La fuggevole bellezza delle forme vegetali si offre ai nostri sensi e alla nostra attenzione anche in quelle “umili” piante, poco più che “comparse” nel mare magnum della multiforme varietà della vita, che ogni giorno calpestiamo, strappiamo, bruciamo, ma dalle quali riceviamo benefici a non finire. Il loro, invece, è un cifrato messaggio d’amore, che vuole essere “letto”. Nessuna pianta rinuncia alla propria bellezza formale, quella Bellezza che è armonia del Creato e di cui San Francesco era profondamente e sinceramente innamorato. Bellezza che perfino il più refrattario degli agnostici riconosce come perfezione matematica, disposizione “logica” delle foglie e dei pezzi fiorali, capolavoro di statica e d’architettura biologica.
Il Giardino di Dio offre la possibilità di un contatto diretto, intimo, con la Natura e mostra come nelle piante niente sia lasciato al caso, ma tutto si realizzi secondo un progetto unitario che lega ogni forma vivente alla Terra e alla Vita. Quelle “creature” tanto amate da Francesco d’Assisi.
Non a caso, il Giardino di Dio è nato alla Verna, luogo francescano per eccellenza dove natura e spirito si compenetrano e si armonizzano, dalla raccolta fotografica botanica di un francescano, Sante Giacomelli, nella vita religiosa fra’ Ginepro, e dall’entusiasmo di un altro francescano, fra’ Fiorenzo Locatelli, Padre Guardiano dello stesso Santuario. Due persone che hanno accolto e degnamente vissuto il messaggio francescano, innamorati del “crudo sasso intra Tevere ed Arno”, dove il Serafico Padre “da Cristo prese l’ultimo sigillo”.
Fantastiche immagini colorano e rallegrano questo viaggio nel mondo delle piante, per una grande lezione di rispetto e di sensibilità verso “sora nostra madre Terra, la quale ne sostenta e governa e produce diversi fructi con coloriti fiori ed erba”. L’obiettivo ne ha carpito la Bellezza e la Perfezione, un’anamnesi del Paradiso terrestre, dove Dante, per esprimere il legame tra l'origine dell'uomo e la sua destinazione finale, ricorre proprio all’idea del giardino, “luogo eletto a l’umana natura per suo nido”, popolato di fiori e di colori. Proprio di questi il Poeta si serve per esprimere, in funzione allegorica, diverse condizioni paradisiache.
Le piante sono fonte di sensazioni, soprattutto nel momento della fioritura, in cui mettono in mostra il “meglio” di sé. L’idea tipicamente medievale che l’Uomo sia il beneficiario del Giardino-Natura, lo qualifica come giardiniere dello stesso. Quindi responsabile della bellezza-perfezione delle cose naturali. Bellezza e armonia corrispondono, nel pensiero comune, a bontà e qualità. Le piante, quindi, sono anche guaritrici e fonte di benessere fisico. Anzi, il loro potere terapeutico, per l’uomo medievale, si carica di una componente sacrale, visto che le “qualità” salutari sono quelle originariamente impresse dal Creatore.
Il fiore, il più piccolo giardino naturale, risponde ai canoni della geometria e dell'armonia, della centralità assiale e della simmetria di un giardino costruito. Nella sua struttura e conformazione, niente è lasciato al caso, tutto ha una mira, un ruolo. Il fiore è il giardino dell'amore, lo strumento dell’incessante gioco del nascere, divenire, affermarsi degli organismi vegetali. E il linguaggio dei nostri affetti amorosi, ma riflette anche l’idea di Bellezza, Ordine, Perfezione. In una parola, è il giardino dell'Armonia naturale, proprio in senso matematico, visto che e sono … di casa. E siccome il secondo di questi due numeri, per dirla con Luca Pacioli, rappresenta la divina proporzione, apriti cielo: altro che impronta matematica, i fiori hanno un sigillo quasi soprannaturale!
Le piante sembrano predisposte a quel senso d’ordine generale che contraddistingue la struttura di tutti gli esseri viventi (uomo compreso) e le molecole di cui sono costituiti. Insomma, una specie di comune linguaggio universale, una sorta di ancestrale memoria collettiva che sta alla base dell’origine della vita, un invisibile strumento con il quale gli organismi possono comunicare, cioè percepire ed essere percepiti. Un comune mezzo espressivo che definire matematico o chimico vuol dire banalizzare.
