Romberg presenta Pablo Candiloro, artista argentino alla sua prima personale.
Ripulire lo spazio scenico.
Eliminare il superfluo per ridefinire il necessario.
Ragionare nel vuoto. Oltre il vuoto.
Disegnare il movimento da fermo. Sul quadro.
Pablo Candiloro si osserva e ausculta, riflette su se stesso come un volume biologico che compie azioni minime ma metodiche, semplici e al contempo universali. Il suo spazio scenico sceglie inquadrature frontali che hanno la semplicità letteraria di Raymond Carver e la densità metafisica di Giorgio Morandi. I fondali sono ovviamente monocromi, così da trasformare l’artista in un soggetto brechtiano, al centro di un prontuario gestuale con cui elaborare le azioni del quotidiano domestico. Mangiare, bere, ragionare, osservare, meditare, respirare… il tracciato essenziale della vita secondo il moto lento e ordinato della pittura, qui ridotta nel formato per non disperdere l’energia compressa del gesto, dell’oggetto, dell’interazione, della connessione. Pablo Candiloro è argentino e si porta appresso una storia personale unica, fuori dal comune, ricca di sorprese che non rivela ma che offre come tracciato intuitivo. Il suo volto espressivo unisce i diversi quadri e li trasforma in una magnifica ossessione privata, dove la disciplina emerge dalla semiotica del gesto, dal modo asciutto e concentrato di compiere azioni minime. Tutto è sintesi amalgamata, agonismo pittorico senza scorie, luce anomala che giunge da mondi privati.
Colpisce la qualità compositiva del tratto pittorico, le modulazioni tonali, lo stile identitario della figurazione. Candiloro dipinge per blocchi geometrici, come se ogni elemento fosse un pixel tonale che si armonizza nel tutto, al punto da immergere la scena in un silenzio profondo ma limpido, tra carezze atmosferiche e sospensioni motorie. Se un’eredità morandiana esiste, ha trovato posto tra le nature personali di Candiloro, tra bicchieri, tazze e bottiglie che vibrano con armonie cromatiche e austera disposizione, come una forza compatta che tende all’unione gravitazionale. Le forme non galleggiano ma aleggiano per poi disporsi su blocchi uniti, diventando protesi narrative che raccontano paure, ossessioni, ritmi...
L’artista argentino, italiano d’adozione e visione, somiglia a un mimo che usa la magia scenica del volto e il supporto fisico delle braccia elastiche. Orchestra sul tavolo i suoi oggetti, disegna traiettorie immaginarie, segue le scie mentali dei racconti che ogni oggetto stimola. Candiloro ci presenta l’ampiezza astratta di un piccolo mondo privato, vissuto con l’ironia elegante degli interpreti, al punto da diventare un anomalo performer che si specchia mentre sperimenta la semplicità.
Ironico nei modi, elegante nello stile, intuitivo nella costruzione del quadro, originale nel modo di dipingere… viene in mente Alighiero Boetti quando giocava con la carta, le lettere dell’alfabeto, i numeri, gli aeroplanini e altre piccole nature del quotidiano… Candiloro sembra voler dialogare con Boetti, quel tratto di pennello pare la tessitura di un arazzo, richiama in luce i fondali grigi di alcune mappe o degli stessi alfabeti a scacchiera. Un atto estetico che ha metabolizzato il legame di stima profonda, conducendo l’opera di Candiloro nel territorio autonomo, nel proprio spessore concettuale, nel gioco di specchi semiotici in cui l’azione si trasforma in immagine.