L’idea di questa mostra - proposta nella circostanza dell’Expo 2015 di Milano - prende avvio dal banchetto tenutosi in Palazzo Vecchio la sera del 5 ottobre 1600 per le nozze fiorentine di Maria de’ Medici con Enrico IV di Francia.
Di questo storico evento - fondamentale anche per gli esiti della musica e della drammaturgia moderne - siamo a conoscenza in maniera dettagliata e, grazie alla puntuale Descrizione che ne dette Michelangelo Buonarroti il Giovane, ci sono noti tutti gli allestimenti progettati dall'architetto (oltre scultore, scenografo, ingegnere) Bernardo Buontalenti per la tavola regia e per quelle degli ospiti e da Jacopo Ligozzi circa il fantasmagorico mobile, una ‘credenza’ a forma di giglio di Francia, realizzato per presentare ai convenuti al banchetto ben duemila pezzi del tesoro mediceo.
Inoltre, la documentazione archivistica relativa a questa cerimonia, conservata presso l’Archivio di Stato di Firenze, ha messo in evidenza il ruolo cardine avuto sia dalle sculture realizzate per l’occasione in zucchero, ‘alimenti decorativi’ concepiti alla stregua di vere e proprie opere d’arte – non a caso esemplificate su illustri prototipi contemporanei dovuti agli scultori fiorentini di fine Cinquecento quali Giambologna, Pietro Tacca, Gasparo Mola – sia quello delle virtuosistiche piegature di tovaglioli di lino, ugualmente proposte nel corso del banchetto alla meraviglia dei partecipanti. Nel riprodurre in zucchero alcuni dei capolavori della bronzistica del tempo concorsero i maestri sopradetti - che sovrintesero il lavoro - così come artigiani - artisti specializzati dei quali i documenti riportano i nomi e le relative professionalità, mentre dei maestri ‘piegatori’ impegnati in quella circostanza, rimane ancora sconosciuta l’identità.
Le sculture in zucchero prodotte per il banchetto del 5 ottobre e ricordate dal Buonarroti, alcune di dimensioni considerevoli (quella che raffigurava Enrico IV a cavallo era alta due braccia, cioè 115 centimetri e aveva una base ugualmente modellata in zucchero), così come le altre ispirate alle ‘Fatiche d’Ercole’, alle ‘Divinità’, alle ‘Cacce’ e a temi venatori e pastorali suscitarono l’ammirazione della regina e degli ospiti, qualificandosi come espressione raffinata della genialità degli artefici fiorentini in un’occasione come questa, d’importanza politico-diplomatica senza precedenti per Casa Medici.
Prendendo dunque le mosse da queste nozze e da queste feste, l’esposizione intende rievocare il banchetto con una suggestiva ricostruzione sia della ‘mensa regia’, sia della ‘credenza del giglio’ e del suo arredo, visibili in mostra nella sala detta ‘di Bona’ e dovute alla fantasia progettuale di Giovanna Fezzi Borella e Claudio Rocca, mentre il progetto dell'allestimento espositivo e la direzione dei lavori si devono all'architetto Mauro Linari. Fulcro della rievocazione storica è la riproduzione d’alcune di quelle figure in zucchero, oggi dovute alla sapiente manualità di Sarah e Giacomo Del Giudice che nella loro Fonderia a Strada in Chianti hanno lavorato seguendo rigorosamente le tecniche di fusione tradizionali; parimenti, le fantastiche ‘piegature’ di tovaglioli realizzate dal maestro Joan Sallas si offrono come documento e trasmissione di un’arte che vide proprio a Firenze, con questo celebre banchetto, il suo apogeo.
Trattandosi di una mostra su un importante evento storico non potevano mancare le effigi dei principali protagonisti – la neo-regina Maria ed Enrico IV – così come quelle dei tanti ‘comprimari’ che dettero vita alle cerimonie e ai loro apparati. Tra questi, Michelangelo Buonarroti il Giovane che ne redasse la puntuale cronaca; gli artisti che prestarono la loro opera nel produrre oggetti o nel dirigerne la realizzazione (Giambologna, Ligozzi, Cigoli, Buontalenti); i musicisti e i letterati – presenti con i libretti e gli spartiti degli spettacoli – che allietarono sia il banchetto della sera del 5 ottobre, sia la recita dell’Euridice rappresentata il giorno successivo a Pitti.
D’indubbia curiosità, in quanto difficilmente visibili a un pubblico di non addetti ai lavori, si qualifica la presentazione in mostra dei conti autografi e delle fatture rilasciate dagli artisti all’amministrazione medicea e relativi ai lavori fatti (soprattutto le figure in zucchero), così come quella dei bronzi originali di Giambologna e della bottega, concessi dal Museo Nazionale del Bargello e dal Musée des Beaux-Arts di Digione – che probabilmente servirono da modelli – proposti in continuità con le rispettive realizzazioni in zucchero. Ugualmente, sarà suggestivo vedere, in prossimità della ricostruzione della ‘credenza’ del giglio, all’interno della quale, in un ideale allestimento, scorreranno a video capolavori del tesoro mediceo, anche alcuni di questi suntuosi manufatti, prestati dal Museo degli Argenti, molto probabilmente gli stessi che trovarono posto su quel mobile, rutilante di ori, cristalli, gemme e pietre, la sera del 5 ottobre.
Attraverso questi apparati spettacolari, rappresentazioni simboliche ed effimere del fasto mediceo, l’indagine s’apre ad altre categorie, alla sociologia, al costume, all’estetica, all’economia. Come osservava Lévy-Strauss, la ritualità alimentare si manifesta per mezzo di “un linguaggio con il quale questa società traduce inconsciamente la propria struttura o addirittura rivela, sempre senza saperlo, le proprie contraddizioni”.