Che dire dei colori? Infinite tonalità, quasi che il Supremo Pittore si sia divertito a sparpagliare in coriandoli l’iridescenza dell’arcobaleno. E che simbologie! Il rosso della regalità e della passione, l’azzurro del cielo e dell’infinito, il verde della vegetazione della rinascita annuale, il viola la metamorfosi e della malinconia, il nero del dolore e del lutto, il bianco della purezza e dell’innocenza, il giallo del sole, dell’idealismo, della saggezza e dell’oro, sogno dell'ermeutica alchemica. La contrastante ma gioiosa cromaticità dei fiori che nei momenti a contatto con la natura si offrivano allo sguardo del piccolo frate di Assisi, quasi a fargli festa, per lui è motivo per esultare di tanto dono e per tessere le lodi al Creatore: Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, / la quale ne sustenta et governa, / et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. Non solo le specie ornamentali, ma pure le “umili” erbe spontanee: le bianche distese di camomilla sui campi incolti, le rosseggianti macchie di papavero tra le messi, gli spruzzi color cielo dei fiordalisi, i tappeti d'oro di tarassaco, le venature sanguigne delle malve in fiore e così via.
San Francesco considera la natura un grande giardino, il giardino del Creato, del quale era sinceramente innamorato e la cui bellezza gli serviva per osannare il Creatore. Un giardino, insomma, con i connotati di un Paradiso terrestre! In cui il carattere saliente è l'orma divina, la vita. Scrive Tommaso da Celano, compagno e biografo di San Francesco: Quando i frati tagliano la legna [per fare il fuoco], Francesco proibisce loro di recidere completamente l’albero, perché possa gettare nuovi germogli. Altro che disboscamento selvaggio! Altro che desertificazione! L’uomo deve essere in sintonia responsabile con il Creato: il fatto che sia destinato a vivere delle sue risorse non ne autorizza lo sfruttamento egoistico e l'alterazione irresponsabile del suo assetto costitutivo. Il Santo, forte della sua “poetica” della natura, per primo ci ha indicato la strada per recepire il “linguaggio” del Creato, troppo spesso banalizzato in forme esteriori e materializzato come fonte di risorse.
Il Giardino di Dio è un invito, e nello stesso tempo un monito, a riscoprire il vero senso di questo rapporto. Il Creato, sembra dirci Francesco, ci fa sentire la potenza e l’amore di Dio. È ancora Tommaso da Celano a “fotografare” l'atteggiamento d'amore del Santo di fronte alle bellezze della natura: E quale estasi gli procurava la bellezza dei fiori, quando ammirava le loro forme o ne aspirava la delicata fragranza! E non lesinava lodi al giardino più bello del mondo, la natura, espressione insuperata dell’alto Fattore: Se vedeva distese di fiori, si fermava a predicare loro e li invitava a lodare Iddio come esseri dotati di ragione.
Perfino il bosco, luogo di paura in un’epoca che lo vedeva ridursi sempre più, per Francesco è luogo di somma letizia, un posto quasi ideale per cantare le lodi a Signore. Un giardino di contemplazione e di devozione, o meglio ancora di sublimazione, con piante possenti nella taglia, ma umili nel cromatismo dei fiori: egli le vedeva partecipi, senza distinzione di sorta, di un unico grande progetto d’amore!
Il simbolismo degli alberi, e se si vuole del bosco, è un elemento culturale molto antico, la cui origine si perde nella notte dei tempi. La pianta ha occupato nei secoli un posto nel misterioso immaginario. Ne è nata una sintonia profonda, che nel contatto materiale diretto con l’uomo ha trovato lo spunto e il motivo di una sempre maggiore idealizzazione, di ispirazione per storie e leggende, miti e comportamenti.
La lettura del regno vegetale, sul piano dello spirito, si fa poesia, amore e santità nello stesso tempo. La grande forza del Poverello era quella di “sentire” la natura, di intuire lo straordinario rapporto che lega gli esseri viventi tra di loro, in quanto frutto di un unico grande Progetto. Un poeta, quindi, un cantore della benefica co-presenza di piante, animali ed uomini, avvertita al di là di ogni logica razionale. Come persona, non poteva non stabilire con la natura un rapporto sensoriale, ma la sua era più una percezione “religiosa” dell’ambiente: tutto egli amava perché aveva la consapevolezza che tutto fosse marcato dall’impronta divina.
In contrasto con quella macchina impazzita che è diventato l’uomo moderno. Oggi conta sempre di più tornare alla dimensione naturale e amare la natura come fece Francesco. È vitale essere francescani nel cuore, in spirito di fratellanza con tutti gli esseri viventi. Il Giardino di Dio si propone come una guida al “bello naturale”, attraverso un mondo segreto, sconosciuto ai più, in una straordinaria inversione dei ruoli, dove non è l'osservatore a dominare il fiore-giardino, ma è questo a sovrastare il lettore. Un viaggio figurato quasi al limite della fantasia, affascinante per le mille forme e i tanti colori con cui gli organismi vegetali trovano il modo di “esprimersi” nell'ambito del sistema “vita” di cui sono parte integrante. Ma anche un viaggio virtuale, che ben si accorda a una “peregrinatio” dantesca, volto a cercare e scoprire, passando di fiore in fiore, la Bellezza arcana fatta Perfezione e Armonia.
Testo di Alessandro Menghini
In collaborazione con: www.abocamuseum.it