moto e si rigenera in ogni istante.
Un’ambiguità domina la seconda stanza, temporale e spaziale, o più correttamente propriocettiva (Francesco Lauretta).
Uno spolvero, un paesaggio di terra d’ombra naturale quasi invisibile circonda la terza sala della galleria. Le piccole lapidi espandono lo spazio verso l’invisibile, invitando all’altrove.
Un quadro, dalle fattezze di un clavicembalo, presenta un corteo funebre adornato con fiori: è il funerale di Francesco Lauretta. A lato, su una pedana rossa si esibisce la Musa, una body builder mette in atto un processo di autotrasformazione del soggetto, facendo rivivere le pratiche ascetiche (non religiose) dell’esercizio: può infatti aumentare le forze spontanee che danno all’individuo la possibilità d’essere se stesso.
La terza sala, se mossa e in movimento, è una mostra che si dissolve in poesia (Francesco Lauretta).