Per il MAC di Lissone, Sergio Breviario [Bergamo, 1974] non ha voluto realizzare una mostra vera e propria bensì ha deciso di esporre un progetto in itinere, che idealmente vorrebbe concludersi con la pubblicazione di un volume a tiratura limitata. The belle of ball è il nome del progetto, a cura di Alberto Zanchetta.
Le fotografie esposte al museo nascono a seguito del programma di residenze per artisti Database, il quale ha dato origine ad una esposizione presso il Museo Civico del Mar-mo di Carrara. Affascinato dai sistemi robotici impiegati per la lavorazione del marmo in campo artistico, negli scorsi mesi l’artista ha scattato una serie di polaroid che mostrano gli impianti robotizzati all’opera o in attesa di essere utilizzati. Lambiccandosi sul “sogno modernista” in cui le macchine eseguono ciò che l’artista può limitarsi a pensare, Breviario ha inseguito le proprie epifanie nei laboratori carraresi, scattando fotografie con una Land Camera 230 che risale agli anni Sessanta.
Mescolando le suggestioni vintage del recen-te passato con le visioni futuribili del pre-sente, l’artista ne ha ricavato delle immagini – di piccole dimensioni ma ad alta intensità emotiva e suggestiva – che ha rielaborato nel proprio studio, ritagliando forme concentriche che ha poi liberamente incollato per ottenere dei personaggi dalle fattezze stilizzate; per lo più si tratta di Re e di Regine che indossano vistose gorgiere, quasi sempre assorti nella apparizione di fiori o di pianeti che gravitano intorno a loro. Le tavole dell’artista non inten-dono raccontare una storia, inanellano sem-mai una sequenza di situazioni in cui i veri protagonisti sono il collage e il disegno. Le opere, collocate all’interno delle bacheche del museo, creano una prospettiva-percorso che ridefinisce l’ambiente espositivo e si avvale di sfere luminose per scandire i ritmi e i volumi dello spazio.
Se lo sviluppo tecnologico nella lavorazione del marmo, dei graniti e delle pietre dure rischia di soppiantare le maestranze forma-tesi sui precetti della tradizione, allo stesso modo Breviario ha cercato di negare il virtuo-sismo del proprio disegno; il "ductus" (e il "dilectus" che ne deriva) è stato castigato ricorrendo a stencil e spirografi, ottenendo segni grafici ipotrocoidi ed epicicloidi che, ricombinati con gli inserti a collage, creano delle immagini inedite. I formati di piccole dimensioni inducono inoltre lo spettatore ad avvicinarsi e stabilire così un rapporto di at-tenzione, intimo e diretto, con l’opera carta-cea. In questo modo Breviario vuole attrarre lo sguardo all’interno delle bacheche dissemi-nate nella sala e lungo le pareti, dove sono collocate le polaroid all’interno di cornici in legno che mettono in evidenza le proprie ve-nature. Le istantanee, talvolta mosse, tal’altre sovraesposte, restituiscono grazie alle loro “imperfezioni” un sapore personale e irripeti-bile.