Il nuovo progetto di Ekaterina Panikanova nasce dall’ urgenza di ridisegnare il perimetro della sua esplorazione artistica: la creazione di un ambiente immersivo, quasi organico, che include l’impiego di nuovi media, mai esplorati in precedenza. Le radici sono da rintracciare negli anni trascorsi fuori Roma, in campagna, dove l’artista ha speso molto tempo a contatto con la natura.
La mostra è un viaggio mano nella mano; Ekaterina Panikanova ci lascia penetrare nel suo immaginario in cui emozioni, ricordi fragili del quotidiano, diventano pagine significative che l’accompagnano nella costruzione del suo personale universo.
L’estetica del frammento e il senso panico di appartenenza a qualcosa di immensamente più grande attraversano l’intera mostra. Il frammento non sottrae, ma aggiunge senso e rimette in discussione la scala di valori nel fare esperienza.
La mostra si apre con una immagine-cameo: una coppia di piccoli palloni che fluttuano lentamente nell’acqua di una piscina diventano un movimento planetario. Tutto dipende dalla nostra postura, da come poggiamo lo sguardo sulle cose. Transitando nella seconda sala ecco che una mattina, in cui il vento fa stormire le fronde degli eucalipti, il suono e il movimento ondulatorio delle cime inducono una sorta di ipnosi in cui si innestano e si srotolano su una pergamena immagini e oggetti del suo vissuto. L’opera si sviluppa su questo duplice livello di sovrapposizioni: il ritmo della natura, come un mantra, e quello della mente che ricompone i frammenti delle proprie esperienze in una tessitura visionaria. Una contemplazione che spalanca le porte di un mondo intero.
Nella grande installazione della terza sala le storie dell’infanzia vengono restituite con nuovi significati. I palazzi di bicchieri, realizzati dal nonno dell’artista nella provincia russa, assomigliano a fragili scheletri di cristallo, i merletti, nati da umili mani femminili sono riprodotti dall’artista in candida creta o in porcellana, i libri pieni di storie e di teorie scientifiche, impilati o depositati al suolo, sono rigenerati dalle sue immagini fresche, tratte da elementi naturali… tutti questi oggetti e manufatti diventano alberi che accolgono nidi o somigliano a funghi e a macchie di muffe distesi nel grande tappeto di terra di un giardino immaginario. Nidi portatori di vita, muffe paradigma di decomposizione: tutto è armonico nel ciclo vitale perché in natura la fine della vita è trasformazione in altra vita.
Nuovi scenari e significati si aprono anche verso il futuro.
Stare in questo giardino genera un senso di benessere che spinge a riconsiderare il significato di ciò che le accade e le accadrà, come la tensione di un’ascesa nel gioco della bambina sull’altalena: tensione piacevolmente incosciente e positiva verso ciò che non si conosce.
Il contatto vibratile e intenso con la natura, che Ekaterina Panikanova propone in mostra con chiavi formali differenti, trasmette la sua attitudine a riconciliarsi con quello che la circonda e con sé stessa.; per sentirsi viva, perché in questo suo giardino natura e cultura si fondono perfettamente.
Tutto è, tutto si trasforma. La vita si profila come energia in movimento, con i suoi scarti inaspettati che possono essere accolti ed accettati perché anche noi siamo energia in movimento.
La natura, dura e sapiente, è una cura. Saperla ascoltare, immergersi con tutti i sensi, ci fa sentire parte del tutto. Mette al posto giusto le esperienze vissute e le azioni da compiere. Spegne la paura della morte, frutto di una lettura lineare della vita. Accoglie la possibilità di esistere nella trasformazione.
La mente è il nostro giardino intimo che va coltivato.
Testo di Marina Dacci