La galleria Effearte è lieta di presentare la mostra personale di Teresa Cinque dal titolo Déjà-Vu.
“...Alla chiave dotta antica, che spesso ha caratterizzato il lavoro dell’artista, è qui preferito un pop reinventato con sguardo femminile” (testo critico Déjà-vu, Silvia Ferrari Lilienau).
I lavori esposti sono installazioni in tessuto su parete. Soggetti diversi, scenari più o meno familiari, esterni o interni, dove la dimensione è quella del ricordo travisato, manipolato o quella della suggestione e dei ricordi sovrapposti. Da qui il titolo della mostra Déjà-vu.
I soggetti rappresentati ed i tessuti scelti parlano una lingua familiare o perlomeno riconoscibile, piena di rimandi a situazioni che forse abbiamo vissuto o forse sognato. L'Eden in un albero da frutto restituito in Gobelin, la contemplazione al suo grado zero in una panchina, un assemblaggio di arabeschi che compone un tappeto in prospettiva.
Si potrebbe definire questi lavori come dei corto-circuiti della fantasia o della nostalgia. Il critico Vittore Baroni, a proposito dei primi esperimenti dell’artista in questa direzione, parlò di “backup mnemonici”.
Déjà-vu é anche un'indagine sul quotidiano, sul domestico, sulle sue potenzialità evocative ed estetiche declinate tra il lusso e la mestizia, tra la fascinazione di dettagli elaborati e la laconica semplicità di elementi base. Il tutto giocato nel rapporto tra pieno e vuoto, tra tessuto e muro, creando un'illusione efficace ma impossibile al tempo stesso. La matericità della stoffa richiama fortemente alla realtà dell'oggetto-opera, alla sua fruibilità tattile mentre il disegno che essa compone suggerisce spazi e profondità che annullano la frontalità della parete.
In precedenza Silvia Ferrari Lilienau la definì "una scenografia effimera che de-costruisce le pareti".
L’ultima parte della mostra è invece dedicata a una serie di lavori in carta di medio/grande formato: “...anche le donne che Teresa Cinque ritrae su carta da pacchi bianca, simile ai cartamodelli delle sarte, evocano una progettualità che mira alla correzione della natura passando dall’aspetto. Allora le sagome hanno il garbo di giovani che vanno leggere, calzando ballerine e indossando puntinature disimpegnate.
Senza la seduttività spinta delle femmine di Allen Jones – inevitabile il riferimento al pop britannico –, nude sulla vertigine dei tacchi, e reificate in posizioni sottomesse.
Omettere i volti, e invece concentrare il femminile in gambe che camminano, sottrae a stereotipi che, fuori e dentro casa, tendono a compiacere lo sguardo maschile.” (testo critico Déjà-vu, Silvia Ferrari Lilienau)